The Club: Bola Padel Roma
MAGAZINE

Uno sport per poveri... o per ricchi?

Il tennis si è scrollato di dosso l'immagine di sport per ricchi, soprattutto per chi desidera diventare un professionista. Spesso i campioni provengono da condizioni familiari modeste. Nella storia recente, tuttavia, ci sono stati un paio di casi di multimiliardari diventati ottimi professionisti.

Riccardo Bisti
12 aprile 2021

Lo stereotipo del tennis come sport per ricchi è ormai superato. In realtà non è mai stato così, soprattutto ad alti livelli. Una buona condizione sociale non è un requisito per diventare buoni professionisti. Anzi, spesso è accaduto il contrario. Spesso i ricchi non hanno la fame o la mentalità per sottoporsi alle fatiche di uno sport iper-professionistico. Tuttavia, i costi sono altissimi. Basti pensare al recente caso di Alize Cornet, che ha accettato di buon grado il sussidio di 25.000 euro offerto dal Comune di Nizza per compensare i suoi mancati guadagni. La francese vanta un career prize money di quasi 8 milioni di dollari, ma il netto non corrisponde mai al lordo. Anzi. Allenatori, preparatori atletici, viaggi, attrezzature e assistenza medica rendono il tennis uno degli sport più costosi. Soltanto le federazioni più ricche e le famiglie con una certa solvibilità possono garantire la possibilità di provarci. Oltre, ovviamente, agli sponsor. Grazie ad aiuti di vario genere, c'è chi è riuscito a sfondare pur provenendo da famiglie o Paesi non troppo ricchi.

Basti pensare a Manolo Santana (spagnolo) e Alex Olmedo (statunitense nato in Perù). Anche i grandi australiani degli anni 50-60-70 non avevano un'origine troppo ricca. I più giovani conoscono Manuel Santana perché gli hanno intitolato il campo principale della Caja Magica, ma la sua storia è davvero affascinante. Nato nel 1938, suo padre aveva combattuto (dalla parte dei repubblicani) durante la Guerra Civile spagnola. Con la vittoria dei monarchici, fu condannato a 12 anni di carcere. L'infanzia di Santana fu piena di stenti: ha vissuto in una casa in cui ben dodici famiglie condividevano un bagno. Si avvicinò al tennis nel ruolo di raccattapalle presso il Club de Tenis Velazquez. Fu l'occasione per far notare le sue eccellenti qualità, le quali non sfuggirono alla ricca famiglia dei Romero Giròn: lo adottarono e gli hanno permesso di diventare il primo spagnolo a vincere un torneo del Grande Slam. Prendiamo Ken Rosewall: i suoi genitori avevano comprato tre campi da tennis in una cittadina dell'entroterra australiano. Da una parte fu il sistema per farlo iniziare a giocare, dall'altro rimasero senza soldi da investire.

ASICS ROMA
"Quando Harry Hopman ha inserito Ken Rosewall nella nostra squadra di Coppa Davis, Ken pensava che il massimo dei compensi fosse di cinque dollari"
Rod Laver

Un 12enne Ernests Gulbis in versione attore insieme alla madre

Ancora oggi, nella sua casa di Sydney si può vedere incorniciata la sua prima banconota da cinque dollari, simbolo di una vita che forse sarebbe cambiata grazie al tennis. “Quando Harry Hopman lo ha inserito nella nostra squadra di Coppa Davis, pensava che il massimo dei compensi fosse appunto di cinque dollari” ricorda l'amico-rivale Rod Laver. Anche in virtù di queste origini è facile comprendere la scelta di diventare professionista nel 1957 e rinunciare a ben 44 tornei del Grande Slam. Nonostante tutto, il mitico Muscle ne ha vinti otto e ha giocato una finale di Wimbledon a quasi quarant'anni. Quelle di Santana e Rosewall sono soltanto un paio delle mille storie di riscatto sociale grazie al tennis. La povertà e il desiderio di rivincita, dunque, sono una condizione necessaria per diventare campioni? Non è proprio così: negli ultimi anni sono emersi giocatori come Ernests Gulbis e Jessica Pegula. Il lèttone è figlio di uno degli uomini più ricchi del suo Paese, Ainars Gulbis, mentre Forbes ha stimato in 5 miliardi di dollari (!) il patrimonio della famiglia Pegula. Prima di diventare un magnate con investimenti in tutta Europa, papà Gulbis era un ottimo giocatore di basket. Il suo talento principale, tuttavia, riguardava gli affari.

