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IL PERSONAGGIO

L'amico sardo ci aveva visto giusto

Per anni è stato la gamba zoppa dei baby americani, ma il primo titolo ATP sembra lanciare la stella di Tommy Paul, grande amico del cagliaritano Nicolò De Fraia. La scelta di farsi allenare da Brad Stine e un click mentale hanno creato le basi per il salto di qualità. E se fosse lui il prossimo top-10 a stelle e strisce?

Riccardo Bisti
15 dicembre 2021

Adesso si comincia a ragionare”. È la reazione istintiva di Luigi De Fraia quando gli comunichiamo l'attuale ranking ATP (43) di Tommy Paul, 24enne americano che ha artigliato il suo primo titolo ATP all'ultimo torneo dell'anno, circondato dalle tribune in legno della Kungliga Tennishallen di Stoccolma. Lungo il percorso ha battuto gente forte come il super-amico Taylor Fritz, Andy Murray, l'altro amico Tiafoe e Denis Shapovalov in finale. Non è bastato per strappare una convocazione per le Davis Cup Finals, laddove gli americani hanno fatto una figuraccia epocale, perdendo sia contro l'Italia che contro la Colombia. Non sappiamo se Paul avrebbe cambiato le sorti del suo team, ma è certo che sia One to Watch nel 2022. Il signor De Fraia ce lo dice da anni: padre di Nicolò, ex grande promessa del tennis sardo che ha trovato la sua via negli Stati Uniti (dopo due lauree, oggi vive ad Orlando ed è uno degli head coach più giovani di un team NCAA, capitanando i Rollins Sports), si è spesso sentito dire dal figlio che questo Paul era davvero fortissimo. Ce lo ripeteva da anni. Oggi i pezzi del puzzle si stanno finalmente mettendo insieme. Gli americani cercano un campionissimo da anni, ma non l'hanno ancora trovato. Dopo Andy Roddick, il più bravo è stato John Isner.

Poi è arrivata la nidiata dei nati nel 1997-1998, ma nessuno ha davvero convinto a fondo. Sono grandi amici tra loro: Reilly Opelka, Frances Tiafoe, Taylor Fritz. I tre si sono spartiti titoli di giornale, ma il grosso exploit non è ancora arrivato. Si parla meno di Paul: risultati alla mano, sarebbe ancora la gamba zoppa del gruppo. Ma attenzione, perché la dinamica è cambiata e il 2022 potrebbe essere il suo anno. D'altra parte, il suo grande amico Nicolò De Fraia ne è convinto. E se assumi un ruolo così importante ad appena 23 anni, significa che hai una lucidità fuori dal comune. Come quando giocò contro un ragazzino dai capelli rossi a un torneo Under 14 in Spagna. “Papà, non ho mai giocato così bene – disse al telefono – io tiravo vincenti, ero in palla, lui invece sbagliava spesso”. “Bene, quanto hai vinto?” Rispose papà Luigi. “Veramente ho perso...”. L'avversario si chiamava Andrey Rublev. Con Paul c'è un rapporto diverso, amicizia sincera frutto di una lunga convivenza. Incrocio affascinante: De Fraia è partito da Cagliari, Paul da Greensboro, nel North Carolina, laddove la sua famiglia si è spostata quando aveva tre mesi, dopo che Tommy era nato nel New Jersey. “Si dice sempre che gli americani siano scarsi sulla terra battuta, ma per me questo non vale – dice Tommy, nato il 17 maggio 1997 – ho iniziato a giocare presso l'Athletic Club Courtside di Greensboro, laddove ci sono soltanto campi in terra verde. Per anni ho giocato solo lì, dunque per me è normale scivolare”.

PLAY IT BOX
«Ogni giorno bisogna prendere milioni di decisioni. Quest'anno, prima di prenderne, mi domandavo quale fosse la migliore per il mio tennis. E così ho fatto. Direi che è stato un sacrificio» 
Tommy Paul

Tommy Paul si è aggiudicato il torneo ATP di Stoccolma battendo in finale Denis Shapovalov

Lo ha dimostrato in tempi non sospetti, quando nel 2015 si è aggiudicato la prova junior del Roland Garros, battendo in finale l'amico (cit.) Fritz. Al tempo, diceva che la terra era la sua superficie preferita. Chissà se oggi direbbe lo stesso. Se è vero che vanta una semifinale ATP a Parma, a Stoccolma ha mostrato un tennis in pieno american-style, aggressivo e potente. “Il mio colpo migliore è il dritto, quanto ai punti deboli... non so, non credo di averne!” disse qualche anno fa, salvo poi scoppiare in una fragorosa risata. Un tipo simpatico, questo Paul, anche per qualche stranezza. Per esempio, dice che il suo colpo preferito è lo smash. Gli spiace da matti che se ne giochino così pochi. Si era mai visto un giocatore che dichiari amore per gli smash? E poi quel segno del destino: il suo dolciume preferito sono gli Swedish Fish, caramella gommosa a forma di pesce creata proprio in Svezia una sessantina d'anni fa, ma che ha avuto (grande) successo solo negli Stati Uniti. Oggi sono popolarissimi nel suo Paese, molto meno in Svezia, ma Tommy ha trovato l'ispirazione proprio laddove erano state ideate. La stessa ispirazione che nel 2015 lo aveva spinto a scegliere il professionismo dopo che aveva raggiunto un accordo verbale con l'Università della Georgia (la stessa frequentata da Isner, pure lui proveniente dal North Carolina).

