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Il tennis potrebbe cambiare... per una ripicca

La rivoluzione di cui si parla da settimane sarebbe nata da un'idea di Craig Tiley, irritato perché l'ATP stava per concedere un Masters 1000 agli arabi nel periodo dell'Australian Summer. Le sue proposte hanno generato una serie di effetti a cascata che (a breve) porteranno a una proposta formale: un Super Tour con i grandi tornei e tutto il resto ridotto ad attività collaterali. 

Riccardo Bisti
29 dicembre 2023

Tutto sarebbe cominciato da una rivendicazione del proprio status, una sorta di ripicca. La Rivoluzione del circuito mondiale (la maiuscola non è casuale) – se davvero si concretizzerà – è nata durante Wimbledon, quando alle orecchie attente di Craig Tiley è giunta voce che Andrea Gaudenzi stava per chiudere un accordo con l'Arabia Saudita. Temendo che nel tennis potesse replicarsi quanto accaduto nel golf (un tour separatista che ha versato decine di milioni nelle tasche dei giocatori, togliendo potere al PGA Tour), avrebbe garantito agli arabi un Masters 1000 a inizio stagione. “A partire dal 2025, la stagione inizierà da làaveva detto Angelo Binaghi, il primo a rendere pubblica la notizia. L'operazione, tuttavia, non aveva tenuto in considerazione gli effetti a cascata sull'Australia e i suoi tornei di inizio anno. Non solo l'Australian Open, ma le tappe di avvicinamento: United Cup, Brisbane, Adelaide, Hobart. La mitica Australian Summer che da decenni segna l'inizio della stagione. Un Masters 1000 saudita avrebbe messo in ginocchio i primi tornei australiani, ma in quel momento non era la priorità di Gaudenzi. La sua priorità era placare la fame di tennis dei sauditi.

È la ricostruzione di Matthew Futterman in un dettagliato articolo uscito sul The Athletic, in cui svela la genesi di un progetto che dovrebbe portare il tennis a costruire un super-circuito, in stile Formula 1, riservato ai migliori. Una quindicina di tornei, con tutto il resto destinato a diventare – nella migliore delle ipotesi – un tour collaterale. Quando Craig Tiley (noto per essere direttore dell'Australian Open, ma è anche CEO di Tennis Australia) ha appreso delle intenzioni di Gaudenzi, ha pensato di rispondere per le rime, in modo trasversale. “L'estate australiana è un evento collaterale? Bene, ce ne andiamo”. Ha contattato i responsabili degli altri tre Slam per proporre una scissione tra il top del circuito e tutto il resto, lanciando un Circuito Premium. Mese dopo mese, la sua idea ha trovato slancio (i primi spifferi pubblici risalgono a un mese fa), ha trovato sponda nell'iperattiva PTPA e – secondo un dirigente anonimo menzionato da Futterman - “Siamo più vicini alla soluzione di quanto non sia mai successo”. Nelle prossime settimane (magari durante l'Australian Open?) dovrebbe arrivare una proposta formale per lanciare un nuovo Super Circuito che comprenderebbe Slam e Masters 1000 sia maschili che femminili, a cui potrebbero aggiungersi eventi in città importanti come Washington, Tokyo e Pechino (la capitale cinese ospita un “1000” femminile, ma non maschile).

I Masters 1000 sono molto ambiti: gli Slam li vogliono e l'ATP non li vuole perdere.

Si parla da decenni di questi argomenti, ma alla fine i circuiti ATP-WTA sono rimasti più o meno uguali a se stessi. Perché stavolta dovrebbe essere diverso? La ragione risiederebbe in due forze esterne che un tempo non c'erano: l'onda araba e la PTPA. Dei primi, ormai, sappiamo tutto. Qualunque sia la ragione (sportwashing, sincero interesse o voglia di ripulire la propria immagine), vogliono investire pesantemente sullo sport. Oggi è il momento del tennis, laddove hanno trovato terreno fertile: i tennisti raccolgono solo il 25% dei ricavi complessivi. Cosa c'è di meglio che un investitore esterno disposto a pagare di più e far lavorare meno? E poi c'è la Professional Players Tennis Association che ormai spopola tra i giocatori, essendo diventata una piattaforma per attaccare lo status quo. ATP e WTA hanno commesso l'errore strategico di vederla come un agitatore esterno, un disturbatore senza diritto di cittadinanza. È di due mesi fa la scelta di Steve Simon (ormai ex CEO WTA) di non far partecipare un rappresentante PTPA a una riunione con le top-20. Con un dettaglio: la maggior parte sono membri PTPA. Al contrario, gli Slam hanno scelto di collaborare, creando un clima di fiducia e una disponibilità a offrire sempre più soldi. È di queste ore la notizia dell'ennesimo aumento del montepremi dell'Australian Open (+13%).

