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AUSTRALIAN OPEN

Grazie Mamma, tutto questo è per te

Mentre i suoi connazionali entravano nel tennis che conta, Tommy Paul restava indietro. Indisciplina e scarsa cattiveria agonistica lo hanno penalizzato, ma lui ci ha sempre creduto. “Anche se qualcuno avrà pensato che stessi delirando”. Oggi è in semifinale a Melbourne, dando una gioia infinita a mamma Jill.

Riccardo Bisti
25 gennaio 2023

La mamma è sempre la mamma. Non contano le distanze, le difficoltà, una vita che non sempre va come l'avevi immaginata. Quando Tommy Paul ha saputo che la madre sarebbe arrivata in Australia per il match contro Ben Shelton, è stato assalito dai dubbi. In fondo aveva trovato una routine vincente, e si sa che i tennisti sono superstiziosi. “Non l'avrei voluta cambiare, ma poi ho pensato che era un quarto di finale Slam... e lei ha fatto molto per me, si è sacrificata molto e meritava di esserci”. Nell'intervista sul campo aveva detto che si era precipitata dal lavoro all'aeroporto per arrivare in tempo. Una volta giunta a Melbourne, lo ha potuto salutare in hotel prima del riscaldamento e poi ha seguito il match dal suo box. C'era anche la fidanzata (l'influencer Paige Lorenz) e il coach Brad Stine, che lo segue dal 2019 e gli ha permesso di fare quel salto di qualità tanto atteso, in una carriera che prometteva tanto e aveva rischiato di deragliare. Si dice che non fosse troppo disciplinato, in fondo anche lui ha ammesso che avrebbe fatto qualche scelta diversa.

Gliel'hanno chiesto anche dopo il successo in quattro set su Ben Shelton (7-6 6-3 5-7 6-4 lo score), che gli ha dato il pass per la sua prima semifinale Slam (e un piazzamento tra i top-20 ATP). “Potessi tornare indietro, probabilmente andrei 1-2 anni al College. Ormai è andata e sono comunque soddisfatto della mia carriera”. Paul fa parte di un quartetto che avrebbe dovuto ridare gloria al tennis americano. Oltre lui ci sono Taylor Fritz, Reilly Opelka e Frances Tiafoe. Quattro Moschettieri a stelle e strisce, nati nello spazio di otto mesi (Paul è il più anziano: è nato il 17 maggio 1997, mentre il più giovane – Tiafoe – è venuto al mondo il 20 gennaio 1998). C'è stato un momento in cui Tommy era il più bravo, soprattutto quando vinse il Roland Garros junior nel 2015, proprio in finale contro Fritz. La sua predilezione per la terra battuta nasce da lontano: nato nel New Jersey (a cui è rimasto fedele nelle passioni sportive, visto che tifa per i Philadelphia 76ers in NBA e gli Eagles del campionato NFL), si è spostato da bambino in North Carolina, laddove i genitori (poi separatisi) gli hanno messo la racchetta in mano. È cresciuto presso l'Athletic Club Courtside di Greensboro, gestito dal patrigno.

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«Ho sempre creduto di farcela, anche nei momenti difficili. Anche se un paio d'anni fa, probabilmente, avrebbero detto che deliravo» 
Tommy Paul

L'intervista post match di Tommy Paul, in cui ha raccontato il viaggio della madre e ricordato l'imminente compleanno della fidanzata

Lì c'è una distesa di campi in har-tru, la terra verde americana, laddove ha imparato a scivolare. Frequentava ancora quel circolo quando Andy Roddick vinceva lo Us Open 2003, ultimo Slam mai intascato da uno statunitense. “Ricordo che al club c'era il poster di Andy con il suo completo Reebok. Quando è passato a Lacoste, pensai che non avrebbe più vinto uno Slam. Pensavo che fosse a causa della maglia!” dice con un sorriso, ammettendo di non ricordare la finale vinta contro Juan Carlos Ferrero. Da allora si sono giocati 75 Slam e gli americani sono ancora a secco. A-Rod ha giocato alcune finali ma si è sempre incagliato in Federer, mentre tra i giocatori in attività soltanto in tre hanno raggiunto una semifinale: John Isner, Frances Tiafoe... e Tommy Paul. Un americano non andava così lontano a Melbourne dai tempi dello stesso Roddick, battuto da Federer (ancora lui...) nel 2009. Oltre all'indisciplina, il problema di Paul era un carattere troppo buono. Mentre i suoi coetanei entravano nel tennis che conta, lui restava nelle retrovie.

