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IL CASO

Il paradosso dei tennisti: non guardano tennis!

Pochissimi giocatori osservano i match (sia propri che altrui): è il frutto di un drammatico abbassamento della soglia di attenzione, ormai ridotta a otto secondi. Sia pur rispettando la necessità di staccare la spina, sarebbe consigliabile che lo facessero. “Perché gli highlights non dicono nulla di una partita” dice Ivan Ljubicic.

Riccardo Bisti
16 agosto 2023

Borna Coric e Daniil Medvedev sono tra i giocatori più attesi al Western & Southern Open di Cincinnati. Il primo perché è il campione in carica e ha bisogno di un buon risultato per preservare la classifica, il secondo perché ha bisogno di riscattarsi dopo la delusione canadese. I due hanno qualcosa in comune: non amano guardare tennis. “Quando non partecipo a un torneo lo guardo raramente – ha detto Medvedev durante Wimbledon – mi piace staccare, fare altre cose”. Un mese dopo, a margine della Hopman Cup, il croato è stato ancora più netto: “Non guardo mai il tennis. Non ho tempo perché quando sono a casa voglio godermi il tempo con i miei amici”. Possiamo davvero biasimarli? Da una parte, i ritmi di allenamento (sia dentro che fuori dal campo) sono diventati infernali. Dall'altra, i social media hanno preso il sopravvento su qualsiasi altra attività durante il tempo libero. E allora diventa difficile osservare e analizzare gli avversari. Anno dopo anno, la tendenza al disinteresse si è accentuata. “Quando allenavo Jo-Wilfried Tsonga si recuperava una videocassetta e si guardavano i match per intero – ha detto Eric Winogradsky – adesso le piattaforme offrono una serie di opzioni per guardare e analizzare le partite in modo specifico”.

Compito sempre più spesso affidato agli allenatori: tanti giocatori si affidano a loro, e in certi casi vengono assunti dei veri e propri analisti personali. Tutto utile, per carità, ma nulla può sostituire l'esperienza diretta. Poche cose possono essere arricchenti come osservare con i propri occhi una partita di alto livello. Lo sa bene Andy Murray (non a caso, uno della vecchia guardia), il quale ha detto di aver imparato molto osservando la finale di Wimbledon tra Carlos Alcaraz e Novak Djokovic. “Entrambi giocavano sempre meglio, e si poteva vedere come Alcaraz imparasse la lezione man mano che la partita andava avanti – ha detto – inoltre ho osservato i box e le reazioni dei giocatori tra un punto e l'altro. È stato interessante osservare come fossero frustrati, ma anche in grado di reagire. È stato bello, sono stato davvero contento di essermi fermato a osservare”. Ma lo scozzese ha 36 anni, è a fine carriera ed è universalmente considerato un super-esperto. Ed è uno dei pochi uomini ad apprezzare il tennis femminile. Insomma, non rappresenta un campione troppo attendibile sul comportamento dei suoi colleghi.

«I giovani non guardano abbastanza tennis. Guardano soltanto gli highlights, che ovviamente non dicono nulla sulla partita» 
Ivan Ljubicic
ASICS ROMA

Sarebbe interessante sapere quanti Under 25 hanno trascorso il pomeriggio del 16 luglio a osservare le quasi cinque ore della finale di Wimbledon. Va detto che non tutti ne hanno bisogno: c'è chi ha un innato senso del gioco ed è in grado di analizzare le cose piuttosto velocemente. “Mentre altri hanno meno sviluppata questa capacità, ed è l'allenatore a dover colmare eventuali lacune” dice Winogradsky, che fa parte del gruppo di allenatori messi insieme dalla federtennis francese in un progetto denominato Ambition Grand Slam. “Oltre ai match del suo giocatore, il coach deve andare a vedere anche gli altri, allenamenti compresi. Però sono convinto che osservare più tennis darebbe grandi benefici ai giocatori”. C'è però un'altra faccia della medaglia: restare focalizzati sul tennis comporta il rischio di burn-out. Il tennis può essere uno sport totalizzante: non solo allenamenti e partite, ma mille attività extra riducono al lumicino il tempo libero. Osservare anche i match altrui può essere vista come un'attività spaventosa.

