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Tennis, droga & rock'n'roll

Gli scandali di oggi non sono paragonabili alle condotte di alcuni campioni del passato. Negli anni '70-80', alcol e droghe ricreative erano presenza costante nel circuito mondiale. Qualcuno ha rischiato di finire male, altri hanno combattuto la depressione con la cocaina. Ci fosse stato il sofisticato antidoping attuale...

Riccardo Bisti
3 gennaio 2022

Ogni epoca ha i suoi scandali. Nick Kyrgios ha collezionato una serie di condotte che l'hanno reso una sorta di flagello del tennis, al pari del suo connazionale Bernard Tomic (che però adesso promette di rigare dritto). Gli ultimi 15 mesi sono stati segnati dalle gravi accuse di violenza privata ai danni di Alexander Zverev: il tedesco nega e – sebbene abbia già un figlio – ha intrapreso una love story da sogno con l'influencer e conduttrice Sophia Thomalla. Al contrario, i top-players sono stati bravissimi a evitare qualsasi danno d'immagine. Federer, Nadal e Murray non sono mai stati al centro di scandali e scandaletti. Non si può dire altrettanto di Novak Djokovic, che nel corso degli anni si è lasciato andare a prese di posizione e atteggiamenti che hanno dato parecchio lavoro ai media mainstream. L'attuale questione sul vaccino è solo l'ultimo episodio, dopo che in passato era stato squalificato dallo Us Open per una pallata a una giudice di linea, oppure aveva espresso idee geopolitiche piuttosto forti. Ma finisce qui: certo, esistono diversi casi legati a doping (vero o presunto) e match truccati, ma spesso di tratta di faccende legate alla sopravvivenza finanziaria dei giocatori stessi. E gli organi di controllo sono molto presenti: il rafforzamento dell'International Tennis Integrity Agency promette di garantire ancora più disciplina al mondo del tennis.

E poi c'è il tribunale popolare dei social media: basta una fotocamera al posto sbagliato per rovinare la reputazione di chiunque. Per questo, i personaggi pubblici sono molto attenti nella gestione della loro immagine. Un tempo non era così. Se la condotta di campioni come John McEnroe, Pat Cash, Vitas Gerulaitis, Yannick Noah e persino Bjorn Borg fosse stata resa nota ai tempi, la polizia morale avrebbe avuto il suo bel daffare. Feste sfrenate, scappatelle sessuali ed eccessi di droga erano all'ordine del giorno. Non solo in periodi innocui, ma anche durante i tornei del Grande Slam! E non c'era il senso di vergogna attuale, visto che certi atteggiamenti si sviluppavano quasi in pubblico, negli hotel o per le strade di Londra o Manhattan. Non esistono segreti: interviste e biografie hanno rivelato il lato nascosto di campioni che avevano ben altra immagine. Un lato che oggi non sarebbe tollerabile. Ancora oggi, Yannick Noah è l'ultimo francese ad aver vinto uno Slam. I suoi connazionali lo ricordano per questo, i giovani per essere un cantante di successo, ma non tutti sanno che aveva l'abitudine di fumare marijuana prima delle sue partite. Era anche un consumatore più o meno abituale di alcol, cocaina e metanfetamine. A suo dire, le droghe ricreative erano compagne costanti di diversi giocatori. E pare che Noah non fosse nemmeno uno dei consumatori più abituali.

PLAY IT BOX
"La vittoria era un po' come l'eroina: diventava una droga senza la quale cadevo in depressione"
Pat Cash

C'erano anche John McEnroe e Bjorn Borg al funerale di Vitas Gerulaitis, scomparso nel 1994 ad appena 39 anni

La marijuana, per esempio, ha accompagnato la carriera di Pat Cash. Nella sua biografia, Uncovered, il campione di Wimbledon 1987 rivela che nell'anno del suo esordio ai Champioships aveva nascosto uno spinello nel suo letto. “Lo tenevo sotto il cuscino e ne fumavo un po' ogni notte. Serviva a calmarmi”. Quell'anno avrebbe perso negli ottavi contro Ivan Lendl, ma si sarebbe preso la rivincita qualche anno dopo. Chissà se sarebbe andata così se in quegli anni ci fosse stato il sofisticato sistema antidoping attuale. Quando Cash entrò per la prima volta tra i top-10 aveva appena diciannove anni, ma la paura di cadere lo travolse. “La vittoria era un po' come l'eroina: diventava una droga senza la quale cadevo in depressione”. Per questo arrivò ad avere pensieri suicidi, “perché dopo ogni sconfitta avevo la sensazione che nessuno mi amasse più”. Nonostante la dipendenza dalla mariujana sarebbe arrivato il successo a Wimbledon, a cui sono seguiti una serie di infortuni ai quali ha reagito tuffandosi negli eccessi della vita notturna. Se quella condotta gli fece conoscere la prima moglie (la modella norvegese Anne-Britt Kristiansen), lo portò anche nel tunnel della cocaina e delle droghe pesanti. L'utilizzo di queste sostanze è stato il suo principale rifugio dopo lo scioglimento della famiglia, peraltro dopo la nascita dei miei figli.

