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ANALISI

L'evoluzione (tecnica) di Rafa Nadal

Per arrivare a 22 titoli Slam come è riuscito a Rafa Nadal occorrono sacrificio, dedizione al lavoro e profondo amore per il proprio lavoro. Nel corso degli anni, Nadal si è reinventato tecnicamente e tatticamente per stare al passo con le nuove generazioni e per salvaguardare il fisico. Ripercorriamo gli step che gli hanno permesso di essere ancora così forte a 36 anni di età.

Stefano Maffei
17 giugno 2022

UN DESTRO NATURALE - Da bambino Rafa serviva con la sinistra e giocava entrambi i fondamentali a due mani perché era molto minuto, e non aveva la forza per sorreggere la racchetta con una sola mano. Giocando in quel modo vinse il Campionato Under 12 delle Baleari. L’imprinting evolutivo iniziale lo si deve a Jofre Porta, tecnico esperto in biomeccanica e lateralità che ha lavorato con lo spagnolo tra gli 11 e i 14 anni d’età, il quale consigliò ad Antonio Nadal (al secolo Zio Toni) di fargli giocare il dritto a una mano dato che nel circuito non c'erano tennisti quadrumani, con le isolate eccezioni di Fabrice Santoro e Jan-Michael Gambill nel maschile, più Monica Seles tra le donne. Zio Toni suggerì al nipote di staccare una mano e giocare il dritto con quella che lui reputava più forte. Servendo con la sinistra, la scelta parve ovvia. Porta smentisce parzialmente, affermando che un giorno Zio Toni gli confidò che essere mancino per Rafa avrebbe potuto costituire un vantaggio (dato che i punti più importanti nel tennis si giocano spesso sul lato sinistro e che il dritto di un mancino finisce con l’incrociare sul rovescio di un destrorso) dando ad intendere che in realtà lo zio aveva già in mente un piano ben preciso. Comunque sia andata, non v’è dubbio che lo zio più famoso del circuito abbia avuto delle intuizioni che a posteriori si sono rivelate determinanti.

PIU’ FORTE CHE PUOI. Negli ultimi vent'anni del secolo scorso gli spagnoli erano prevalentemente regolaristi. A cambiare paradigma arrivò Carlos Moya (come lui di Maiorca e idolo di'infanzia di Nadal) sul finire degli anni ’90. Moya era dotato di un buon servizio, un ottimo dritto e un discreto gioco di volo, doti che lo hanno portato ad ottenere risultati anche sulle superfici rapide (in particolare il cemento) e in vetta al ranking (primo spagnolo a riuscirci). Nadal nasce tennisticamente nel suo mito, ma inizialmente il suo servizio è inesistente (non sapeva servire in slice come ricorda Luca Appino durante un’intervista rilasciata al giornalista francese Christian Despont, e soprattutto aveva una pessima estensione delle gambe come ha ricordato invece a più riprese zio Toni), il rovescio è quasi una rimessa e la volée è una mera opposizione al passante avversario. Però il ragazzo ha in dote delle qualità fisiche mostruose, generosamente concessegli in retaggio genetico dal padre e soprattutto dallo zio Miguel-Anguel (ex-difensore del Barcellona e della nazionale spagnola), così Toni Nadal cerca di “incattivirlo” agonisticamente e, prima ancora di insegnargli le geometrie del campo, ne stimola l’aggressività: gli lancia ripetutamente delle palle corte e molli e lo incita a colpire duro, sempre più forte, anche a costo di perder di vista il campo. “'Colpisci più forte che puoi' gli ripetevo. È così che è diventato ferocemente aggressivo in campo” racconta Antonio.

