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Anatomia di un contratto pubblicitario

L'affascinante mondo delle sponsorizzazioni. Come funzionano gli accordi tra i tennisti e le aziende di racchette e abbigliamento? A quale età si firmano i primi contratti? Fino a che livello sono remunerativi? E quali requisiti deve avere il giocatore?

Riccardo Bisti
20 luglio 2020

Qualcuno sostiene che la vera classifica mondiale sia quella dei guadagni. In effetti c'è proporzionalità tra l'importanza dei tornei e i prize money, ma la realtà è ancora più complessa. In un mondo ormai digitalizzato, in cui le stelle WTA hanno faticato a riconoscere gli oggetti in voga negli anni 90, ci sono tanti fattori a determinare la popolarità di un giocatore. La classifica ATP-WTA, ci mancherebbe, ma anche il numero di follower sui social media e persino la nazionalità. Le aziende, in fondo, hanno un solo obiettivo: visibilità. Durante il lockdown, Forbes ha realizzato un interessante articolo in cui vengono svelate le ragioni che spingono uno sponsor a investire su un tennista. In questo momento, il combinato disposto tra classifica ATP e popolarità social è la chiave per ottenere buoni contratti. Lo rivela James Beres, l'uomo che si occupa dei contratti del n.1 americano John Isner, per conto dell'agenzia Topnotch Management. Se il ranking è di esclusiva pertinenza del giocatore, chi gli sta dietro può svolgere un importante lavoro con i social. E da lì possono nascere varie opportunità.

Nel tennis di alto livello, le prime sponsorizzazioni arrivano dalle aziende di settore: racchette e abbigliamento. All'inizio il giocatore ha un certo valore (reale o percepito), poi in base allo sviluppo della sua carriera arrivano rinnovi, mancati rinnovi o – se è forte – trattative al rialzo per ottenere sempre più denaro. Se Novak Djokovic si è potuto permettere di cambiare quattro marchi di abbigliamento (Adidas, Sergio Tacchini, Uniqlo e Lacoste, senza dimenticare un contratto a parte con Asics per le calzature), c'è chi si è ritrovato senza abiti da indossare. Fu clamoroso il caso di Nikolay Davydenko, per un periodo costretto a indossare i completi da supermercato nonostante fosse top-10 (poi ottenne un accordo con un marchio francese di secondo piano), senza dimenticare il fenomeno mancato Carlos Boluda, ipotetico Nuovo Nadal che siglò un contratto di dieci anni con Nike. Gli americani l'hanno onorato fino all'ultimo, ma alla scadenza nessuno o quasi si ricordava chi fosse Boluda. Molto dipende da quanto un giocatore viene percepito come vendibile. Se un tennista è giovane e in ascesa, è un buon punto di partenza. Poi entrano in ballo altri fattori: il Paese di provenienza, l'età, la personalità, l'identità digitale.

Uno dei tanti spot pubblicitari con protagonista Roger Federer. In questo, effettuato per Barilla, c'è anche Mikaela Shiffrin

Molto dipende da quanto un giocatore viene percepito come vendibile. Se un tennista è giovane e in ascesa, è un buon punto di partenza. Poi entrano in ballo altri fattori: il Paese di provenienza, l'età, la personalità, l'identità digitale.

“Non si tratta solo di quello che fa sul campo – dice Beres – dipende anche da come può aiutare l'azienda, e come il suo utilizzo dei social network possa essere funzionale in questo senso. Se il tennista è un giovane in ascesa, ci sarà un sincero interesse a sponsorizzarlo”. Il grosso degli investimenti arriva per i giovani tra i 16 e i 18 anni, soprattutto i migliori. Tuttavia, più che accaparrarsi un giocatore prima che diventi un campione, è importante la capacità del marchio di gestire la fase del rinnovo. Secondo Beres, un giovane molto forte può intascare cifre importanti (anche a sei cifre) al primo contratto con un'azienda di abbigliamento, un po' meno da quelle di racchette. Le cifre poi si aggiusteranno in base alla classifica ATP-WTA intorno ai 16-17 anni. A parte casi eccezionali (come il già descritto Boluda), i primi accordi hanno una durata di 3-4 anni. “Quando il ragazzo compie 18-19 anni e il primo contratto è in scadenza, le aziende vogliono il diritto di poter pareggiare le offerte di terze parti in fasi di rinnovo. Se un giocatore è forte ma non tra i migliori in assoluto, probabilmente riceverà offerte dalle sole aziende di settore”. Ma quando l'età avanza e diventano professionisti affermati? Soltanto i top-100 ATP (solo ATP...) firmano contratti remunerativi.

