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CASO DJOKOVIC

Il grande papocchio

Il governo australiano ha annullato il visto d'ingresso di Novak Djokovic. Lo hanno bloccato, interrogato per ore e condotto in un hotel per rifugiati. Ci resterà fino a lunedì, giorno dell'udienza che stabilirà l'esito del ricorso dei suoi avvocati. Cronaca di una vicenda densa di punti oscuri e di una curiosa incongruenza tra documenti ufficiali.

Riccardo Bisti
6 gennaio 2022

Partiamo dal fondo. Fino a lunedì prossimo, Novak Djokovic risiederà presso il modesto Park Hotel di Carlton, sobborgo di Melbourne, tristemente famoso per essere il luogo in cui si trovano diversi rifugiati, alcuni da diversi anni. Al momento del suo arrivo erano in 36. Le finestre rimangono chiuse, non si può andare sul tetto per prendere un po' d'aria, e pare che in passato abbiano trovato larve e muffa sul cibo. Come se non bastasse, non troppo tempo fa si sarebbe sviluppato un focolaio COVID all'interno della struttura. Un luogo che lambisce i confini della dignità umana, eppure sarà la casa del tennista più ricco di tutti i tempi, il numero 1 del tennis mondiale, perché le autorità australiane hanno mostrato i muscoli al suo arrivo presso l'aeroporto di Tullamarine. Esiste solo una foto, pubblicata su Twitter, che ritrae Djokovic allo sportello del controllo immigrazione. Chi l'ha scattata sostiene che il serbo abbia presentato un plico di documenti con il logo di Tennis Australia. Come è noto, la documentazione non è stata accettata e per Nole è iniziato un calvario. E non si sa quando finirà. I fatti (o meglio, le ricostruzioni) sono ormai noti: l'Australian Border Force (ABF, la polizia di frontiera australiana) non ha ritenuto sufficiente la documentazione presentata da Djokovic per entrare nel territorio australiano. Inizialmente si pensava che fosse un problema di visto, poi di materiale insufficiente o inadeguato. Poco importa. Ciò che conta è che lo hanno bloccato, interrogato a lungo e per qualche ora gli hanno anche impedito di utilizzare il suo cellulare.

Una scena da film, culminata nella fumata nera (comunicata verso le 22.30 italiane di mercoledì): visto annullato, obbligo di rimpatrio, bye bye Australian Open. Ma era evidente che non sarebbe finita così, specie dopo l'intervento del presidente serbo Aleksandar Vucic, il quale ha denunciato presunti maltrattamenti ai danni del suo più famoso connazionale. L'equipe legale di Djokovic ha annunciato ricorso presso il Tribunale Federale australiano: in attesa di pronunciamenti, Djokovic è stato trasferito nell'hotel dei reietti. Il caso è stato affidato al giudice Anthony Kelly, persona pragmatica, il quale ha ammesso di non sapere quasi nulla di tennis. Ha compreso la portata dell'evento, sottolineando che sarebbe stato opportuno chiudere la faccenda in giornata. Tuttavia, dopo aver ascoltato le parti, ha deciso di aggiornare l'udienza a lunedì 10 gennaio, alle 10 del mattino di Melbourne (la nostra mezzanotte tra domenica e lunedì). Il governo federale e gli avvocati di Djokovic, dunque, avranno un weekend per presentare le loro memorie. La sentenza arriverà a tempo di record, ma non è stato escluso che la vicenda possa arrivare addirittura all'Alta Corte, in una battaglia contro il tempo: il torneo scatterà lunedì 17. La stessa Tennis Australia ha chiesto di conoscere l'esito entro martedì 11, per iniziare a impostare la programmazione. Ultimo fatto: Anthony Kelly ha aperto alla possibilità di trasferire Djokovic in una struttura dotata di campo da tennis, in modo da permettergli di allenarsi. In effetti – in caso di accoglimento della sua istanza – perdere quattro giorni di attività sarebbe un ulteriore svantaggio.

ASICS ROMA
«Il nostro Paese ha regole di ingresso meno discriminatorie rispetto ad altri. Facciamo soltanto rispettare le regole: le prove presentate da Djokovic non sono sufficienti per ottenere l'esenzione medica e l'ingresso nel Paese» 
Scott Morrison, Primo Ministro australiano

L'unica immagine di Novak Djokovic dopo il suo arrivo in Australia, allo sportello dell'immigrazione

Ai fatti si aggiunge un piccolo giallo: pare che siano già a Melbourne altre due persone (un giocatore e un funzionario) che avrebbero usufruito della stessa esenzione garantita a Djokovic, oltre allo stesso tipo di visto. Potenziale bomba mediatica, che ribalterebbe la tesi secondo cui Djokovic avrebbe avuto un trattamento di favore. Anzi, legittimerebbe addirittura il sospetto che lo abbiano preso di mira. Resosi conto del pasticcio, l'Australian Border Force ha comunicato che avrebbe indagato su questi individui. Va detto, tuttavia, che i due potrebbero aver dato dimostrazioni più convincenti in merito all'esenzione. C'è poi una faccenda che non è stata rimarcata a dovere: col passare delle ore, la questione Djokovic è diventata un caso sempre più politico e sempre meno sanitario. Pochi hanno segnalato che il governo federale australiano è conservatore, mentre quello statale del Victoria (laddove si trova Melbourne) è laburista. E a maggio il Paese è atteso da una delicata tornata elettorale. Chi conosce le dinamiche politiche australiane sostiene che il governo federale si sia mosso solo per reagire alla sollevazione popolare per la notizia dell'esenzione pro-Djokovic.

