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I 90 ANNI DI RINO TOMMASI

Novant'anni di Circoletti Rossi: auguri Rino!

Compie 90 anni il miglior giornalista tennistico – e forse sportivo – che l'Italia abbia mai avuto. Un uomo giusto, libero, incapace di scendere a compromessi con il proprio pensiero. Avrà pure scritto “soltanto” di sport, ma omaggiarlo vale ancora di più nell'epoca in cui il giornalismo sta perdendo la sua spina dorsale. 

Riccardo Bisti
23 febbraio 2024

Nel maldestro tentativo di dirgli qualcosa che non sapesse, il giovane cronista sentenziò: “Rino, sei nato il giorno prima di Bettino Craxi”. Consapevole della vicinanza che tanto Craxi quanto Rino Tommasi avevano avuto con Silvio Berlusconi, pensava fosse una buona idea.
“Beh, si è sbagliato lui!” fu la freddura tommasiana.
Il bello è che tutti – dal collega più blasonato all'ultimo degli appassionati – possono vantare aneddoti di questo tipo con il grande Rino, che oggi taglia il traguardo dei novant'anni. Sebbene non difetti – diciamo così – di autostima, possiede una qualità straordinaria: si rivolge a tutti allo stesso modo, riservando uguale dignità a ogni interlocutore. Non ce ne vogliano i tennisti che abbiamo avuto negli anni '80 e '90, ma in quegli anni Rino ha rappresentato (meglio di chiunque altro) l'Italia del tennis. Una qualità che gli è stata riconosciuta a livello internazionale. Perché Tommasi è stato il miglior cronista mai avuto dal nostro sport. “Prima di internet c'ero io” scherzava ma non troppo, parlando della sua passione per numeri e statistiche, che portò alla battuta persino un serioso come Arthur Ashe.

“Senza di te non avrei mai saputo quante volte ho perso contro Laver” gli disse l'uomo a cui è intitolato il campo principale di Flushing Meadows, altra fonte d'ispirazione per una delle frasi-leggenda di Rino (Salvatore all'anagrafe), da cui – volenti o no – abbiamo attinto più o meno tutti. “Gli americani hanno costruito Flushing Meadows in otto mesi. Nello stesso tempo, in Italia una pratica non passa da una scrivania all'altra”. Frase tristemente d'attualità pensando alla faccenda del tetto retrattile sul Centrale del Foro Italico, di cui si parla senza particolare costrutto da vent'anni. In un articolo sul compleanno di Tommasi è d'obbligo un accenno al suo infinito curriculum: ottimo tennista (ha partecipato anche a un'edizione degli Internazionali d'Italia, nel 1957), valido organizzatore di riunioni pugilistiche, deve la sua popolarità alla professione giornalistica, in cui è stato un Numero 1 nel tennis e nel pugilato, con felici sortite nel calcio e nel football americano (ha commentato 7 edizioni del Super Bowl). “Ma ho sempre detto che, se dovessi scegliere tra la finale di Wimbledon e il mondiale dei pesi massimi, andrei a Wimbledon”. Una volta espresse un concetto simile a uno stranito Mike Tyson. Altro esempio di un'onestà intellettuale cristallina, l'incapacità di scendere a compromessi con la sua coscienza.

«Ho detto a Berlusconi che non lo voto perché è troppo di sinistra»

