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US OPEN

Infinito

Andreas Seppi è sempre rimasto fedele ai suoi princìpi. Una tenacia che gli è stata trasmessa da bambino, insieme a valori ormai perduti: riconoscenza e fedeltà. Mamma Maria Luise cuciva giorno e notte per farlo giocare, lui ha ricambiato con 800 settimane tra i top-100 ATP. A New York ha centrato l'ennesima impresa.

Riccardo Bisti
3 settembre 2021

Se devo scegliere un colpo con cui chiudere la partita della vita, vorrei fosse con un rovescio lungolinea: quando lo gioco bene, mi sento forte”. Andreas Seppi ha gioiosamente scoperto che i sogni si possono avverare in tanti modi, anche diversi da quelli immaginati. La partita della vita l'ha giocata il 23 gennaio 2015, quando ha battuto Roger Federer all'Australian Open. Finì con un passante di dritto, con una traiettoria un po' così, come benedetta da una forza sovrannaturale. La vittoria numero 384 della sua fantastica carriera è maturata con un altro dritto, in direzione anomala. Hubert Hurkacz si è proteso alla sua sinistra, ma non c'è arrivato. A 37 anni e mezzo, Andreas ha artigliato il terzo turno dello Us Open per la quarta volta. Ma questa è più bella, più saporita, più emozionante. C'è spazio per la retorica e sì, ne facciamo un po' perché – chissenefrega – ogni tanto ci vuole. E perché Andreas fatica a esprimere le emozioni più profonde. Difficile che si commuova, fedele agli insegnamenti di una famiglia che gli ha trasmesso i tipici valori altoatesini, a partire da papà Hugo. Uomo di poch(issim)e parole, voleva che Andreas prendesse a tutti i costi il diploma, ma un giorno capì che il tennis stava diventando una cosa seria.

Il figlio aveva 16 anni, lo prese da parte e gli disse: "Devi essere serio, andare fino in fondo, crederci. Non è più un divertimento: è un lavoro e devi viverlo come tale. Noi non possiamo aiutarti". Perché i Seppi sono una famiglia normale, di quelli che trovi sull'elenco telefonico (e li trovi ancora, proprio come i Sinner: i vezzi da pseudostar li lasciano ad altri). Hugo fa l'autotrasportatore, mamma Maria Luise lavora in un negozio. Nessuno conosce meglio di una madre i tormenti interiori di un figlio, e lei capì che il tennis poteva essere il futuro di Andreas. Coach Massimo Sartori (al suo fianco dal 3 luglio 1995, guai dimenticare la Sacra Data) e Alex Vorhauser (presidente del TC Caldaro, anzi, Kaltern) gli davano una mano, ma l'attività era sempre più costosa. Difficile trovare i fondi, ancor più difficile farlo capire a papà Hugo. E allora gli raccontavano che c'era il sostegno della Federazione Italiana Tennis, invece arrivavano grazie ai sacrifici della mamma. Lo confessò a Marco Bucciantini nel 2012: “Li guadagnavo di giorno, cucendo a macchina per i compaesani, orli e lavori più complessi. Lavoravo anche di notte e poi davo i soldi ad Andreas, per farlo giocare”. Lui era presente, la guardò e serrò le mascelle. Lo fa sempre, anche quando un tie-break è sul 7-7. Quella volta era diverso, ma seppe trattenere le emozioni. Si limitò a ricordare di non aver mai avuto un motorino, e di non ricordare neanche una pizza fuori con i genitori. “Non si sprecava niente”.

PLAY IT BOX
"A Hugo dicevo: 'Non ti preoccupare, sta pagando la federazione'. Non era vero: lavoravo anche di notte e poi davo i soldi ad Andreas, per farlo giocare"
Maria Luise Seppi

23 gennaio 2015: Andreas Seppi batte Roger Federer all'Australian Open

Oggi le notes ATP raccontano che ha intascato oltre 11 milioni di dollari di soli montepremi, quindi l'aneddoto si può ricordare. E si può dire che papà Hugo è stato accontentato: Andreas si è diplomato a ragioneria con un dignitoso 74, senza mai essere bocciato. In tempi difficili, Seppi è l'italiano di cui andare orgogliosi. “Francamente non mi interessa essere ricordato come una buona persona, preferirei esserlo per le vittorie” ebbe a dire, in uno slancio di schiettezza. Ma è doveroso riconoscergli la capacità di essere diventato un campione senza mai tradire i suoi princìpi, rimanendo sempre se stesso, fedele alle sue idee e a chi gli ha dato fiducia quando era un ragazzo. Non ha mai cambiato sponsor tecnico o marca della racchetta, perché le persone che ci sono dietro valgono più di un brand. E nel 2010 ebbe la personalità di dire no alla Coppa Davis perché c'era un ambiente avvelenato. Resistette a forti pressioni, anche trasversali. Il suo coraggio fu spinta importante per aerare il clima. E chi è arrivato dopo ne ha tratto beneficio. D'altra parte a Caldaro si respira aria pulita, e lui vuole annusarla a pieni polmoni.