Non crediamo che Naomi Osaka e Amanda Anisimova passassero troppo tempo sugli spalti o davanti alla TV osservando le avversarie, ma sono entrambe arrivate a un punto di rottura che le ha portate a mettere in stand-by la loro carriera. “In effetti è necessario ricaricare le batterie – continua Winogradsky – alcuni giocatori sono totalmente dipendenti dal tennis e non possono tagliare. Ogni tanto è importante rinfrescare le idee e i neuroni”. A giudicare da quello che dice nelle interviste, sembra che Jannik Sinner faccia parte della lista di chi non ama troppo distrarsi. Speriamo che sappia gestirsi nel modo giusto e non arrivi mai a un punto di rottura. Non esistono studi in merito, ma è logico pensare che i giocatori di questo tipo siano maggiormente a rischio di raggiungere il limite della sopportazione. Oggi le carriere si sono allungate grazie a mille supporti tecnologici, ma fino a qualche anno fa – in effetti – le carriere più faticose (per stile di gioco, dedizione e attenzione necessarie) duravano meno. Diversi ottimi giocatori si sono ritirati prima di compiere 30 anni.

Sembrano lontanissimi i tempi in cui  coach e giocatori prendevano un DVD e osservavano un match per intero

La finale di Wimbledon è durata quasi cinque ore. Quanti giocatori l'avranno guardata per intero?

Fermo restando la necessità di non diventare monodimensionali, osservare il gioco rimane una risorsa importante ma poco utilizzata. La pensa così Ivan Ljubicic, il quale ha reagito così alle parole di Murray: “Trovo che i giovani non guardino abbastanza tennis – ha scritto su Twitter – guardano soltanto gli highlights, che ovviamente non dicono nulla sulla partita. C'è molto da imparare osservando i match degli altri giocatori”. Winogradsky è d'accordo: “In effetti è una battaglia. Guardano qualche riassunto sui social media, con i punti più spettacolari. Ma questa non è la realtà del gioco: noi li incoraggiamo a guardare più partite possibili anziché chattare sui social e stare tutto il giorno al cellulare”. Ok, messaggio recepito. Ma allora come si fa a osservare in modo proficuo una partita di tennis? La risposta è semplice, persino scontata, ma di difficile applicazione. “L'importante è non fare altre cose nel frattempo. Bisogna essere attenti, non guardare il telefono ogni tre minuti. Quando hai abbastanza esperienza e sei ben concentrato sul compito, non c'è niente di meglio. All'epoca si prendeva un DVD e lo si guardava per intero”. La tesi sembra essere confermata dall'esperienza di Christopher Eubanks: non è più un ragazzino, ma è sufficientemente giovane da essere considerato un nativo digitale. Sarà un caso, ma la sua carriera ha avuto una svolta da quando è stato assunto come opinionista e commentatore da Tennis Channel.

Il diretto interessato ha ammesso che il compito in TV gli ha permesso di osservare il gioco con maggior attenzione, e dunque cogliere tanti dettagli un tempo sconosciuti. Non tutti possono prendere esempio da lui, un po' perché manca lo spazio, un po' perché Eubanks possiede una cultura generale superiore alla media dei colleghi, ma il suo caso non può essere ignorato. Per carità, sappiamo bene che la soglia di attenzione si è drammaticamente abbassata con l'avvento (e l'abuso) della tecnologia. Secondo alcune ricerche non supererebbe gli 8 secondi, meno di un pesce rosso. Un abbassamento di circa un terzo rispetto a quello che il cervello umano sarebbe stato in grado di sostenere nel 2000 (circa 12 secondi). Non è colpa nostra: semplicemente il cervello è rimasto lo stesso, mentre gli stimoli a cui siamo sottoposti sono nettamente aumentati, portando all'eccesso quello che era già accaduto con il radio, il telefono e la TV. Oggi siamo molto più bravi nel fare più cose in contemporanea (il cosiddetto multitasking), ma questo ci mette in difficoltà nello svolgere attività che richiedono una soglia di concentrazione maggiore. E spesso uno sguardo attento a un match di tennis rientra in questa categoria. Intendiamoci: non è detto che osservare i rivali garantisca una carriera migliore. Ma consente di mantenere una certa cultura del gioco, aspetto tanto prezioso che però sembra esserci perduto con l'utilizzo sfrenato dei social media.