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LA STORIA

Un Iphone 13 per Pavel Kotov

I migliori tennisti russi emigrano per diventare giocatori. Tutti, tranne uno: Pavel Kotov è rimasto nel suo circolo a sud di Mosca. Ha perso treni importanti, ma oggi è a ridosso dei top-100. E sogna di poter regalare ai suoi genitori qualcosa meglio che un orologio o una pelliccia.

Riccardo Bisti
20 settembre 2022

“La storia si può cambiare”. Se le cose sono sempre andate in un certo modo, non è detto che debbano continuare così. È il motto con cui Diego Pablo Simeone ha riportato l'Atletico Madrid in vetta al calcio europeo, togliendo una cappa di negatività ultradecennale all'ambiente colchonero. Anche Pavel Kotov ama il calcio: secondo il sito ATP, è un tifoso del Barcellona. Magari non sarà un cholista, ma sta provando a fare nel tennis quanto riuscito a Simeone: sfatare un luogo comune. Da parecchi anni, almeno da quando Boris Eltsin (già prima di morire) aveva smesso di dedicarsi in prima persona al tennis, si dice che i tennisti russi abbiano solo una chance: emigrare. Anzi, scappare. In effetti, i Fab Four del loro tennis hanno intrapreso questa strada: Daniil Medvedev è andato in Francia, Andrey Rublev e Karen Khachanov in Spagna (quest'ultimo si è poi spostato a Dubai), mentre Aslan Karatsev ha fatto il vagabondo in giro per l'Europa, salvo poi compiere il salto di qualità in Bielorussia. In questo momento, il quinto giocatore russo (e il prossimo ad entrare tra i top-100) è il gigante moscovita, 191 centimetri radunati su un fisico massiccio e migliorabile. Un anno fa faticava a stare tra i top-300 ATP, mentre oggi è in 105esima posizione.

In mezzo tre vittorie Challenger, tutte nella penisola italiana, tutte in Romagna: due a Forlì e la più recente a San Marino, un mese fa, quando ha battuto uno dopo l'altro gli azzurri Weis, Cecchinato e Arnaldi. Sullo slancio, si è qualificato per lo Us Open dopo esserci già riuscito al Roland Garros. Il classico giocatore in ascesa, ma il focus merita particolare profondità. Kotov ha una storia tutta particolare: non si è allenato un solo giorno fuori dalla Russia. E non ha intenzione di cambiare, nemmeno adesso che la vita per gli sportivi russi è ancora complicata (“Potrei avere difficoltà nel 2023, perché il mio visto turistico per l'Area di Schengen sta per scadere. Speriamo che l'ATP mi aiuti. Per fortuna, ho un visto lavorativo che per tre anni mi permetterà di andare negli Stati Uniti”). Kotov si è avvicinato al tennis in modo casuale: doveva fare sport, e il caso volle che gli impianti sportivi più vicini a casa, nel sud di Mosca, fossero alcuni campi da tennis. Non era nemmeno un club, giusto tre campi, sui quali ha giocato fino ai 10 anni di età. A quel punto si è spostato presso il Tennis Club Chaika, laddove ha lavorato per 3-4 anni con Ekaterina Ivanovna Kryuchkova, antica scopritrice di Vera Zvonareva. In età adolescenziale si è trasferito presso il club Bud Zdorov.

«Grazie alla qualificazione al Roland Garros mi sono potuto comprare l'Iphone 13. E poi ho regalato un telefono a mio padre e una pelliccia a mia madre» 
Pavel Kotov
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Kotov attribuisce a coach Ivak Polyakov grandi meriti per il suo notevole salto di qualità

“E mi alleno ancora lì, ormai sono 11 anni. Prima che si trasferisse in Francia, era anche la base di Daniil Medvedev. È un club perfetto: ci sono 17 campi da tennis, di cui 9 indoor e 8 all'aperto, quattro in cemento e quattro in terra battuta. Inoltre non manca la palestra. Non c'è la piscina, ma la dovrebbero costruire. Però ci sono gli atleti di livello con cui allenarsi: l'ex top-30 WTA Olga Puchkova e Evgeny Karlovsky”. Difficile trovare qualcosa di simile in Russia, eppure... basta volerlo. In effetti, i club russi hanno la caratteristica di avere pochi campi, dunque sono poco adatti allo sviluppo di accademie. “Inoltre non è uno sport molto popolare – dice Kotov – e non mi pare che sia in particolare crescita. Se fate un giro in Europa, c'è tanto pubblico anche per i Challenger, mentre da noi non ci sarebbe quasi nessuno”. Dando un'occhiata al sito del club sono elencati i successi dei loro atleti. Kotov è menzionato per primo, in virtù del terzo posto ai campionati nazionali del 2017. Non è esattamente un circolo a buon mercato, perché l'affitto di un campo varia dai 1.200 ai 2.200 rubli orari (da 20 a 35 euro circa), cifre importanti per i cittadini medi.