Anche per questo ha scelto di andare a vivere in un posto simile: Boulder, in Colorado, insieme alla moglie Michela e alla figlia Liv, nata un giorno prima del suo 36esimo compleanno. Chissà se la bimba farà in tempo a capire che il papà è un campione del tennis. Questo pensiero è stato fonte di motivazione per diversi giocatori, chissà se lo sarà per Andreas. Intanto Liv era a Biella lo scorso inverno, quando Andreas ha vinto il suo ultimo Challenger. Poco dopo ha effettuato la consueta infiltrazione all'anca: due punture all'anno che gli permettono di andare avanti, ma dopo tanti anni è sempre più complicato. Adesso non vanno più sulla cartilagine, ma direttamente sull'osso, costringendolo a pause più lunghe e a sopportare un fastidio maggiore. Durante l'estate c'è stato qualche momento in cui si è domandato se valesse la pena andare avanti. Secondo coach Sartori, col sorriso commosso nascosto dagli occhiali da sole dopo la vittoria con Hurkacz, ama troppo il tennis per smettere. “Basta guardarlo quando è in campo”. E molti lo hanno guardato, contro il polacco che è in lizza per un posto alle ATP Finals, in competizione con Jannik Sinner. Prima di affrontarlo, Andreas ha chiesto qualche consiglio proprio a Sinner. Lo ha ripagato con una vittoria, dandogli una bella mano in ottica Torino.

Andreas Seppi con la moglie Michela e la figlia Liv dopo il titolo a Biella (Photo by Felice Calabrò)

Quella contro Hubert Hurkacz è stata la vittoria numero 384 nella carriera di Andreas Seppi

Una decina d'anni fa, non c'erano dubbi sul fatto che Andreas Seppi fosse il tennista italiano più forte nell'epoca post-Panatta. Poi Fognini gli è passato davanti, sono arrivati i Berrettini e i Sinner (non potrà neanche dire di essere il più forte altoatesino...), senza dimenticare chi spinge per superarlo, da Sonego a Musetti. Però la carriera di Seppi rimarrà un unicum nella storia del nostro tennis, un mix tra qualità e quantità che difficilmente avrà eguali. Qui non ha senso estrarre il pallottoliere delle vittorie, dei successi di tappa o exploit già incastonati nello scrigno dei ricordi. Semmai, vale la pena ricordare che ha trascorso 798 (settecentonovantotto!) settimane tra i top-100 ATP e il numero è destinato a salire. Perché la favola di Andreas Seppi non è ancora terminata. Se sabato dovesse battere l'allampanato (e temibile) Oscar Otte (“Lo conosco, ci ho giocato contro in Bundesliga”) diventerebbe il secondo italiano a raggiungere gli ottavi in tutti gli Slam.

Annusava questo traguardo da anni, potreva essere il primo a riuscirci, ma a New York non ce l'ha mai fatta. Poi è arrivato il ciclone Berrettini che gli è passato davanti. Quello stesso Berrettini che potrebbe affrontare in un ipotetico ottavo tutto italiano. Andreas è troppo esperto per fare voli pindarici, ma chi lo apprezza è legittimato a farlo. Anche perché prima o poi dovrà chiudere un match con un rovescio lungolinea, il colpo che gli piace di più. E pensare che da ragazzo non riusciva a tirarlo bene, fino a quando coach Sartori non gli ha dato una sequenza fotografica del rovescio di Yevgeny Kafelnikov. Il russo divenne il suo idolo, quelle foto le ha conservate e non è un caso che uno dei tre titoli ATP sia arrivato proprio a Mosca, sotto gli occhi dell'ex principino. “Voglio fare il tennista ancora a lungo. È il mio mestiere, un lavoro fortunato, sto vivendo il mio sogno" diceva Seppi un paio di lustri fa. Un sogno iniziato a Kramsach, in Austria, a meno di 200 km da casa Era il maggio 2001 e Seppi giocò il suo primo match professionistico. Perse 6-7 6-3 6-1 contro Patrick Schmolzer, ma aveva iniziato a sognare. Vent'anni dopo, quel sogno è ancora vivo.