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ATP BARCELLONA

Adéu, Rafa

Una malinconica versione di Rafael Nadal saluta per l'ultima volta il Conde Godò. Smarrito tra il desiderio di un ultimo miracolo e un fisico al lumicino, punta a raggiungere una condizione accettabile per il Roland Garros. “Se ci sarà un momento per dare tutto, costi quel che costi, sarà a Parigi”.

Riccardo Bisti
18 aprile 2024

Gli abitanti di Barcellona sostengono che il Parc del Collserola, mini-catena montuosa a due passi dalla città, permetta di anticipare le previsioni del tempo. Basta voltarsi in quella direzione per capire cosa succederà. Si narra che qualcuno abbia capito tutto quando lassù sono comparse le prime nubi, anche se Collserola è sufficientemente lontana dal quartiere Pedralbes, laddove si trova il Real Tenis Club di Barcellona, sede di un torneo che profuma di leggenda per gli spagnoli. “Da qualche anno c'è Madrid, ma la storia insegna che questo è il torneo spagnolo per eccellenza – ha detto Rafael Nadal dopo la sua ultima partita al Conde Godò -. qui c'è grande tradizione, sono passati i migliori giocatori della storia. Oltre a giocare in casa, ho sempre rispettato molto la storia del nostro sport, e questo è uno dei tornei con più storia. Si gioca in un vero circolo tennis e questo lo rende diverso dalla stragrande maggioranza degli eventi”. Queste parole spiegano perché – in un pomeriggio denso di nubi - Rafa ha esposto al pubblico ludibrio una versione troppo vulnerabile di sé. In altri tempi, la Nadalidad avrebbe travolto Alex De Minaur. Nadalidad è un concetto coniato qualche anno fa da un giornalista argentino, Sebastian Fest: è una sorta di spirito, la capacità di Rafa di trasformare lo scenario, farlo suo, schiacciare l'avversario e seppellirlo agonisticamente.

Lo ha fatto centinaia di volte, ma stavolta la Nadalidad è rimasta un'illusione. Non c'era spazio per uno spillo, sulla Pista Rafa Nadal, per il match contro l'australiano cresciuto in Spagna, dunque ancora più consapevole di quello che stava avvenendo. Di fronte non aveva il dodici volte vincitore di questo torneo, ma una versione timida, spaurita. Persino i vamos che un tempo sembravano ruggiti, stavolta sono parsi modesti, insicuri. La gente lo ha capito (d'altra parte siamo in un circolo tennis, il pubblico è più competente della media) e ha rispettato la sacralità del momento. C'è stato solo un momento in cui si è vissuta la magia: quando un superbo rovescio di Rafa gli ha dato il controbreak, conducendolo sul 3-3 nel primo set. Lì sono tornati alla mente i momenti di gloria vissuti su quel campo, che per anni sono sembrati gioiosa routine. In un malinconico mercoledì pomeriggio, Barcellona ha capito che non era così. Era tutto straordinario, irripetibile. Nel secondo set, il vecchio campione ha smesso di pensare alla partita ma soltanto a portare a termine l'obiettivo della settimana: terminare il match senza farsi male.

«Sono una persona abbastanza stabile emotivamente e provo a prendere le cose con filosofia. È normale pensare che sia stata la mia ultima partita a Barcellona, almeno come tennista in attività» 
Rafael Nadal

Solitamente bisogna aspettare parecchio prima che Nadal si presenti in sala stampa dopo una partita, perché ha un routine molto precisa da rispettare in vista del match successivo. Stavolta no, si è presentato un quarto d'ora dopo l'ultimo dritto volato lungo, che ha fissato il punteggio sul 7-5 6-1 per De Minaur. “Le sensazioni sono state abbastanza buone, coerenti con quello che mi aspettavo – ha detto – a tratti ho giocato a un buon livello. Oggi non era importante vincere, ma uscire sani dal torneo, più di ogni altra cosa. A volte è difficile giocare sapendo che non sarai in grado di combattere per tutta la partita. Oggi è così, tra qualche settimana sarà il momento. Oggi non dovevo fare atti eroici, ma essere prudente e realista. Una volta perso il primo set, la partita è finita”. Il concetto è chiaro: Nadal sa che la fine è vicina, più vicina di quanto pensava (sperava? ipotizzava?) qualche mese fa, dunque deve tenere conto della benzina in corpo.