Un uomo libero di cui sentiamo la mancanza, specie nell'epoca in cui i giornalisti stanno perdendo la spina dorsale. Sono tempi difficili, in cui è sempre più complicato svolgere la professione nel pieno rispetto della deontologia, ma siamo certi che Rino (che ha avuto la fortuna di lavorare quando girare il mondo a caccia di palline gialle era ancora redditizio) non avrebbe cambiato di una virgola il suo atteggiamento, anche nell'epoca dello sfruttamento selvaggio e dei 5 euro a pezzo. Ne siamo certi perché lo certifica, anzi, lo incide su pietra un'altra delle sue frasi più famose: “Ci pagano per svolgere un lavoro per il quale pagheremmo noi... Forse sarebbe meglio che non lo sapessero!”. Un lavoro può piacere o meno, ma lui ce l'aveva dentro. Non staccava mai. Parlava di palle break nelle telefonate personali, e nemmeno dalla sua residenza estiva di Ussita (in provincia di Macerata) era in grado di separarsi dallo sport. Passava pomeriggi interi a guardare il torneo ATP di San Marino su Rai Tre, scriveva i suoi pensieri estivi (imperdibili!) per la mitica rivista Matchball e – appena ce n'è stata la possibilità - andava a vedere tennis dal vivo. E poco importa che fosse il Challenger di Recanati.
Tommasi non ha mai fatto giornalismo urlato. Non ne aveva bisogno, in nome di una personalità spiccata e di una preparazione fuori dal comune. ("Dicono che per me esistono solo i primi dieci del mondo. Peccato che tengo aggiornatissime le schede dei primi trecento"). Non si è mai piegato al “potente” di turno e nemmeno al giocatore più forte. “Tommasi dice le cose in faccia – ebbe a dire Adriano Panatta – però è sempre stato esplicito. Te le dice, non te le manda a dire, espone le sue ragioni e non ha secondi fini. Si può essere in disaccordo, mai però immaginare che ti stia tendendo un tranello”.

Proprio quello che dovrebbe essere il giornalismo: una franca conversazione tra intervistatore e intervistato, senza piedistalli e condizionamenti più o meno velati, col timore latente di farsi fregare. Tommasi è sempre stato fedele a se stesso, anche a costo di rimetterci direttamente. In questo senso è rivelatore l'aneddoto spesso raccontato da Ubaldo Scanagatta, il quale iniziò a scrivere nella rivista Tennis Club, diretta proprio da Tommasi. Chiamato a raccontare i Campionati di Seconda Categoria, raccolse pessimi pareri sulla superficie di gioco: il MATECO, acronimo di “Maggi Tennis Costruzioni”, un cemento granuloso che devastava le scarpe. Scanagatta lo scrisse, senza sapere che MATECO fosse tra gli sponsor della rivista. Ovviamente chiesero scuse e rettifica. Difendendo l'onestà intellettuale del suo cronista, e condividendone il contenuto, Tommasi ignorò la richiesta, rinunciando – di fatto – alla sponsorizzazione. L'autorevolezza (guai confonderla con autorità) si conquista anche così. Non è un caso, dunque, che il suo lavoro sia stato apprezzato all'estero (ma era scontato) ma anche in Italia, laddove non sempre i meriti emergono. Diciamolo pure: laddove quelli come Tommasi faticano a trovare il giusto credito. Ma l'USSI (Unione Stampa Sportiva Italiana) non poté fare a meno di premiarlo per l'intervista con un certo Henry Kissinger, che dunque non aveva soltanto Gianni Agnelli come interlocutore italiano. Senza contare i premi di letteratura sportiva CONI vinti con Storia del Tennis e La Grande Boxe.

Rino Tommasi e Gianni Clerici hanno formato una delle coppie di telecronisti più note di sempre, al punto che furono intervistati dal "Times"

«A inizio carriera, firmavo gli articoli anche con lo pseudonimo Tom Salvatori. Un giorno un lettore mi incontra e mi dice: “Signor Tommasi, la ammiro ma c’è un giornalista più bravo di lei: Tom Salvatori!”»

Alcuni passaggi indimenticabili delle telecronache di Rino Tommasi e Gianni Clerici

Non era infallibile, ci mancherebbe ("Non credo che Sampras vincerà mai Wimbledon"), ma le sue uscite profumavano di Cassazione. Erano sentenze, molte delle quali raccolte dall'imperdibile libricino I Circoletti Rossi di Rino Tommasi, pubblicato una decina d'anni fa da Ubitennis, in cui si leggono un paio di centinaia di citazioni, alcune storiche, altre esilaranti. Rileggendole, ci si sorprende nel rendersi conto di quante frasi, quanti concetti, quanti neologismi siano stati coniati da Rino Tommasi e vengano utilizzati ancora oggi, sdoganati dal linguaggio comune. Altre sono divertentissime, altre ancora fanno sorridere e riflettere allo stesso tempo. “Le giocatrici non devono prendere il cognome del marito. Innanzitutto perché si crea confusione, e poi per non costringerci a seguire le loro vicende sentimentali” oppure “Io farei le Olimpiadi per dopati e per non dopati, solo che quelle per non dopati andrebbero deserte”.

