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LA STORIA

“Possono anche ammazzarti, tanto non cambia nulla”

Anni dopo la denuncia di un tentativo di corruzione (soldi in cambio di sconfitte) e il successivo calvario, Marco Trungelliti è scoraggiato: il sistema attuale non punisce a sufficienza i colpevoli e non tutela gli onesti. Lui non torna da anni nella sua Argentina: "Non so se lo farò"

Riccardo Bisti
5 aprile 2023

Non deve essere facile essere Marco Trungelliti e guardare il ranking ATP. Secondo le ultime classifiche, l'argentino è numero 217 del mondo. A trentatrè anni, non è ancora riuscito a entrare tra i top-100, ultimo grande sogno di una carriera piena di tribolazioni. Non si arrende e sta svolgendo un'intensa attività Challenger: oggi giocherà il secondo turno al torneo di Murcia, opposto al connazionale Andrea Collarini. Ma non è questo il punto. Non è facile essere Trungelliti per un'altra ragione: in questo momento, gli stanno davanti Federico Coria (n.64) e addirittura Nicolas Kicker (n.214), due dei tre giocatori (l'altro era Patricio Heras) squalificati dall'ex TIU, oggi ITIA (International Tennis Integrity Unit), il corpo investigativo che dovrebbe rovistare nell'immondizia del tennis, estirpando il marciume di doping e scommesse. Usiamo il condizionale perché – secondo Trungelliti – non è così. Sono trascorsi quasi otto anni dalla sua denuncia di un tentativo di corruzione e quattro da quando rese tutto di dominio pubblico, ma da allora non è cambiato niente. Un paio di settimane fa era impegnato al Challenger di Les Franqueses Del Valles, nei pressi di Barcellona, e ha rilasciato un'intervista in cui ha fatto il punto della situazione.

Non ha menzionato i giocatori che gli stanno davanti, non è parso nemmeno troppo frustrato. Semmai nelle sue parole c'è un po' di rassegnazione. “È ovvio che c'è un sistema di corruzione parallelo – dice – molti sono contenti che vada avanti così. In questo modo si sostengono i giocatori che frequentano il circuito ITF, perché altrimenti non è sostenibile giocare per vincere 40 euro. Non dico che sia facile, ma se volessero estirpare il fenomeno lo avrebbero già fatto. Anche qui, basta dare un'occhiata in giro e si vede gente che scommette”. A suo dire, il fenomeno dei match truccati legati alle scommesse è ancora molto diffuso e coinvolge anche allenatori e fisioterapisti. “Ci sono allenatori che continuano a lavorare con top-50 ATP e fanno queste cose da 10-15 anni. È impossibile che non abbiano prove” dice Trungelliti, che da anni non torna a giocare in Argentina perché qualche anno fa lui e la sua famiglia furono oggetto di minacce. In un mondo ideale gli avrebbero dato un premio fair-play, una pacca sulla spalla, un qualsiasi sostegno... Invece gli hanno dato dello spione, del venduto, dell'infame.

«Dopo aver visto quello che ho passato, molti giocatori mi hanno detto che non avrebbero denunciato. Alle organizzazioni va bene così, perché se nessuno denuncia è più facile nascondere il problema. Se denunci ti lasciano solo, e se domani ti uccidono per loro è uguale» 
Marco Trungelliti

La parole di Marco Trungelliti, tanto dure quanto tristi

Chi scrive ha realizzato con un lui una lunga intervista durante il Challenger di Firenze 2019 (curiosamente, suo ultimo torneo vinto). Nell'occasione, Marco entrò ancora più nel dettaglio rispetto alla confessione-shock di qualche mese prima con La Naciòn. Talmente in profondità che decidemmo di non pubblicare alcuni passaggi dopo esserci confrontati di nuovo con lui, nella palestra del Circolo Tennis Firenze, seduti per terra, mentre faceva stretching e sotto gli occhi, un po' amorevoli e un po' preoccupati, di mamma Susana. “Lui è fatto così, parte in quarta e poi magari non si rende conto delle possibili conseguenze di quello che dice”. Può essere, ma azioni e parole di Marco Trungelliti sono dettate da un profondo senso di onestà. Nel luglio 2015, due presunti investitori gli chiesero di perdere apposta qualche partita in cambio di un cospicuo compenso. Gli prospettarono quello che avrebbe potuto fare con questi soldi, citando sette-otto giocatori con i quali lavoravano. Lui rifiutò, poi denunciò il fatto alle autorità. Dalle indagini emersero le prove che tre di questi giocatori erano in contatto con i criminali. Da lì, le squalifiche. Da lì, il calvario di Trungelliti. In tanti gli hanno tolto il saluto, altri gli hanno fatto capire che il suo gesto è stato inutile. Da qui, la frase-shock pronunciata in questi giorni, e Marco aveva detto anche a noi.

