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ROLAND GARROS

Quando il corpo è pronto, ma la mente no

Nonostante sia giovane e attraente, Paula Badosa ha vissuto un lungo periodo di depressione. Certe paure le hanno impedito di rendere al meglio nei quarti del Roland Garros. Il caso Osaka sembra aver definitivamente aperto gli occhi su una questione molto delicata.

Riccardo Bisti
9 giugno 2021

Paula Badosa è una bella ragazza, nonché un'ottima giocatrice. Hanno individuato qualche somiglianza con Maria Sharapova, anche nel modo di tirare alcuni colpi. Nel 2015, la spagnola nata a New York ha vinto la prova junior del Roland Garros. Come per tanti baby campioni, ha dovuto ascoltare i discorsi su quello che sarebbe stato. Gloria, soldi, popolarità. Due anni dopo è piombata in depressione, la delicata condizione clinica di cui si è parlato nei giorni scorsi a causa di Naomi Osaka e della sua rinuncia a proseguire il torneo. “È stata molto dura”dice la Badosa, ripensando a un periodo durato tre anni. Semplicemente, non sapeva se sarebbe stata all'altezza di quello che avevano pianificato per lei. Oggi è un'ottima professionista: ha raggiunto i quarti al Roland Garros, stesso torneo vinto sei anni fa tra le ragazzine. Però i fantasmi sono tornati sul 6-6 al terzo, 15-40 sul servizio di Tamara Zidansek. Tre palle break, di cui una molto sfortunata (palla rimbalzata male), l'avrebbero portata a servire per il match. Non ce l'ha fatta, e ha perso la partita. Sempre più giocatrici raccontano i loro disagi legati alla salute mentale.

Il caso di Naomi Osaka è molto recente. Insieme al comunicato in cui annuncia il forfait, ha detto di aver sofferto di depressione sin dalla prima vittoria allo Us Open, datata 2018. Il suo forfait ha regalato un posto al terzo turno per Ana Bogdan. Guarda caso, ha sfidato proprio la Badosa. È stato un match bello e combattuto, vinto per un soffio dalla spagnola. Anche la Bogdan ha ammesso di aver sofferto di depressione nel 2021. “E non è stata facile da gestire”. La pandemia ha avuto un ruolo. Per i tennisti è stata particolarmente dura, perché dopo la ripresa del tour i tornei hanno tagliato il numero di persone da cui possono farsi accompagnare. Inoltre, la loro attività sociale è stata drasticamente ridotta, spesso limitata agli spostamenti tra campi e hotel. La salute mentale è un argomento che sta, piano piano, diventando importante. Alcune figure ai massimi livelli dello sport (per esempio, i tornei del Grande Slam) si sono impegnate a prestarvi massima attenzione. In che modo? Aumentando le risorse a disposizione, soprattutto durante un periodo così logorante.

PLAY IT BOX
"È molto complicato gestire un match del genere, specie dopo che lo hai desiderato così tanto"
Paula Badosa

Il match perso al fotofinish da Paula Badosa contro Tamara Zidansek

Paula Badosa è il prototipo dell'atleta di successo. È giovane, bella, alta, forte. Parla tre lingue e ne sta imparando una quarta, inoltre proviene da una famiglia sana. Alta quasi 1.80, è stata definita commerciabile. Significa che i suoi successi andranno di pari passo con sponsor, servizi fotografici, occasioni mondane. Da qui, il paragone con la Sharapova. Ma la russa è stata un prodigio di forza mentale. Ha vinto cinque Slam, è stata numero 1 del mondo, ma allo stesso tempo ha creato un mini-impero. Per anni è stata l'atleta più pagata (come la Osaka oggi), ha lanciato la sua linea di caramelle (le famose Sugarpova) e ha tratto un guadagno economico persino dalla squalifica per doping, pubblicando la sua fortunata autobiografia durante i 15 mesi di stop. La Sharapova sapeva benissimo che certe qualità aiutano, ma non servono a vincere sul campo da tennis. Le aspettative possono essere un problema. Lo sa bene Coco Gauff, che a Parigi ha raggiunto il suo primo quarto di finale in uno Slam. Nel 2019, quando ha raggiunto gli ottavi a Wimbledon, aveva 15 anni.

Dicevano che sarei stata la nuova questa o la nuova quella. Col tempo, ho capito che avrei dovuto soltanto essere me stessa”. Da parte sua, la Badosa ha capito che il talento e la precocità non fungono da vaccino per la depressione. “Non siamo dei robot” ha detto al New York Times la giocatrice che è nata proprio a New York per il mestiere dei genitori: lavoravano nel settore della moda, talvolta come modelli. Ha vissuto nel New Jersey fino ai 7 anni di età, poi si è trasferita a Barcellona e ben presto ha capito di avere un talento importante. Dopo il successo al Roland Garros junior, hanno iniziato a proiettare mille aspettative su di lei. Quando le sconfitte hanno preso il sopravvento sulle vittorie, è sprofondata nella depressione. A quel punto ha cercato un team di supporto, qualcuno che le desse una mano a partire dalla testa. Ha trovato un punto di riferimento nell'ex giocatore Javier Marti (classe 1988), ex promessa mancata che non ce l'ha fatta.

Paula Badosa si è presentata al Roland Garros da numero 35 WTA

Il Roland Garros ha dedicato un approfondimento a Paula Badosa

Quando i due si sono conosciuti, Marti ha avuto la sensazione che la Badosa collegasse la sua autostima soltanto ai risultati. La Badosa sostiene che a salvarla sia stata la sua capacità di continuare a lavorare nonostante i pensieri tossici, legati esclusivamente al risultato di una partita. Adesso ha imparato a godersi il processo, rendendosi conto che ogni giorno presenta una buona occasione per migliorare. Tante paure sono fuggite: appena ha la possibilità di picchiare duro, lo fa. Si è visto contro la Vondrousova, mentre la tattica non ha funzionato contro la Zidansek. Dopo la sconfitta, ha ammesso di non essere stata in grado di controllare i nervi “È molto complicato gestire un match del genere, specie dopo che lo hai desiderato così tanto”. Col tempo, tuttavia, Paula ha capito che il corpo non può fare granché se non è supportato da una testa pienamente funzionante. Neanche se è bello, atletico e allenato. E le apparenze non contano.

Il tennis è così. È uno sport molto mentale. Se la testa non è pronta di pari passo con il corpo, arriveranno pressione, ansia e depressione. È uno sport molto duro”. Una durezza ben conosciuta dalla Zidansek, che ha gestito meglio di lei la battaglia mentale. Incapace di vincere una partita a Parigi prima di quest'anno, da qualche tempo si affida a uno psicologo sportivo. “Sono sempre stata interessata a conoscere l'opinione delle persone – racconta – lui mi ha aiutato, facendomi capire che devi crederci. Non è soltanto una questione di tirare più forte o correre più veloce. Certo, puoi migliorare, ma la fiducia in se stessi è molto importante”. Quella fiducia che ha fatto la differenza nel match più importante nella carriera di entrambe. “Tornerò più forte di prima”, ha scritto la Badosa su Twitter. Chissà.