In primavera giocò alcuni tornei ITF in Europa, ne vinse uno a Lecco (in finale contro Sonego), poi vinse il Roland Garros Jr. e decise di provare a fare soldi con il tennis. Qualche mese dopo avrebbe giocato la finale dello Us Open, ancora contro Taylor Fritz, perdendola in tre set. Pazienza. Qualche giorno prima aveva esordito nel torneo dei grandi contro Andreas Seppi, dopo aver passato le qualificazioni. “Un giocatore che mi è sempre piaciuto, è stato fantastico giocare con lui”. Insomma, una vicenda piena di incroci con l'Italia. Il suo primo idolo, in realtà, fu Andy Roddick. Si innamorò di lui durante lo Us Open 2003, ultimo Slam vinto da un americano. Più che del suo tennis, impazzì per il suo completo Reebok. “Si creò una moda, nel mio club tutti comprarono i suoi abiti. Li volevo anch'io, poi ero matto per il suo cappellino, sembrava da camionista”. I due si sono poi conosciuti anni dopo, e Tommy mantiene l'abitudine di giocare col berretto, proprio come il suo idolo. “Ma come fai a non citare Federer se devi menzionare gli idoli?”. A maggior ragione se ha avuto l'opportunità di allenarsi con lui. È accaduto diversi anni fa, quando era ancora uno junior. “Roger mi ha raccontato tanti aneddoti di quando era un giovane. Ma è meglio non raccontarli, non credo che gli farebbe piacere sapere che li ho spiattellati in giro...”.

Prima di vincere il suo primo titolo ATP a Stoccolma, Tommy Paul si era aggiudicato dieci tornei minori: 6 ITF 4 Challenger

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Qualche giorno fa, Tommy Paul ha festeggiato un anno di fidanzamento con la splendida fidanzata Kiki Passo

Meglio parlare di sé, di un percorso che non è stato scintillante come altri colleghi. L'impressione è che Paul non avesse la giusta disciplina. Quando aveva 14 anni si è trasferito in Florida, prima a Boca Raton, poi a Delray Beach. La USTA lo aveva affidato alle sapienti mani di Diego Moyano, ex giocatore argentino oggi in forza alla federtennis americana. “Insieme a mia madre e ai miei amici è una delle persone più importanti del mio percorso – racconta – mi ha seguito a lungo, insegnandomi a essere professionista. Peccato che non lo abbia ascoltato a dovere”. Per il salto di qualità, ha assunto un coach di livello mondiale: Brad Stine, colui che aveva condotto Jim Courier al numero 1 e poi ha lavorato con grandi giocatori come Andrei Medvedev, Mardy Fish, Taylor Dent e Sebastian Grosjean. Dopo essere tornato negli Stati Uniti, si è rituffato nel circuito ATP nel 2018 al fianco di Kevin Anderson. Risultato? In pochi mesi lo ha portato in finale a Wimbledon e al numero 5 ATP. Il curriculum giusto per dare la scossa a Tommy: al netto di un paio di infortuni, dal 2019 non faceva progressi davvero significativi. “Da tempo, Brad mi dice di essere sempre più aggressivo e di andare più spesso a rete. Da qualche mese ho iniziato a dargli retta... ed è super! Gioco molto meglio, credo proprio che da adesso in poi lo ascolterò di più”.

Ripartirà da un ranking che gli permetterà di giocare i grandi tornei senza passare dalle qualificazioni, e chissà che non possa essere lui la nuova star del tennis americano. “Adesso voglio vincere tornei sempre più grandi – dice – il torneo di Stoccolma mi resterà nel cuore, ma vorrei che fosse solo il primo di una lunga serie. Non ho bisogno di motivazione, perché sono già molto ambizioso di mio. E spero di avere il picco della mia carriera tra i 29 e i 33 anni”. In fondo, nessuno ha mai dubitato del suo tennis. Il problema era nella sua testa, c'era bisogno di un click. A volte non c'è bisogno di chissà quali interventi, mental coach ed esperti vari. A volte le risposte sono dentro di sé. Sentite come è nato il nuovo Paul: “Ogni giorno bisogna prendere milioni di decisioni. Quest'anno, prima di prenderne, mi domandavo quale fosse la migliore per il mio tennis. E così ho fatto. Direi che è stato un sacrificio”. In fondo, due anni fa, nella settimana a Stoccolma frequentò un paio di night club. Perse nelle qualificazioni. Quest'anno si è limitato ai ristoranti, coprendosi bene con una giacca invernale, lui che vive al sole della Florida. Missione compiuta. In Italia c'è chi è fiero di lui. E si aspetta ancora di più.