Ha parlato di atti eroici, e tutto fa pensare che soltanto il Roland Garros, il Campo Philippe Chatrier, sarà il luogo in grado di fargli perdere la fredda razionalità che lo accompagna da 20 anni, e magari provare ad andare oltre, a dare più di quello che avrà realmente in corpo. A parte le enormi qualità tecniche e fisiche, il maiorchino ha una dote che gli ha permesso di avere una carriera così lunga nonostante un gioco molto dispendioso: la stabilità mentale. Non solo la capacità di non spaccare una racchetta in tutta la carriera, o di essere sempre presente a se stesso durante i match, ma un atteggiamento generale fuori dal campo. Non si è mai esaltato più di tanto per una vittoria, e nemmeno depresso per una sconfitta. Un approccio razionale che non ha perso nemmeno dopo una sconfitta piuttosto umiliante.

Rafael Nadal è stato chiaro: "Se c'è un torneo in cui proverò a dare tutto, sarà il Roland Garros"

«Saluto con la tranquillità di aver sempre dato il massimo. Sono consapevole che tutto ha un inizio e una fine: non bisogna farne un dramma» 
Rafael Nadal

“Col servizio mi sono trovato abbastanza bene. Un percorso logico sarebbe quello di fare un passo in più a Madrid: non dico vincere, perché ho giocato poco, ma migliorare un po'. Poi andare a Roma e infine a Parigi, laddove succederà quel che Dio vorrà. Se ci sarà da provarci, lì sarà il momento di dire: 'Vada come vada, qui sì'”. Chiarissimo. Dopo aver ascoltato queste parole, e averlo visto in campo, è difficile ipotizzare una conclusione diversa da un addio a Parigi. Il servizio non supera quasi mai i 180km/h, le gambe non sono più un motorino inesauribile, il drittone non frulla più migliaia di giri al minuto. Al Roland Garros sarà il momento delle lacrime, della commozione, dei ricordi più potenti nel luogo in cui ha firmato la più grande impresa nella storia dello sport: vincere per quattordici volte lo stesso torneo del Grande Slam. Un assaggio lo abbiamo visto a Barcellona, nella malinconia di un secondo set praticamente non giocato.

Quando la vicenda agonistica si è spenta, di fronte a un'immagine crepuscolare, il cronista ha ripensato all'alba di questo secolo, quando un giovane Rafa in canottiera, i pantaloni alla pescatora e l'aria da gladiatore faceva cadere un avversario dopo l'altro, dando il via a un'infinita serie di 81 partite senza sconfitte sulla terra rossa. Fu l'inizio di un'era irripetibile, di cui ci ricorderemo per l'eternità. Dopo aver salutato De Minaur, ha rispettato il suo rituale: abiti colorati, una borsa su ciascuna spalla e un saluto fiero al pubblico che ha affollato il campo che porta il suo nome. Non c'è stato spazio per le lacrime: Rafa è poco incline a piangere in pubblico, anche se un paio di volte gli è successo. A breve accadrà per l'ultima volta, nella speranza che avvenga nel contesto ideale. “Ho giocato questo torneo come se fosse l'ultimo. Non sai mai cosa può riservare il futuro, ma la vita segna il cammino e ogni decisione. E la vita mi sta segnando il cammino in modo piuttosto chiaro”. Oggi lo possiamo scrivere in catalano, prima di farlo in castigliano, in italiano e infine in francese. Adeù, Rafa.