Per inciso, il libricino fu presentato durante gli Internazionali d'Italia ma non al Foro Italico, poiché non vennero concessi gli spazi interni del torneo. Già, perché l'indipendenza di pensiero di Rino non è stata sempre gradita all'ex FIT (oggi FITP), forse per quella scelta del 2000 che rischiò di mandare all'aria un piano politico studiato da tempo. Mentre Tommasi era a Lisbona per seguire le ATP Finals, venne ripetutamente chiamato da Franco Bartoni per chiedergli di candidarsi a presidente federale, poiché si stava delineando lo scenario di un'elezione a candidato unico. “Un'elezione alla quale si presenta un solo candidato non è mai divertente né auspicabile” diceva Bartoni. Dopo qualche remora, cedette alle insistenze e si presentò a Fiuggi contro Angelo Binaghi “con la certezza di non vincere e senza aver fatto una telefonata”. Onestà intellettuale impone di ricordare che, in verità, presentò la sua candidatura in una conferenza stampa alla Canottieri Roma e qualche lettera ai circoli arrivò. Altrimenti difficilmente sarebbe arrivato al 35%, dato lusinghiero ma insufficiente, che tuttavia gli permise di continuare a fare il giornalista, alternandosi tra libri, TV e carta stampata.

«Tutti nella loro vita hanno diritto alla stessa quantità di ghiaccio: l’unica differenza è che i ricchi ce l’hanno d’estate e i poveri d’inverno»

A Rino Tommasi si deve molto, a partire dalla capacità di educare gli appassionati a una cultura sportiva diversa da quella dominante, secondo cui un evento è interessante (e dunque merita di essere seguito) soltanto se c'è un italiano vincente. Tantissimi appassionati si sono innamorati del nostro sport anche in assenza di azzurri tra i top-10, e questo è tra i principali meriti di Tommasi. Per questo, lo hanno spesso accusato – in modo spesso rozzo e volgare – di essere anti-italiano. “Io lo considero un complimento! - disse nel 2007 - Questo succede perché purtroppo le generazioni dei nostri teleascoltatori sono abituate a cronisti patriottici e allora avvertono come antipatriottica l’obiettività. Questa è la ragione principale. Molti ci accusano addirittura di essere contenti se i giocatori italiani perdono, ma non è affatto vero, soprattutto per uno che fa il mio mestiere. Se Becker fosse nato a Merano io avrei fatto molte più cronache interessanti e anche da un punto di vista giornalistico avrei avuto dei grandi vantaggi".

Purtroppo la mentalità dominante è tornata a diffondersi, e forse è questo il rimpianto più grande: la produzione giornalistica di Tommasi è cessata qualche anno fa, ed è un peccato che non abbia potuto seguire e raccontare le prodezze di Jannik Sinner. Sarebbe stato molto più onesto, autorevole e rigoroso dei tanti (professionisti e non) che hanno scritto sul tema in queste settimane. E lo avrebbe meritato, per tutto quello che ha fatto in una vita interamente dedicata allo sport, con passione e purezza cristalline, con meriti che non sempre gli sono stati riconosciuti. Per questo, abbiamo trovato molto dolce il saluto mandato da Elena Pero (tra i suoi principali allievi) prima di commentare la finale di Wimbledon 2021, con Matteo Berrettini in campo. Cresciuta con lui, e avendone assimilato i valori, non poteva che esordire così. Ci sarebbe molto, molto altro da scrivere, perché Rino è un pozzo senza fondo. Ma questo è un articolo, per un libro ci sarà eventualmente tempo. Grazie Rino. E tanti auguri.

«Mi piacerebbe esprimere un personalissimo parere sul lavoro del giornalista sportivo. E’ possibile che la qualità accademica e culturale di coloro che si occupano di sport non sia straordinaria, ma certamente si tratta della categoria più preparata ed attenta. Potete sbagliare un dato o un riferimento se scrivete di economia, di politica, di storia, d’arte o di letteratura, ma se scrivete (o parlate) di sport dovete fare molta attenzione perché vi rivolgete a gente pronta a cogliervi in errore e presso la quale è difficile conquistare e difendere la propria credibilità. E’ quello che ho sempre cercato di fare da quando faccio questo lavoro, quindi da sempre»