La droga mi aiutava a dimenticare il dolore e i miei problemi, almeno per una notte – ha raccontato – non mi piaceva quello che stava succedendo, ma non riuscivo a fermarmi”. È uscito dal tunnel solo grazie alla seconda moglie Emily Bendit e alla nascita di una coppia di gemelli. Tornò a giocare senza successo, poi si sarebbe definitivamente disintossicato dopo essersi rivolto a una clinica di riabilitazione. Prima ancora di Cash, il re della degli eccessi era Vitas Gerulaitis, scomparso tragicamente nel 1994 per un avvelenamento da monossido di carbonio nella casa di un amico. Circostanze misteriose, mai chiarite a fondo. Al contrario, sono ben note le vicissitudini di John McEnroe, rivelate nella sua autobiografia You cannot be serious. “Notti insonni e giorni mediocri non contribuiscono a una buona carriera nel tennis” dice McEnroe, che durante la sua carriera si è preso un anno sabbatico. Il divorzio con l'attrice Tatum O'Neill fu particolarmente doloroso: i tribunali hanno accertato che in quel periodo ha assunto steroidi antinfiammatori in quantità industriali. Oggi McEnroe sostiene di non averlo mai fatto per ragioni tennistiche, ma riconosce la sua grave ingenuità. “Per sei anni non ho saputo di assumere steroidi usati sui cavalli, e che erano troppo forti persino per loro”.

Protagonisti di una rivalità leggendaria sul campo da tennis, Bjorn Borg e John McEnroe hanno fatto parlare di sé anche per altre ragioni

Un recente servizio RAI ha ricordato anche il lato oscuro della carriera di Bjorn Borg

Volendo credere a questi racconti si evince che un accurato sistema antidoping avrebbe stroncato diverse carriere, anche di prestigio. Non è stata facile la vita di Bjorn Borg. L'immagine di uomo di ghiaccio che si era costruito nei primi anni di carriera è stata ampiamente smontata. Nei primi anni 90, l'ex fidanzata Yannike Bjorling lo accusò di aver assunto droghe durante una battaglie legale per la custodia del figlio. In quel periodo provò a tornare nel tour dopo otto anni, ma perse 12 partite su 12. Nel 1992 ammise di aver provato droghe di vario tipo negli anni '80, pur negando di esserne dipendente. La ricorda diversamente la sua ex moglie Loredana Bertè. Nel suo libro, la nota cantante sostiene che Borg girava tranquillamente per le strade di Milano e chiedeva cocaina ai passanti. “Tra me e la cocaina, ha sempre preferito la seconda”. È poi cronaca l'episodio del 1989, quando Borg finì al pronto soccorso di Milano per un abuso di sonniferi che fece pensare a un tentativo di suicidio. I primissimi casi di positività al doping nel mondo del tennis risalgono al 1995. A finire nella rete fu l'erede di Borg, quel Mats Wilander capace di vincere sette Slam negli anni '80. Lui e Karel Novacek risultarono positivi alla cocaina, ma erano entrambi a fine carriera e non ebbere particolari sanzioni.

L'ultimo scandalo sfiorato risale a fine millennio ed è stato ampiamente raccontato da Open, il libro di Andre Agassi. Secondo i suoi racconti, nel 1997 risultò positivo al crystal meth, sostanza che – parole sue – lo aveva fatto diventare uno zombie nel periodo di crisi con la prima moglie Brooke Shields. Scrisse una lettera piena di menzogne all'ATP (che all'epoca gestiva i controlli antidoping), che scelse di credergli e insabbiò la faccenda. Con la digitalizzazione del mondo, gli organi di controllo si sono strutturati in modo tale da mettere paura ai potenziali trasgressori, dunque è sempre meno frequente assistere a scandali di questo tipo. E, se avvengono, accade con grande attenzione e massimo riserbo. Qualcuno cade ancora nella rete delle droghe ricreative: una Martina Hingis a fine carriera, poi Richard Gasquet e Daniel Evans qualche anno fa sono stati gli ultimi. Per il resto, le esigenze del tennis attuale portano i tennisti a condotte di vita molto diverse rispetto a qualche decennio fa. Sarà molto interessante, tra qualche decennio, leggere e ascoltare i ricordi dei campioni attuali per capire se l'immagine di cui godono oggi corrisponde davvero alla realtà. O se il profumo della trasgressione è troppo allettante anche per loro, sia pure con la dovuta discrezione.