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MENTAL TENNIS - INTERVISTA

Questione di testa

Il mental coach Marco Valerio Ricci ci spiega quanto sia importante – e quanto possa fare la differenza – l'aspetto mentale nel gioco del tennis e nella vita complessiva di un'atleta. E spiega cosa avrebbe dovuto fare Naomi Osaka per non arrivare alla crisi dell'anno scorso. Infine, afferma che il più bravo di tutti in questo aspetto è...

Staff Tennis Magazine
24 giugno 2022

Al giorno d'oggi, la preparazione tecnica e fisica degli atleti ha raggiunto livelli d'eccellenza. Per questo, sempre più spesso la differenza viene fatta dalla preparazione mentale. In fondo basta confrontare il terzo turno di uno Slam con il secondo di un Challenger: le differenze di gioco sono risibili, persino trascurabili, ma i giocatori più forti hanno la grande capacità di gestire meglio i momenti importanti. La mente è qualcosa che andrebbe allenato nello stesso modo della tecnica di un colpo, o della rapidità di gambe. Per comprendere meglio certe dinamiche, abbiamo ascoltato il parere del mental coach Marco Valerio Ricci. Esperto in PNL Ipnotica e motivazione scientifica, ed ex membro dello staff della Nazionale Italiana di Rugby, ha le idee molto chiare su quanto l'aspetto mentale possa influire sul rendimento di uno sportivo. Ne è venuta fuori una conversazione davvero interessante.

In cosa la PNL può essere importante nel mondo dello sport?
La programmazione neuro linguistica aiuta gli atleti a conoscere i propri processi inconsci e quindi facilita la possibilità di raggiungere un risultato o un obiettivo. Attraverso la PNL e il Reiss Motivation Profile si riescono ad affrontare meglio le emozioni. Di fatto è uno strumento che permette all’atleta di ottimizzare le proprie performance e gestire al meglio le proprie capacità, anche quelle inconsce. Grazie a queste tecniche si riesce ad accedere a tutti gli strumenti della propria mente, la PNL consente di intraprendere un percorso per accedere alla miglior parte di sé.

Le pressioni mediatiche e l'esplosione dei social hanno reso più complessa la gestione mentale della carriera di uno sportivo?
Assolutamente sì. Spesso gli atleti hanno minori capacità di gestire aspetti esterni e relazionali, proprio perché inglobati nel loro essere sportivi prima che persone. In questo senso i social amplificano queste difficoltà di relazione e diventano uno strumento a volte pericoloso. Spesso basta una buona prestazione per essere considerati dei fenomeni, oppure una giornata storta per finire nel tritacarne delle critiche. Questo ha un effetto molto limitante, ogni atleta avrebbe bisogno di essere seguito anche nel suo percorso comunicativo proprio da un mental coach, è uno dei nostri ruoli: con la PNL Ipnotica e la Motivazione Scientifica si riesce a comprendere meglio il proprio DNA emotivo e quindi anche a capire come approcciarsi a questi agenti esterni gestendo le proprie emozioni.

«Novak Djokovic ha una grande capacità di accedere alle sue risorse interiori, data da questa sua profonda integrità rispetto ai suoi valori, alla sua visione del mondo e del tennis» 
Marco Valerio Ricci
ASICS ROMA

Naomi Osaka ha persino scritto un articolo sul Time per sensibilizzare sull'argomento della salute mentale nello sport

Quale suggerimento avrebbe dato a Naomi Osaka quando ha avuto il suo momento di crisi al Roland Garros 2021?
La situazione è duplice. Innanzitutto, da un lato bisognerebbe fare un lavoro preventivo per evitare che queste situazioni accadano o che l’atleta sia in grado di uscirne quando si verificano. Il problema è che se non c’è stato un allenamento specifico a priori, l’unico modo per affrontalo è un approccio shock: le crisi emotive e gli attacchi di panico ci possono stare e fanno parte dello sport, la chiave è allenare l’atleta a rendersi conto che paura, ansia e stress non sono un problema ma fanno parte del processo per diventare grandi campioni. Non a caso, tutti i grandi sportivi nella loro carriera sono passati da momenti di crisi, ma poi sono ritornati più forti di prima: anche Nadal, Djokovic e Federer nonostante le difficoltà e gli infortuni sono sempre stati in grado di ritrovare le risorse per tornare al top.