“Hanno compreso che dobbiamo essere accettati e vogliono che ci sediamo al tavolo” ha detto Vasek Pospisil, co-fondatore PTPA. A queste forze esterne si è aggiunta la consapevolezza che gli Slam non hanno bisogno dei circuiti ATP-WTA. La certezza è arrivata l'anno scorso, quando Wimbledon ha vietato la partecipazione a russi e bielorussi per via delle note vicende belliche. In tutta risposta, ATP e WTA hanno tolto al torneo ogni valore per le rispettive classifiche mondiali: bene, l'evento è stato un successo, senza alcun forfait e i consueti record di pubblico e ascolti. Dei punti in palio non interessava nulla a nessuno. Da lì, la convinzione che un maxi tour con una ventina di tappe (Masters compresi) sarebbe perfettamente sostenibile. E il resto del circuito? Questo è il principale nodo da sciogliere. Secondo i rivoluzionari, gli altri tornei (500, 250 e Challenger) diventerebbero una sorta di tour di sviluppo, frequentato da giocatori in lotta per accedere al top. Non sarebbe precluso ai migliori: di tanto in tanto potrebbero giocare qualche evento, per mettere partite nelle gambe o intascare ingaggi. Tuttavia, i risultati non sarebbero validi per la classifica principale. Una sorta di riproposizione – ma a livello più alto – dell'ITF Transition Tour sperimentato qualche anno fa e poi abbandonato.

Da quando guida l'ATP, Andrea Gaudenzi ha ripetuto decine di volte che il tennis ha bisogno di più unità e meno divisioni

Il 27 dicembre, la Riyadh Season ha ospitato una ricca esibizione tra Novak Djokovic e Carlos Alcaraz

Il Super Tour, tuttavia, non avrebbe scopi separatisti. Sarebbe una gestione congiunta tra Slam, ATP, WTA e giocatori. Questi ultimi contratterebbero collettivamente la loro quota di ricavi. Nonostante il progetto sia nato da una mezza ripicca nei suoi confronti, sarebbe uno scenario non troppo diverso da quanto auspicato da Gaudenzi: da quando guida l'ATP, ha ripetuto decine di volte che il tennis deve mettere da parte le lotte intestine e proporsi come un prodotto unico, anche e soprattutto in termini commerciali. Come andrà a finire? Impossibile ipotizzarlo, vista l'immensità degli interessi in gioco e la varietà degli attori coinvolti. Nella sua analisi, Futterman prova a ipotizzare vincitori e sconfitti. I primi sarebbero i Masters 100: “Oggi sono molto ambiti perché gli Slam li vogliono e l'ATP non li vuole perdere”. Viene citato un alto dirigente che ne possiede uno, secondo il quale oggi è molto bello essere un Masters 1000. In altre parole, i vincitori sarebbero tutti quelli che si siederanno all'ipotetico tavolo principale. E gli sconfitti? Chiaro, i torneo di piccole dimensioni.

Dopo anni per costruirsi una tradizione e milioni spesi per le licenze, rischiano di trovarsi fuori dal circuito principale. Secondo John Morris (gestore di tennisti con la sua 72 Sports Group) dovrebbero riorganizzarsi e trovare un nuova attrattiva. “Immagino una serie di circuiti regionali con tennisti che competono per accedere ai tornei più importanti. Inoltre non andrebbero in sofferenza finanziaria, perché giocherebbero nelle loro aree geografiche: i montepremi potrebbero persino rimanere gli stessi, perché i costi non aumenterebbero”. Traduzione: il concetto di Circuito Mondiale resterebbe per i grandi eventi, mentre i giocatori di secondo piano si limiterebbero a tornei nei rispettivi continenti, con la speranza di accedere al gradino successivo. Visione inedita: il tennis manterrebbe il suo status di sport globale, ma solo per i più forti, mentre gli altri sgomiterebbero in Europa, Asia, America... a seconda della loro provenienza. Un po' come accade negli sport motoristici e, in parte, nello sci. Non sappiamo se andrà davvero così, e non lo sanno nemmeno i diretti interessati, però c'è un dato di fatto: i tempi non sono mai stati così maturi.