Però era contento per i loro successi, non riusciva a provare invidia. Fino a quando, un bel giorno, ha pensato: “Anche io faccio parte del quartetto, perché non sono al loro livello?”. Parola di Diego Moyano, ex giocatore argentino che lo ha seguito per conto della USTA (adesso lavora a tempo pieno con Coco Gauff). Sotto la sua guida, Paul ha imparato a essere professionale e ha migliorato tantissimo il servizio. Tirava la prima a 170 km/h e con un lavoro certosino hanno aumentato la velocità di punta di 12-15 miglia orarie. Nel match contro Shelton ha tirato una prima a 212 km/h. “In effetti ho avuto un percorso più lento rispetto agli altri americani – ha detto – però mi piace pensare che negli ultimi quattro anni il mio percorso è stato una costante salita. Obiettivi? Quest'anno vorrei chiudere tra i primi 15, magari i primi 10. È lì che vorrei essere. Quello che devo fare è trovare costanza, non solo nell'arco di una stagione, ma anche di una singola partita. Però io ho sempre creduto di farcela, anche nei momenti difficili. Anche se un paio d'anni fa, probabilmente, avrebbero detto che deliravo”.

Negli ultimi anni, Tommy Paul ha aumentato sensibilmente la velocità della prima di servizio

Quando va a trovare la madre, Tommy Paul le dà una mano nella cura degli animali della loro fattoria

Per sua fortuna, la pensava come lui coach Brad Stine. L'esperto tecnico americano lo segue dal 2019 e ha sempre creduto in lui, trovando persino alcune somiglianze con il suo allievo più famoso, Jm Courier. Difficilmente Paul vincerà quattro Slam come il rosso di Dade City (compresi due successi a Melbourne, con tanto di tuffo sul fiume Yarra, quando Tommy non era ancora nato), ma intanto si è rimesso in pari con i suoi amici, quelli con cui gira il mondo fin da quando aveva 13 anni. E che stanno seguendo con trepidazione la sua avventura: Tiafoe gli manda parecchi messaggi, Fritz condivide una serie di “stupidi meme” su Instagram e gli ha chiesto se si vedranno a Los Angeles dopo il torneo. “Non sarà possibile, perché devo andare in Uzbekistan per la Coppa Davis. Quanto a Opelka, siamo sempre in contatto. In questo torneo mi sta facendo da allenatore a distanza”. I due sono talmente amici da convivere nella casa di Opelka in Florida. E non sono interessati a comparire in Break Point, la serie Netflix sul tennis che sta già effettuando le riprese per una seconda stagione.

“Credo proprio che finiremmo nei guai se le nostre vite fossero documentate...”. Forse scherza, forse no, ma in Tommy Paul prevalgono i buoni sentimenti: quando ha un po' di tempo si reca a casa della madre, dell'amata mamma Jill, e le dà una mano con la fattoria. Non ci capisce un granché, ma anche lui si occupa di cavalli, pecore e galline. Il senso di riconoscenza è troppo grande, e lo ha dimostrato anche nel blu della Rod Laver Arena, quando l'ha indicata e ringraziata davanti a 15.000 persone. Chissà se questo sostegno extra gli permetterà di battere Novak Djokovic, sempre più rullo compressore dopo i sette game lasciati al povero Andrey Rublev. “Contro il russo avrei avuto più speranze, ma affrontare Novak è fantastico. Sto giocando il miglior tennis della mia vita”. Una vittoria sarebbe un mezzo miracolo, ma in fondo Tommy può essere contento: non è più il brutto anatroccolo della sua generazione. “E poi ho scoperto che l'anno prossimo avrò diritto a un badge in più all'Australian Open...”. Mamma Jill sa già a chi sarà destinato.