«Mio nipote sa fare molte più cose sul rettangolo di gioco di quelle che molti possano immaginare, ma che bisogno ne ha dato che ciò che fa gli basta per vincere?» 
Toni Nadal
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A inizo carriera, Nadal riusciva a coprire quasi tutto il campo con il dritto. Il primo scontro diretto contro Federer (Miami 2004) è emblematico in questo senso

DUE DRITTI. L’ascesa di Nadal è stata talmente repentina che non ha avuto nemmeno il tempo di issarsi al primo posto delle classifiche Juniores. A 17 anni sedeva già al tavolo degli adulti: impegnava Hewitt all’Australian Open e batteva Federer (allora N.1) a Miami. Aveva una “debordanza” fisica che gli permetteva di coprire quasi tutto il campo con il dritto. Il rovescio era ancora un colpo di manovra, che lasciava andare solo quando lo costringevano a tirare il passante, così spesso e volentieri aggirava la palla per cercare quasi ossessivamente il colpo migliore, anche se questo voleva dire dover percorrere da parte a parte l’intera linea di fondocampo per raggiungere la pallina. Il suo dritto è sempre stato un colpo poco ortodosso, composto da due esecuzioni diverse ma allo stesso tempo egualmente efficaci. Un “primo dritto” che potremo definire “di manovra” con l’ovale della racchetta che compie un movimento ellittico sopra la sua testa ricordando molto il moto rotatorio di un tornado, per poi tornare nella sua posizione di partenza e col quale riesce ad imprimere alla palla una rotazione tale che nei suoi picchi poteva raggiungere le 5.000 rotazioni al minuto, cifra clamorosa se paragonata ai 3.400 raggiunti da Pete Sampras. La palla, una volta varcata la rete e toccato terra, sprigiona tutta la rotazione e genera un effetto “onda anomala” difficile da gestire per i monomani, ma anche per i bimani se non dotati di un buon anticipo. Il “secondo dritto” che potremmo definire invece “di chiusura” comporta meno rotazione e un movimento del corpo meno dinamico, peso del corpo sulla gamba destra ben piantata a terra, il gesto del colpo è più netto, definitivo, simile ad una sciabolata, e la racchetta fluttua meno nell’aria. Solitamente è preceduto da una serie di “primi dritti” coi quali si costruisce il punto fino a regalarsi l’opportunità di concluderlo non appena l’avversario accorcia; è in grado di giocarlo con elevate percentuali di successo, indipendentemente dalla posizione.

IL SOGNO WIMBLEDON. Sempre Luca Appino riporta un simpatico aneddoto: “Un giorno mentre eravamo in Sud Africa, siamo andati a fare un giro in elefante, Rafa doveva avere 16 o 17 anni. Eravamo sullo stesso elefante. Ad un tratto siamo passati accanto ad un rinoceronte e la guida ci ha chiesto di rimanere calmi e in silenzio. Rafa aveva paura, si è girato verso di me e ha detto: Spero non ci succeda nulla perché devo ancora vincere Wimbledon. Quella era la sua ossessione”. Laddove tutti gli spagnoli desideravano di vincere il Roland Garros, lui sognava di vincere Wimbledon. Già nel 2003, fresco diciassettenne, riuscì a raggiungere il terzo turno battuto solo da Paradorn Scrichaphan (n.12 del tabellone). Come osservò Gianni Clerici, Nadal staccava già allora la seconda mano per colpire un buon back di rovescio. Si intravedevano talento e manualità dietro a un tennis soprattutto muscolare. Si trattava solo di sgrezzare quel diamante per raffinarlo a dovere. Nel 2007 Nadal è già il Re della terra battuta, è nel pieno dell’esplosione fisica, ma qualcosa ancora manca nel suo gioco per poter ottenere i medesimi risultati sulle altre superfici, così fa ciò che sa fare meglio: si rimette al lavoro. Il Nadal che si presenta sui prati nel biennio 2007/2008 è un giocatore diverso: in risposta ha ridotto la distanza dal campo di un paio di metri, forza maggiormente il servizio, fa un uso costante dello slice, accorcia il movimento del dritto e spinge maggiormente col rovescio, oltre a mostrare buone qualità di tocco. Il 6 luglio 2008 compie l’impresa: batte Re Federer nel suo giardino al termine di una partita leggendaria. Una cosa che ha sempre distinto Nadal dal resto del gruppo è la sua propensione all’ascolto e all’apprendimento, cosa che ha più volte sottolineato suo zio come nella Conferenza alla Fundaciòn Universitaria CEO San Pablo di Madrid, intitolata “Tutto si può allenare”: “Il mio impegno con Rafa era quello di dirgli la verità, non ciò che voleva sentirsi dire. Ascoltare e lasciarsi consigliare è un segno di intelligenza. Solo gli sciocchi conoscono tutto”.