La famiglia Kotov non naviga nell'oro, ma ha potuto andare avanti grazie all'aiuto di due magnati: Alexander Bryksin e Nikolai Zavolokin, due investitori che erano già datori di lavoro di papà Vyacheslav. Grazie a loro, ha potuto pagarsi le spese vive di una carriera che costa un mucchio di soldi, specie all'inizio. “Da giovane, la federtennis russa offriva un piccolo contributo, pagando le trasferte e garantendo un'indennità giornaliera, per un massimo di 2.000 dollari” racconta Kotov, per nulla risentito con il massimo organo nazionale. Non crede a quanto detto dal presidente Shamil Tarpischev, secondo cui è stato siglato un accordo di sostegno con ben 60 giocatori (“Saranno al massimo 10”), ma non dà particolari colpe alla FTR: semplicemente, a suo dire, mancano i soldi. E per questo c'è il fuggi fuggi verso l'estero. Qualcuno è andato ad allenarsi altrove, altri hanno fatto scelte ancora più radicali, come cambiare nazionalità. Le offerte del Kazakhstan hanno permesso, per esempio, a Elena Rybakina di giocare e vincere Wimbledon. Grazie al suo ottimo 2022, Kotov ha intascato oltre 200.000 dollari lordi, circa il 60% di quanto guadagnato in tutta la carriera. “Ok, ma io spendo 100.000 dollari all'anno, equamente divisi tra le spese per il coach e il preparatore atletico e quelle per voli e hotel”.

ASICS

Qualificandosi per lo Us Open, Pavel Kotov si è garantito un assegno da 80.000 dollari

Kotov si concede qualche giorno di relax prima del finale di stagione, in cui punta ad avvicinarsi ai top-70

La scelta di restare in Russia avrebbe potuto costargli caro, poi ha avuto la fortuna di conoscere coach Ivan Polyakov, con il quale è arrivata la tanto attesa svolta. Il team è completato dall'altro tecnico Igor Chelyshev e dal preparatore atletico Denis Stepanenko. E poi c'è mamma Lilia, ex PR che fa anche la fisioterapista ed è una figura importante della sua carriera. Per questo, in tasca rimane poco. Qualche tempo fa, Roman Safiullin ha detto che acquistare una macchina o un appartamento è fuori discussione. “Io sono messo ancora peggio – dice Kotov – lui almeno ha giocato l'ATP Cup, in cui ha guadagnato molti soldi. Grazie alla qualificazione al Roland Garros mi sono potuto comprare l'Iphone 13. E poi ho regalato un telefono a mio padre e una pelliccia a mia madre”. Adesso le cose vanno benino: ancora uno sforzo e l'ingresso tra i top-100 dovrebbe garantirgli l'accesso ai quattro Slam, con tutti i benefici del caso. Ma fino a un anno fa avrebbe potuto maledire la scelta di rifiutare la proposta del college americano: aveva 18 anni quando la Cornell University contattò lui e l'amico d'infanzia Lev Kazakov. Quest'ultimo ha accettato, ha difeso per cinque anni la franchigia dei Tribe Athletics e si è preso una bella laurea in legge.

Carriera assicurata, senza i rischi del nomadismo racchettaro. “Io scelsi di restare perché è troppo lontano. In Europa basta qualche ora di aereo e sei in Russia, mentre studiare a 12-13 ore di distanza di volo è un'altra cosa” dice Kotov, che ha preso il patentino di coach e aveva ipotizzato un Piano B come maestro di tennis. Adesso, invece, punta deciso a raggiungere il prima possibile i top-70 ATP, in modo da frequentare il circuito maggiore. “Allenarmi in Russia? La verità è che se vai all'estero diventi uno dei tanti, nessuno si preoccuperà di te in modo specifico. Invece qui mi alleno su quello di cui ho bisogno. Cambiare cittadinanza? Per ora non ci penso, credo che lo farei soltanto se la situazione fosse davvero disperata. Ma non giudico chi lo ha fatto”. Per raggiungere i suoi obiettivi, ha scelto un programma ambizioso: tenterà la via delle qualificazioni a Nur Sultan, Stoccolma, Vienna e Parigi-Bercy. Grandi tornei, grandi avversari, ma anche (potenziali) grandi guadagni. Il desiderio di regalare qualcosa a se stesso e ai suoi familiari è troppo grande. Oltre che di dimostrare che si può diventare grandi tennisti anche restando nella tanto vituperata (oggi più che mai...) Grande Madre Russia.