“Dopo aver visto quello che ho passato, molti giocatori mi hanno detto che non avrebbero denunciato. Alle organizzazioni va bene così, perché se nessuno denuncia è più facile nascondere il problema. Se denunci ti lasciano solo, e se domani ti uccidono per loro è uguale. Ci troviamo in un monopolio in cui è impossibile fare le cose nel modo giusto”. Dalle nostre parti si chiamerebbe omertà. A suo tempo, Trungelliti disse che nel tennis non c'è solidarietà, ai giocatori non interessa nulla dei colleghi. “Se uno muore o non muore, non cambia nulla”. Forse è per questo che si è schierato a favore della PTPA, l'associazione creata nel 2020 da Novak Djokovic e Vasek Pospisil che mira a migliorare le condizioni di vita dei tennisti. La corruzione nei tornei di seconda e terza fascia è un fatto acclarato: se date un'occhiata al sito ITIA, vedrete che con cadenza periodica compaiono notizie di squalifiche più o meno pesanti. Nel solo 2023 sono già stati sanzionati diversi giocatori, con i casi più gravi riguardanti il marocchino Younes Rachidi (squalificato a vita, colpevole di 135 violazioni) e il giudice di sedia dominicano Fabian Carrero, pure lui radiato. Quest'ultimo caso fa capire quante ramificazioni abbia il fenomeno: la corruzione si è infilata persino nel settore degli ufficiali di gara, i quali dovrebbero essere garanzia di integrità. Invece c'è chi manipola i punteggi nei segnapunti elettronici, favorendo chi sa e ci scommette sopra.

Nonostante sia stato al massimo numero 112 ATP, Marco Trungelliti ha battuto diciannove top-100 (tra cui il n.10 Marin Cilic al Roland Garros 2016)

Prima di questa storia, Trungelliti aveva raggiunto il picco di popolarità nel 2018, quando guidò per 12 ore da Barcellona a Parigi dopo essere stato ammesso come lucky loser al Roland Garros. E passò il primo turno!

“Ogni tanto prendono qualcuno per far vedere che lavorano, ma non c'è interesse a estirpare per davvero il problema” sospira Trungelliti, che negli anni si è sottoposto a interrogatori e processi, nei quali è comparso nelle vesti di testimone. Uno stress infinito. Pensava che fosse più semplice, che gli dessero una mano, invece si è trovato a investire tempo ed energie in cambio di nulla, se per un anacronistico senso di giustizia. È proprio questo a dargli fastidio: che l'attuale sistema non preveda alcun riconoscimento per chi agisce secondo coscienza. Parlando con noi aveva ipotizzato piccoli contributi, qualche wild card... Invece non accade nulla. Chi truffa intasca soldi (dunque qualcosa di concreto) e ha buone possibilità di farla franca, mentre chi denuncia si espone a uno stress infinito, fine a se stesso. Nel caso di Trungelliti si è tradotto in una serie di guai fisici (i più gravi ad anca e schiena) e nella scelta di non mettere più piede nel Paese natale. Se ci pensate, una bestialità. “Non so se tornerò mai a giocare in Argentina – ha raccontato – non mi va di prendere un aereo per recarmi dove non mi trovo bene. Non ho ricevuto il sostegno che merito, anzi, hanno appoggiato gli altri. È un paradosso, ma il mondo va così e bisogna accettarlo.

Ho pensato più volte di tornare, ma non mi troverei a mio agio. Vorrei trovare un ambiente migliore rispetto a quello trovato dalla mia famiglia”. Allude alle minacce ricevute nel 2019, anno della sua ultima visita. Un fatto di una gravità inaudita, anche se Marco ha trovato la sua dimensione in Europa già da molti anni. Si è trasferito a Barcellona nel 2015, poi si è spostato nel Principato di Andorra, laddove può stare tranquillo e ha trovato un buon team di giocatori con cui allenarsi: Roberto Carballes Baena, Pedro Martinez e Jaume Munar. Non è facile trovare una morale a questa storia. O meglio, ci sarebbe: il caso di Trungelliti dovrebbe incoraggiare un salto di qualità nella lotta alla corruzione. A suo dire, non accade e difficilmente accadrà. E allora rinunciamo alla morale, aggrappandoci a una speranza: che papà Marco (lo scorso dicembre è nato il primogenito Mauna, e lui ha fatto in tempo ad assistere al parto) possa raggiungere il traguardo di un posto tra i primi cento del mondo. Anche solo per una settimana, così da poter dire di avercela fatta. Sarebbe una bella storia, nonché una bella notizia per il tennis. Se ce la dovesse fare, Marco Trungelliti potrà dire di esserci riuscito completamente da solo, soltanto con le proprie forze.