È diventato ricco durante la disgregazione dell'Unione Sovietica e ha sposato l'attrice Milena Gulbe. Hanno chiamato il figlio in onore allo scrittore Ernest Hemingway, e da piccolo provarono anche a lanciarlo come attore. Gulbis non si è mai dovuto preoccupare dei costi delle scarpe, delle racchette e dei viaggi. Si narra che da giovane andasse ai tornei con un aereo privato, anche se lui ha sempre smentito: “Certo, poi sono anche proprietario di una navicella spaziale” disse, con ironia mista a fastidio. Dotato di un notevole talento naturale, si è formato in Germania nella stessa accademia di Novak Djokovic. “Da giovani non riuscivo quasi mai a batterlo – racconta il serbo, 18 Slam dopo – ma per arrivare in cima servono mentalità, volontà e disciplina. Non sono sicuro che Ernests le avesse”. Appassionato di vita notturna e discoteche, nel 2009 trascorse addirittura una notte in cella per favoreggiamento della prostituzione: aveva adescato un paio di ragazze senza sapere che esercitassero l'antica professione. Con la sua proverbiale ironia, ci ha scherzato su per anni. Nonostante una condotta non sempre professionale, è stato semifinalista al Roland Garros e top-10, sia pure per appena quattro settimane. Non sappiamo se sia vero, ma ha raccontato che i 500.000 euro per quel risultato, tra prize-money e incassi pubblicitari, sarebbero evaporati in poche ore al casinò.

Ernests Gulbis ha sposato nel 2017 la designer di gioielli Tamara Kopaleyshvili

Adottata da una famiglia americana dopo l'abbandono, oggi Kim Pegula è presidente e co-proprietaria dei Buffalo Bills

Jessica Pegula ha iniziato la sua attività circa dieci anni fa, senza mai ottenere grandi risultati. Per anni, la sua miglior classifica è stata la 55esima posizione. Quest'anno ha effettuato un importante salto di qualità, raggiungendo i quarti di finale all'Australian Open. Il risultato le ha permesso di rispondere a un suo follower sui social network, il quale l'aveva definita la ragazza da 5 miliardi. “Sono Jessica Pegula, quartofinalista dell'Australian Open”. Sentiva la necessità, quasi fisica, di scrollarsi di dosso la nomea di ricca e raccomandata. D'altra parte non si possono scegliere le proprie origini: è figlia di Terry e Kim, proprietari dei famosi Buffalo Bills, una delle squadre più famose del campionato NFL. Inoltre la società Pegula Sports & Entertainment possiede anche squadre professionistiche nel lacrosse e nell'hockey su ghiaccio, oltre a società immobiliari, marketing, TV e una casa discografica di musica country. Jessica ne ha approfittato: oltre a giocare a tennis, ha avviato un paio di business: un ristorante e un'azienda di cosmetici. Il colpo che ha reso multimiliardaria la sua famiglia è stata la vendita della società di gas naturale creata dal padre: l'ha ceduta alla Shell per 4,7 miliardi.

In realtà, la famiglia Pegula ha anche una parte umile. Mamma Kim è di origine coreana: nata a Seul, fu abbandonata dai genitori naturali presso una stazione ferroviaria quando aveva appena 5 anni. Finita in orfanotrofio, fu poi adottata da una famiglia americana. Nell'autunno 2019 è tornata in Corea insieme alla figlia, in occasione del torneo WTA di Seul. Poteva essere l'occasione del suo personale riscatto, ma purtroppo per lei Jessica fu sconfitta al primo turno. Poco importa: oggi è nota per essere coproprietaria dei Buffalo Bills. Per acquistare la franchigia, il marito spendette 1,4 miliardi di dollari, battendo la concorrenza di Donald Trump e di un consorzio guidato da Bon Jovi. Storie curiose, dense di aneddoti, ma che non rappresentano la normalità del tennis. Il tennis può dare immense soddisfazioni economiche, ma per arrivare in cima sono necessari sforzi immensi e talvolta dolorosi. Quelli che non vede nessuno.