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La finale di Wimbledon 2008 rimane uno dei match più iconici nella storia del tennis

Uno dei migliori Nadal di sempre si è visto nella finale dello Us Open 2010. Di sicuro non ha mai servito bene come in quel torneo

IL TURBO ROVESCIO. Nel 2009 si nota un ulteriore accorgimento tecnico: accorcia il movimento del dritto facendolo partire dal basso per non caricare troppo sulle ginocchia malandate; anche esteticamente la resa è diversa ma l’efficacia resta la medesima. Gioca un grande torneo, ma la semifinale epica contro Verdasco lo prosciuga di tutte le energie. In finale lo attende un Federer in grande spolvero. Il maiorchino, memore dei progressi compiuti dalla parte del rovescio, da quel lato gioca in spinta tutto il match togliendo il tempo allo svizzero e costringendolo in più di una circostanza a giocare di “rimessa”. Federer corre più in quella partita che in tutto il torneo, e al quinto è sorprendentemente il primo a finire la benzina.

LA QUESTIONE AMERICANA. Nonostante il successo in Australia e il secondo Wimbledon targato 2010, un nutrito gruppo di opinionisti e tifosi continua ostinatamente a non dargli chance su quello che all’epoca era sicuramente il cemento più veloce tra i due Slam extraeuropei: il Decoturf americano è certamente più rapido del Plexicushion australiano. E invece.. Nonostante un’estate americana giocata piuttosto in sordina, si presenta ai nastri di partenza dello Us Open con un servizio nuovo di zecca: velocizza il movimento abbreviando il tragitto compiuto dal braccio sinistro per andare ad impattare la palla, al fine di ottenere una prima meno lavorata e più veloce. Risultato: una prima costantemente sopra i 200 km/h, l’82,4 % di punti vinti con la prima durante tutto il torneo, nessun servizio perso sino ai quarti di finale (record di allora in uno Slam, battuto dallo stesso Nadal nello stesso torneo tre anni dopo quando riuscì a non perdere il servizio sino alla semifinale con Gasquet) e appena quattro break incassati in tutto il torneo, nel quale solo Djokovic in finale gli portò via un set. Insomma, non solo ha smentito tutti i suoi detrattori, ma lo ha fatto vincendo il torneo da dominatore assoluto, confermando quando profetizzato da Rino Tommasi, appena due mesi prima, all’indomani del secondo successo londinese: “Questo Nadal vince anche sul ghiaccio”.

IL PROBLEMA DJOKOVIC. Come Federer prima di lui, anche Nadal ha trovato nella seconda decade dei 2000 la sua nemesi nel serbo Novak Djokovic il quale nel 2011 è stato in grado di batterlo in 6 finali su 6, più quella dell'Australian Open 2012. Anche a questo problema Nadal ha trovato la risposta: il dritto lungolinea. Infatti Nadal per tutta la carriera ha quasi sempre impostato i punti sul rovescio dell’avversario fino a stancarlo. Col serbo questa tattica non funzionava, sulla diagonale di sinistra è riuscito a contenere meglio di chiunque altro il dritto di Nadal col suo anticipo bimane di rovescio. Alla fine il primo ad accorciare era Nadal e questo dava modo al serbo di dettare la maggior parte degli scambi. Rafa è stato così costretto ad inserire una variante decisiva nella costruzione tattica del punto: il cambio col dritto lungolinea che ha stanato Nole dalla sua zona di comfort aprendo brecce importanti nella difesa del serbo, invertendo l’inerzia del palleggio. Questo colpo ha riequilibrato le sorti del confronto con più episodi nell'Era Open maschile: a oggi sono 59.

