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STORIE DI MASTERS

La più bella finale del Masters. Resterà tale

L'abolizione del 3 su 5 nelle finali del Masters impedirà di rivivere le emozioni che Boris Becker e Ivan Lendl dispensarono nella notte del 5 dicembre 1988. Su Italia 1 e Telecapodistria, Rino Tommasi e Gianni Clerici raccontarono magistralmente una battaglia che si chiuse con un nastro vincente dopo uno scambio di 37 colpi.

Riccardo Bisti
14 novembre 2020

I prodigi di Youtube hanno permesso anche ai più giovani di rivedere quello straordinario matchpoint. 37 colpi ad alta intensità, chiusi da un nastro beffardo e malandrino. Era quasi la mezzanotte del 5 dicembre 1988 quando Boris Becker iniziò a flirtare con i nastri newyorkesi. Nove mesi dopo, quello contro Derrick Rostagno gli spalancò la strada per vincere il suo unico Us Open. “Sono ammirato” diceva Rino Tommasi durante quell'infinito palleggio, assecondato da Gianni Clerici. I due erano appollaiati in una cabina TV del Madison Square Garden, la più affascinante sede mai avuta dal Masters. Quella sera c'erano 17.792 persone ad assistere alla più bella finale mai giocata in questo torneo. Soltanto Sampras-Becker del 1996 ha avuto un'intensità simile. A partire dal 2008, per assecondare i capricci dei giocatori, l'ATP ha abolito le finali al meglio dei cinque set, strozzando a priori la possibilità di avere match così epici. Fino a quando c'è stato il 3 su 5, soltanto due finali si sono concluse al tie-break decisivo: quella del 2005 (Nalbandian b. Federer) e quella del 1988. Ma per bellezza, suggestioni e intensità, nulla può avvicinare il 5-7 7-6 3-6 6-2 7-6 con cui Becker sradicò il titolo dalle mani di Lendl, che aveva nel Madison Square Garden una sorta di seconda casa.

Per lui era la nona finale consecutiva (l'ultima), e aveva vinto cinque delle ultime otto edizioni. Amava talmente tanto quell'ambiente, Ivan il Terribile, che anticipò i tempi di recupero pur di esserci. Dopo la finale dello Us Open si sottopose a un'operazione alla spalla. L'obiettivo era recuperare in tempo per l'Australian Open, ma d'altra parte l'MSG si trovava ad appena 35 minuti d'auto da casa sua, a Greenwich, nel Connecticut. E Lendl (che sarebber diventato cittadino americano nel 1992) amava giocare un torneo potendo dormire nel suo letto, potendo mangiare a casa. “Ho giocato quel torneo contro il parere del mio dottore – racconta Lendl – avevo giocato qualche esibizione, sapevo di giocare bene a New York, allora ho voluto darmi una chance. La mia striscia di finali consecutive era ancora in piedi”. L'aveva inaugurata nella discussa edizione del 1980, quando si attirò mille critiche per aver perso apposta contro Jimmy Connors nel girone eliminatorio. Obiettivo: evitare Borg in semifinale. Avrebbe comunque perso contro lo svedese in finale. Col tempo, avrebbe trovato un feeling straordinario con il tennis indoor. Nei primi anni 80 avrebbe infilato una striscia vincente di 66 partite in queste particolari condizioni. Il Masters era il naturale sbocco di questa compatibilità tecnica.

Dopo il matchpoint, abbiamo assistito a scene che oggi non sarebbero possibili. Un ragazzo si fiondò in campo e avvolse Becker con la bandiera della Germania Ovest. D'altra parte, l'accoltellamento della Seles era ancora in divenire.
Lo storico matchpoint: 37 colpi ad alta intensità, chiusi da un nastro vincente di Becker