Per essere chiari, prendono soldi per vestire un certo brand o utilizzare una certa racchetta. Tra loro, i primi 40 raccolgono cifre davvero importanti. Per le donne, i numeri sono ancora più bassi: i guadagni extra arrivano solo per le prime 50-60, con cifre che diventano interessanti solo per le prime 30. Anche in virtù di questo, si spiegano le derive modaiole di parecchie giocatrici. Ma usciamo dai primi 100 e occupiamoci dell'enorme fascia di tennisti che esprime il suo grido di dolore per l'assenza di guadagni. C'è chi ha paura di smettere, chi chiede sussidi statali, chi lavora al supermercato... Secondo Beres, a quei livelli gli accordi si limitano alla semplice fornitura, magari accompagnata da qualche bonus legato ai risultati. Facciamo un esempio: un 24enne al numero 150 ATP ottiene un bonus perché é sempre stato fedele a un marchio sin da giovane, e questo viene considerato un plus. “Al contrario, sarei molto sorpreso se un giocatore di quel livello fosse pagato da un nuovo sponsor tecnico. Molto raramente le aziende tirano fuori soldi per i giocatori intorno al numero 150”.

"Sarei molto sorpreso se un 24enne intorno al n.150 ATP fosse pagato da un nuovo sponsor tecnico. Molto raramente le aziende tirano fuori soldi per i giocatori di quel livello" James Beres

Rafael Nadal è talmente importante per le Baleari che l'ufficio del turismo gli ha affidato uno spot promozionale

I contratti prevedono poi una serie di bonus, legati agli obiettivi. Ce ne sono di vario genere: vinci un torneo ATP? Ti do più soldi. Arrivi nei quarti di uno Slam? Bravo, ti premiamo. Ci sono premi anche per piazzamenti particolari (magari nei tornei di casa) e per la classifica di fine anno. In generale, le aziende tendono a inserire bonus legati agli Slam. “Perché sono i tornei che garantiscono la vera esposizione” dice Beres. Il sistema, tutto sommato, è meritocratico: se un tennista sale in classifica, sale anche di popolarità e viene riconosciuto anche dal pubblico non solo tennistico. In quel caso, ha maggior potere contrattuale. Non solo a livello economico, ma anche d'immagine: ci sono giocatori che possono ottenere linee di abbigliamento personalizzate (“Anche se le aziende cercano di ridurre al minimo questi casi per non creare precedenti” sussurra Beres). Ribaltiamo la questione e vediamola dal punto di vista delle aziende. Cosa conviene fare? Mettere sotto contratto tanti giocatori, nella speranza di pescare il jolly? O è meglio applicare una selezione di base, privilegiando pochi nomi? Oltre alle forniture e ai contratti, le aziende devono investire anche nella promozione. In sintesi, ogni singolo giocatore accorpa diverse voci di costo.

Al netto della rivoluzione portata dal COVID-19, oggi il tennis non è più il bengodi. Un tempo, era lo sport in cui si spendevano più soldi per le sponsorizzazioni personali. Come dimenticare le linee griffate di Stefan Edberg, gli abiti con l'aquila di Ivan Lendl, i tanti completi utilizzati dal solo Andre Agassi? Negli ultimi decenni, molte aziende hanno diversificato gli investimenti, abbracciando altre discipline e/o personaggi extra-sportivi. Stessa storia per i produttori di racchette, i cui budget sono scesi in misura importante. Non solo i giocatori prendono di meno, ma i nuovi contratti prevedono anche alcune voci un tempo inesistenti. Per esempio, l'utilizzo dei social network è speso messo nero su bianco, oltre ai classici impegni di marketing e apparizioni di vario genere durante i tornei. In particolare, queste cose avvengono subito dopo la firma del contratto. Servono a rafforzare il legame tra azienda e giocatore. A proposito di social, in questo momento la fa da padrone Instagram. Il motivo è tecnico: vista la sua natura fotografica, è molto interessante per le aziende. “Per loro è l'ideale: basta che un tennista pubblichi una foto e compariranno i loghi dell'abbigliamento e la sagoma della racchetta – conclude Beres – e penso che ci sarà uno sviluppo sempre maggiore verso i filmati, tramite piattaforme come TikTok e Snapchat”. In fin dei conti, la visibilità è quello che conta. Pur di ottenerla, va bene tutto. E i giocatori sono ben disposti a fare più o meno qualsiasi cosa: in fin dei conti, guadagnare è quello che conta.