In effetti si è scatenata una viva indignazione collettiva per il suo arrivo. Legittima e comprensibile, visto che il Paese è in preda a una nuova ondata (ogni giorno ci sono più contagi di quanti se ne siano registrati in tutto il 2020) e tante persone sono state vittime di restrizioni molto pesanti. Come è noto, Melbourne è la città ad aver trascorso più giorni in lockdown: diverse famiglie non possono incontrarsi da tempo a causa del blocco dei confini. Per queste persone, gente comune, è inaccettabile che un tennista ricco e famoso possa entrare nel Paese, da non vaccinato, in virtù di un'esenzione medica. Il premier Scott Morrison ha intercettato il sentore popolare e ha scelto il pugno di ferro, espresso in una conferenza stampa tenutasi a Canberra. Non accade quasi mai che il governo centrale intervenga su questioni legate ai singoli stati, ma in questo caso lo hanno fatto con l'unica arma a disposizione: la gestione dei visti d'ingresso. ”Il nostro Paese ha regole di ingresso meno discriminatorie rispetto ad altri – ha detto – facciamo soltanto rispettare le regole: le prove presentate da Djokovic non sono state sufficienti per ottenere l'esenzione medica e l'ingresso nel Paese”.

Diversi sostenitori di Novak Djokovic si sono radunati fuori dal Park Hotel di Carlton

La ricostruzione delle ultime 24 ore effettuata da Channel Nine

Nel suo intervento, il premier australiano ha poi tirato in ballo quella che – secondo noi – è la questione più importante: la ragione per cui Djokovic dovrebbe ottenere l'esenzione. Sempre più fonti sostengono quanto ipotizzato ieri: una recente infezione da COVID, che dunque garantirebbe un rinvio dell'inoculazione. Nel suo intervento, Morrison ha menzionato una lettera inviata dal Ministro della Salute a Tennis Australia, datata 29 novembre. Nella missiva, firmata dal ministro Greg Hunt, si dice testualmente: “In merito alle vostre specifiche domande, posso confermare che le persone che hanno avuto il COVID-19 negli ultimi sei mesi e desiderano entrare in Australia da oltreoceano, e non hanno ricevuto due dosi di vaccini approvati o riconosciuti, non saranno considerate totalmente vaccinate”. Morrison si è fatto forza di questa lettera per sostenere che Tennis Australia (e, a cascata, Djokovic) sapessero che il requisito della recente malattia non fosse sufficiente per ottenere l'esenzione. In realtà la questione è scivolosa, se non discutibile. Nella mail inviata a Tennis Australia, in effetti, non è scritto esplicitamente che la categoria degli ex malati non abbia diritto a entrare in Australia.

Semplicemente, che non possono essere equiparati ai vaccinati. A logica, sembrerebbe che possano chiedere l'esenzione. Tale tesi sarebbe confermata dal documento pubblicato da ATAGI (e aggiornato l'ultima volta il 26 novembre, tre giorni prima della lettera), secondo cui una recente infezione da COVID è inserita tra le ragioni valide e riconosciute per ottenere l'esenzione. Tale orientamento non è stato smentito dalle linee guida pubblicate il 14 dicembre, in cui si ribadiva la non equiparazione tra vaccinati ed ex malati, ma ribadendo (pag.5) la validità delle esenzioni e del documento del 26 novembre. Un'incongurenza abbastanza evidente tra due documenti ufficiali. Francamente, non sappiamo a chi credere. O di chi fidarci. In attesa di lunedì, è evidente che che questa storia abbia soltanto sconfitti. E che ognuno abbia la sua parte di colpa: Novak Djokovic perché non è stato chiaro nel comunicare la sua condizione, tra condizione vaccinale ed eventuale contagio (oltre a essere stato ingenuo: senza il post in cui annunciava di aver ottenuto l'esenzione, probabilmente sarebbe entrato senza problemi); lo Stato del Victoria e Tennis Australia, il cui atteggiamento è stato ambiguo: hanno preannunciato una linea dura, poi nei fatti sono stati più permissivi; il governo federale australiano, che ha adottato un pugno di ferro (probabilmente) per ragioni politiche, soltanto dopo aver intercettato il malumore del popolo australiano. Una storia che avremmo fatto volentieri a meno di raccontare.