Ma in quella finale del 1988 il suo avversario si chiamava Boris Becker, affamato di rivincite dopo aver perso 7 scontri diretti su 11, comprese un paio di finali su quello stesso campo. Sostenuto dai genitori a bordo campo, Becker giocò la consueta partita a viso aperto, specchio fedele del suo carattere. Un carattere che lo ha reso icona degli anni 80, al punto da vedersi dedicare una delle canzoni più popolari del decennio. Cancellò un paio di palle break nel secondo set, artigliandolo al tie-break. “In quel momento avrei potuto dare una spallata decisiva al match” ricorda Lendl. Invece fu lotta, divenuta battaglia nel quinto set. Attacchi all'arma bianca contro difese furibonde, in un fantastico contrasto di stili sublimato dal diverso carattere dei due. Lendl sembrava essersi scrollato di dosso il tedesco con un break sul 5-5 del quinto. Andò a servire per il match con palle nuove, ma sul 30-30 fu aggredito direttamente in risposta. Palla break. Nel punto successivo, un dritto lungolinea ha spinto l'esito al tie-break. “A un certo punto, ho attivato il pilota automatico – racconta Becker – giocavo e correvo, non conoscevo neanche il punteggio”.

Il resto è storia, leggenda. Una rivalità racchiusa nei 37 colpi che chiusero la partita. Non esiste appassionato di tennis che non abbia visto – magari più volte – quel sacro scambio. “Gli angeli mi hanno dato una mano” dice beffardo Becker, anche se Rino Tommasi sottolineò come il nastro fosse stato più amico di Lendl, lungo le 4 ore e 42 minuti di partita. Dopo il matchpoint, abbiamo assistito a scene che oggi non sarebbero possibili. Un ragazzo si fiondò in campo e avvolse Becker con la bandiera della Germania Ovest. D'altra parte, l'accoltellamento della Seles era ancora in divenire. Dopo la stretta di mano, Bum Bum abbracciò sentitamente papà Karl-Heinz. “Battere Ivan in finale mi ha dato ancora più soddisfazione, perché in quel momento era dominante. Ed era un'ispirazione. Ho giocato sprazzi del mio miglior tennis, e fisicamente è stato uno dei più complessi della mia carriera”.

Ivan Lendl e Boris Becker si sono affrontati 21 volte, con un bilancio di 11 vittorie a 10 per il cecoslovacco / americano
La finale del Masters 1988, raccontata da Rino Tommasi e Gianni Clerici su Italia 1 e Tele Capodistria

Il tempo ci ha fatto scoprire un Lendl più docile rispetto a quello che mostrava allora. Non sorprende, dunque, che i suoi ricordi non siano troppo dolorosi. “Perdere con un nastro sul 6-5 del tie-break del quinto non fu divertente. Ricordo che dissi: 'Non può finire così...'. E invece accadde. Ci ho pensato a lungo, ma ebbi una sensazione dolce e amara. In fondo non ero neanche sicuro di poter giocare il torneo. Volevo essere pronto per il match d'esordio, invece sono arrivato in finale”. Non tutti sanno che nel suo box c'era un giovanissimo Pete Sampras, appena diciassettenne. In quel periodo si stava allenando con Lendl a casa sua, ed ebbe in omaggio la possibilità di seguire il match in prima fila. “Ricordo ancora quel nastro beffardo” dice Pete, che negli anni 90 avrebbe raccolto il testimone di Lendl nei dieci Masters giocati in Germania, vincendone cinque su sei finali.

Ricordi come questo dovrebbero ricordarci che le finali al meglio dei cinque set sono un'altra cosa. Regalano quel senso di epica che il 2 su 3 non sarà mai in grado di offrire. Quella sera si giocarono 326 punti, con un bilancio di 164 a 162 per Becker. Molti di loro sono stati colpi vincenti, tra volèe di Becker (alcune con tuffo) e passanti di Lendl. E poi fu una battaglia umana, con Lendl che cercava di non farsi condizionare dal pubblico mentre Becker fece più teatro, accarezzando la testa di un fotografo che era stato colpito da una pallata del suo avversario. Il suo atteggiamento gli garantì il sostegno di buona parte del pubblico, fino a che il coro Boris, Boris divenne una colonna sonora dell'incontro. Fotografie di tempi andati, immagini di un tennis che ha fatto innamorare più generazioni. Fotografie dalla più bella finale nella storia del Masters.