Qual è il modo migliore per sfruttare i 90 secondi ai cambi di campo?
Non c’è una ricetta valida per tutti, ma dipende dal DNA emotivo di ciascun tennista, le modalità variano a livello personale. Ci sono alcuni atleti che hanno necessità di resettare, di avere una sorta di mini-blackout di 30/40 secondi per poi riprendere e riattivare la mente. Per altri invece è necessario mantenere alta l’attivazione mentale spostandola magari su un focus diverso, quindi non pensare al match o a quel singolo momento, ma senza “spegnersi” del tutto. La prima è una forma di meditazione, la seconda di distrazione, ogni atleta lavora con il proprio Mental Coach per scegliere la più adatta alle proprie caratteristiche personali.

HEAD

Da quando si è presa una pausa la scorsa estate, Naomi Osaka non si è ancora pienamente ritrovata

Alcuni momenti della carriera di Novak Djokovic in cui ha mostrato una forza mentale fuori dal comune

La presenza di un mental coach è da ritenersi importante come quella di preparatore atletico o fisioterapista? Possono esistere casi in cui può essere addirittura più importante?
Al giorno d’oggi sì, ormai l’aspetto mentale è importante e necessario tanto quanto quello fisico. Raggiunta l’eccellenza in campo atletico, con nuove tecniche e strumenti di allenamento all’avanguardia, la differenza può farla la testa. Non è maggiormente importante, ma va posta sullo stesso livello: i risultati migliori si ottengono quando c’è sinergia e collaborazione tra tutto lo staff, quando i vari soggetti, dall’allenatore al fisioterapista passando appunto per il mental coach, dialogano e si confrontano per un obiettivo comune. Bisogna creare un lavoro di team, l’atleta è un meccanismo delicato in cui tutti gli ingranaggi devono funzionare nel loro insieme e in armonia. Certo il peso del lavoro di ciascuno può variare in funzione del momento, ma è fondamentale tenere a mente che il focus deve essere sull’atleta come persona e sulle sue performances.

Qual è il giocatore che a suo avviso ha sfruttato meglio il suo potenziale interiore? E quello che invece aveva grosse potenzialità e non le ha espresse?
Qua la risposta è facile: i tre grandi Djokovic, Nadal e Federer. Scegliendone uno però direi Djokovic, tra tutti è quello che da un punto di vista di potenziale interiore, preparazione mentale, focalizzazione e coerenza valoriale è il più emblematico. Proprio perché appare come una “macchina da guerra” forse è anche il meno amato, perché sembra meno vulnerabile. Ha una grande capacità di accedere alle sue risorse interiori, data da questa sua profonda integrità rispetto ai suoi valori, alla sua visione del mondo e del tennis. Per quanto riguarda il discorso inverso, sicuramente giocatori come Fognini e Kyrgios, giusto per rimanere attuali, hanno pagato lacune nella tenuta mentale nonostante un grande talento. In passato tra gli italiani mi viene in mente anche Omar Camporese, che con un’attenta preparazione mentale rivolta alla conoscenza del proprio DNA Emotivo e alla gestione dello stato interiore avrebbe sfruttato sicuramente meglio il suo grande talento e si sarebbe potuto esprimere a livelli più alti. In definitiva, ogni atleta, così come ogni persona, può imparare a manifestare i propri talenti con maggiore consapevolezza e padronanza di sé, questo è il compito di un bravo Mental Coach professionista.