TENNIS TOTALE. Nel biennio 2015-2016 Nadal ha cominciato a mostrare il fianco da un punto di vista fisico. Acciacchi e usura hanno finito per presentargli il conto. Basti pensare che fino allo Slam americano del 2015 il suo bilancio al quinto set era di 17 vittorie a fronte di sole 5 sconfitte (era il performer migliore in questa particolare statistica, adesso è Djokovic), mentre nei sei anni successivi il saldo è stato addirittura negativo con sole 5 vittorie e ben 8 sconfitte. Questo ha reso necessario un nuovo upgrade, stavolta cambiando regime alimentare: ferma restando una base di pesce, nella sua dieta sono stati inseriti i datteri e l’acqua di mare che lo aiutano molto, prima e durante i match. I datteri, fonte di magnesio, calcio, potassio, ferro e zinco, gli danno un apporto energetico immediato e non gli pesano sullo stomaco, a differenza delle barrette energetiche che prendeva precedentemente. Questo gli ha permesso anche di perdere qualche kg alleggerendo il fisico martoriato e rendendolo più snello e agile (sempre rapportandolo all’età chiaramente), un percorso che ha ricordato agli appassionati di cinema quello intrapreso dalla sua mimesi cinematografica in Rocky III. Ovviamente l’altra necessità è stata quella di approntare un nuovo schema tattico alle partite: accorciare gli scambi, variare il più possibile, e quando la partita si allunga gestire le risorse a disposizione (magari lasciando anche andare qualche game una volta acquisito un considerevole vantaggio). A proposito della variazione, tornano alla mente le parole dello zio: “Mio nipote sa fare molte più cose sul rettangolo di gioco di quelle che molti possano immaginare, ma che bisogno ne ha dato che ciò che fa gli basta per vincere?”. Sicuramente quello che abbiamo visto nella finale con Djokovic al Roland Garros 2020, quest’anno in finale a Melbourne contro Medvedev, e come ha gestito la stanchezza nella recente semifinale parigina con Zverev, legittimano quanto affermato dall’ex coach di Nadal.

Contro il serbo due anni fa Nadal ha compiuto un capolavoro tattico, variando continuamente profondità, taglio, rotazione e velocità col rovescio, mandando in confusione il serbo. Capolavoro ripetuto a gennaio di quest’anno contro il russo, “azzoppato” alla distanza dalla miriade di rasoiate di rovescio eseguite da Nadal che lo hanno costretto a giocare costantemente ginocchia a terra (molto logorante per un atleta alto due metri), perdendo a poco a poco potenza e intensità, per poi finirlo con millimetrici drop shot. Nella semifinale con Zverev, Nadal ha compiuto la sua ultima magia. Sfiancato dalle maratone con Auger Aliassime e Djokovic, lo spagnolo vince un primo set da 98 minuti. Nel secondo parziale è palesemente a corto di energie ed è costretto ad inventarsi qualcosa per restare a galla, deve attingere a quel “tennis totale” già mostrato contro Nole e contro il russo: aumentano i back e le variazioni, così come i serve & volley (come ha ricordato Tim Henman nel dopo partita della finale: “Nadal ha una buonissima volée, ma è la posizione a rete a renderlo estremamente efficace in quella zona del campo, non è mai fuori posto”). In quel secondo set c’è tutta la sagacia tennistica di Nadal. L’emblematico settimo game racchiude perfettamente il “Nadal-pensiero”, che è qualcosa che va oltre l’acume tattico: non avendo l’energia per continuare a scambiare da fondo, gioca due punti da “pittino” durante i quali “chiama” a rete Sasha, poi lo ricaccia indietro col pallonetto, poi lo attira nuovamente a rete per riproporgli ancora un lob. Zverev, che non ha certamente la manualità di Nadal, ha finito per incartarsi. In quei 2 punti c’è tutta la genialità di Nadal, la capacità di leggere i vari momenti della partita. Dopo oltre 3 ore di gioco, il tedesco è stato costretto al ritiro a seguito di una brutta distorsione, figlia anche della fatica alla quale Nadal lo ha sottoposto facendolo correre più di quanto aveva immaginato.
Nadal ha poi dominato la finale, tenendo a bada un giocatore privo di armi per metterlo in difficoltà. Un'impresa che ha conquistato le prime pagine di tutto il mondo. Forse non è un caso che proprio il giorno dopo si sia spento Gianni Clerici. In fondo il vecchio “Dottor Divago” ne aveva viste di cose in 500 anni di tennis, chissà che dopo quella di domenica 5 giugno non abbia pensato che era il giunto il momento di riporre penna e calamaio.. Che forse non serviva più aggiungere altro.