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AUSTRALIAN OPEN

L'esecuzione

Un forcing di oltre tre ore abbatte Djokovic e spinge Sinner in finale all'Australian Open. Battere Djokovic è fantastico, a Melbourne è immenso, in bagarre è paranormale: può essere l'inizio di una nuova epoca, a patto che Jannik continui a pensare di non essere il migliore. E continui a lottare per diventarlo. 

Riccardo Bisti
26 gennaio 2024

La citazione gli farà piacere, se non altro perché Jannik Sinner è appena diventato testimonial della Formula 1. C'è una frase che descrive lo spirito del primo italiano in finale all'Australian Open.”L'importante è non pensare mai di essere il migliore, ma impegnarsi sempre per diventarlo”. Parola di Jenson Button, Campione del Mondo nel 2009. Nel suo caso era ancora più vero, visto che una dozzina d'anni prima era stato bocciato all'esame di guida. Ogni gesto di Jannik Sinner trasuda umiltà. Anche se in tante cose lo è già, non crede di essere il migliore. Continua a migliorarsi, a cercare il dettaglio che gli consenta di crescere. Prima era la condizione atletica, poi il servizio, poi il gioco di volo. State certi che troverà altro. Ma venerdì 26 gennaio 2024 passerà alla storia. A caldo è fin troppo facile parlare di passaggio di consegne. Non mancano gli elementi per pensarlo, a partire dai 14 anni di differenza con Novak Djokovic e il modo in cui lo ha battuto, nel suo feudo, in una semifinale Slam. 6-1 6-2 6-7 6-3 di forza e bravura, con il consueto spruzzo di umiltà.

Nell'intervista sul campo con Jim Courier ha sottolineato come Djokovic non fosse il solito nei primi due set. Altri si sarebbero beati della loro performance, lui no. La verità è che Jannik ha cancellato il serbo dal campo mettendo in atto un forcing che autorizzerebbe metafore belliche. Evitiamo, dato il momento. Però si può fare un paragone con il Risiko: Djokovic era sempre in difficoltà, in rincorsa. Jannik aveva i piedi sulla riga, colpiva quasi in controbalzo e non gli dava il tempo per respirare, figurarsi colpire. Il gran numero di errori gratuiti del serbo sono frutto del pressing sfrenato del suo avversario, che conquistava gradualmente il territorio, piazzando bandierine in ogni zona del campo. Ma tutti sapevano – Jannik in primis – che Nole avrebbe fatto il possibile per rimettere in sesto la partita. Così è stato. Percentuali migliori al servizio, qualche errore in meno, e il match è entrato in equilibrio. Il terzo set ha messo a dura prova il sistema nervoso di Sinner: prima un game di risposta sul 5-5, perso con rimpianti (e lo stop di qualche minuto per il malore di uno spettatore), poi il tie-break perduto nonostante il matchpoint a favore (dritto in rete dopo che aveva risposto bene).

Djokovic è sempre stato in svantaggio, a tratti dominato, sempre boccheggiante, sott'acqua, incapace di mettere la testa fuori dalla fossa per respirare un po'. Anche dopo aver vinto il terzo set non aveva lo sguardo feroce, sfondo dei suoi successi più importanti.

Non sappiamo se Sinner conosca la massima di Jenson Button, ma in quel momento l'ha messa in pratica. Avrà pure dato un minuscolo segno di disappunto al cambio di campo, ma ha ripreso a giocare come se niente fosse. E anche se l'intensità non era quella dei primi due set, il vero capolavoro l'ha fatto nel quarto set. Ha scippato il servizio a Djokovic sul 2-1, ricucendo un game in cui era in svantaggio per 40-0. Come sul 5-5 del primo set nella sfida del girone alle ATP Finals, come nel mitico game dei tre matchpoint annullati in Coppa Davis. “Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, tre indizi sono una prova” diceva Agatha Christie. Senza dare ulteriori tocchi di giallo alla partita, Sinner l'ha chiusa da campione. A parte l'umanissimo tremore sul 15-15 dell'ultimo game (unico doppio fallo, poi rimediato con un ace), ha sigillato la sfida con un dritto vincente, senza aver concesso a Djokovic lo straccio di una palla break.

In 414 partite Slam, al serbo non era mai successo. Cosa aggiungere? Riprendendo Agata Christie e i tre indizi, Sinner sembra riuscito laddove avevano fallito più o meno tutti: battere Djokovic in una situazione di bagarre. Quando la partita diventa una guerra psicologica, in cui bisogna raschiare il barile delle proprie energie, il serbo ha sempre trovato quel qualcosa in più. Nei momenti spartiacque delle sue più importanti rivalità ne è spesso uscito vincitore. Contro Sinner, invece, è già inciampato per tre volte. Torino, Malaga, Melbourne, un Triangolo delle Bermuda che lo spaventa. Ripetiamo: a caldo sarebbe troppo facile parlare di passaggio di consegne, concetto giornalisticamente troppo invitante, ma il recente caso di Carlos Alcaraz invita alla prudenza. Si dicevano queste cose dopo la finale di Wimbledon, poi Djokovic ha avuto bisogno di appena un paio di mesi per rimettere le cose a posto.

Jannik Sinner agita il pugno durante il quarto set. Pochi minuti dopo, avrebbe tirato l'ultimo dritto vincente

Sinner-Djokovic, una sintesi da guardare e riguardare

Però c'è quel sentore, un sentimento che galleggia nell'aria... Sembra che per Sinner sia diverso. Lui è il robottino, il soldatino, The Tennis Guy, costruito da un'umanissima catena di montaggio che lo fa sembrare indistruttibile. A ben vedere, Djokovic perse la finale di Wimbledon tra mille rimpianti. Erano passati alcuni treni buoni, non li aveva presi. Stavolta è sempre stato in svantaggio, a tratti dominato, sempre boccheggiante, sott'acqua, incapace di mettere la testa fuori dalla fossa per respirare un po'. Anche dopo aver vinto il terzo set non aveva lo sguardo feroce, sfondo dei suoi successi più importanti. In avvio di quarto c'è stato un piccolo calo di intensità di Sinner, ma lui non ne ha approfittato.

Ha già rischiato sullo 0-1, poi sull'1-2 ha perso quei cinque punti di fila che gli sono costati il set, la partita, il torneo. Adesso Djokovic è a un bivio: ingegnarsi per risolvere l'ennesimo enigma della sua carriera, oppure iniziare a pensare di aver intrapreso una strada irreversibile. Passaggio di consegne? Presto per dirlo. Per ragionarci dobbiamo aspettare l'esito della finale di domenica, quando Jannik Sinner potrebbe interrompere un italico digiuno Slam che dura da quasi mezzo secolo. Forse i tempi sono maturi, forse no, ma è lui il predestinato a rompere barriere talmente antiche da essersi incrostate. L'importante è che continui a non pensare di essere il migliore, ma insista nel lavorare per diventarlo. Solo così si può aprire un'epoca tutta nuova. E inedita.