The Club: Bola Padel Roma
INTERVISTA ESCLUSIVA

Iga Swiatek, The Special One

La campionessa di Roland Garros racconta come è arrivata al successo e come è cambiata la sua vita. «In tv seguivo solo Nadal. Ho vinto Parigi ma la strada non sarà in discesa»

Federico Ferrero
27 novembre 2020

«Ciao, sono Iga. Posso chiamarti tra due minuti?». In un fascinoso documentario di inizio anni Ottanta, The French, si può ammirare Chris Evert stirarsi il gonnellino negli spogliatoi prima di scendere in campo per i quarti di finale. Il tutto, sotto gli occhi della telecamera e del personale del torneo. Quarant’anni dopo, per parlare con un’atleta di fama e valore insondabili, che forse perderebbe al primo turno contro Chris Evert anche oggi, è di regola passare per almeno due filtri ostativi: manager e addetto stampa o, come si suole dire in tempi di social, lo #staff (preferibilmente col cancelletto).

Viene da pensare che per Iga Świątek, pronuncia sviòntec per chi come noi inciampa nelle consonanti e nei segni ortografici polacchi, scrivere al giornalista con il suo cellulare e piazzare un’emoticon a fine testo sia l’ultimo velo di genuinità da teenager che resiste a una vittoria Slam, benché il sorriso e la gentilezza se li porti da casa e c’è da pensare che non li abbandonerà. Come quelle accelerazioni violente, robuste e il servizio kick che, nel mondo femminile, contano pochissimi precedenti e hanno scavato buche nella terra impantanata del Roland, pardon, del Poland Garros 2020. Il gioco flambé di Iga ha abbattuto una sfilza di barriere: Świątek è la prima polacca a vincere un torneo dello Slam, la prima nata negli anni Duemila; la prima a trionfare a Parigi con una classifica così bassa (54). Ha fatto del Roland Garros-covid un feudo con la medesima naturalezza del Kuerten edizione 1997, quando quel brasiliano fluorescente spuntò dalle retrovie e si fece largo con una superiorità imbarazzante sui grandi vecchi (si fa per dire, 29 e 26 anni) come Muster e Bruguera. Facendoli sembrare, tutti quanti, dei dinosauri del tennis, totalmente démodé.

Nei piedi leggera, nelle braccia pesante, Iga pare piantare i pugni nel sacco dei pugili, ogni volta che decide di alzare il volume allo scambio. Riesce a generare forza anche nella palla più smorta

Quella ragazzona nata a Varsavia nel maggio 2001, proprio nei giorni in cui Guga cancellava match point all’oscuro Russell negli ottavi e correva verso il suo terzo titolo a Parigi, ha riservato il medesimo trattamento a chi ha trovato per strada sui viali svuotati del Bois de Boulogne, pur in arrivo da una mesta sconfitta al primo turno agli Internazionali italiani contro la macchinosa Arantxa Rus. Sberle alla ex finalista Vondrousova (6-1 6-2), alla ex semifinalista Bouchard (6-3 6-2), alla testa di serie numero uno Halep (6-1 6-2, e pareva che l’altra tirasse al rallentatore «e neanche io so dire precisamente come ho fatto, ricordo che pensavo che se l’aveva battuta Amanda (Anisimova) su questo campo allora ce la potevo fare pure io»), a Sofia Kenin in finale (6-4 6-1). Tra le sue vittime, anche la splendida Martina Trevisan, una partita in cui Iga aveva tutto da perdere perché affrontava una qualificata «e non potevo pensare di giocare come contro Simona, non era realistico. Sapevo quanto lei avrebbe lottato e ho accettato di poter sbagliare qualcosa di più, soprattutto all’inizio, senza perdere la pazienza».

Sette partite, neanche un tie-break; né un set in cui abbia perso più di quattro giochi. È il trattamento che solitamente Nadal infligge ai suoi avversari in Francia. Vederla colpire la palla offre una sensazione rara di freschezza: nei piedi leggera, tanto da rendere il campo piccolo così; nelle braccia pesante, con il dritto che sembra un cazzotto in pancia e, il rovescio, una fiondata. Una meccanica esecutiva spavalda e forzuta che non trova riscontri nella WTA, dominata da movimenti ovali, abbondanti, dai gesti ampi alla ricerca della spinta. Iga no, lei pare piantare i pugni nel sacco dei pugili, ogni volta che decide di alzare il volume allo scambio. Riesce a generare forza anche nella palla più smorta.

Quel gancio da cavallerizzo del Far West ricorda molto da vicino il top spin più celebre del pianeta: «Infatti quando ero piccola seguivo solo Nadal. Non guardavo né altri giocatori, né seguivo il circuito femminile. Senza pensarci troppo, in campo provavo a giocare alla sua maniera e qualcosa mi è rimasto»

A un secondo sguardo, quel gancio da cavallerizzo del Far West ricorda molto da vicino il top spin più celebre del pianeta. «Infatti è proprio lui, Rafa – ammette ridendo –. Quando ero piccola, in televisione seguivo solo Nadal. Non guardavo né altri giocatori, né seguivo il circuito femminile. Senza pensarci troppo, in campo provavo a giocare alla sua maniera, e qualcosa mi è rimasto». Quindi nessun idolo da sfidare, prossimamente. «Nel tennis femminile, no. Semmai, ho ammirazione per qualcuna: Serena, su tutte, perché è la più grande. Mi piacerebbe molto incontrarla anche perché, onestamente, non so per quanto tempo ancora avrà voglia di giocare. Non importa dove, e neanche se vincerò o perderò; certo, potessi scegliere direi il rosso, perché sull’erba ho vinto da junior a Wimbledon ma mi sento ancora insicura. Mi basterebbe avere l’occasione di misurarmi con lei».

Chissà se ce l’avrà. Il covid promette di sconquassare anche il calendario 2021 ma, tra le poche sicurezze, c’è che la qualità del suo tennis non sfiorirà. Molto difficilmente si assisterà a una parabola-precipizio stile Ostapenko 2017, dal nulla al titolo Slam alla quasi costante penombra. Asics ha puntato su di lei a inizio 2020, in un periodo di incertissimo passaggio dei poteri, nel quale scommettere sulla prossima regina è affare che rende la vita ostica alle agenzie di scommesse: ora come ora, Iga si è rivelata la carta migliore di tutte. Per il precedente sponsor tecnico, la multinazionale dell’Oregon col baffo, Iga era una delle tante e si è accorto di lei – ha raccontato il coach a Sport Poland – solo quando aveva deciso di andarsene, mettendole sul tavolo una superofferta migliore delle altre. Che la ragazza ha rifiutato, preferendo un accordo che contemplasse anche il suo staff. Non è da tutti, saper essere riconoscenti.

Asics ha puntato su di lei a inizio 2020, in un periodo di incertissimo passaggio dei poteri, nel quale scommettere sulla prossima regina è affare che rende la vita ostica alle agenzie di scommesse: ora come ora, Iga si è rivelata la carta migliore di tutte

La Polonia, in delirio per la nuova campionessa, ha sostenuto per anni, appena meno appassionatamente di Aga Radwanska, Caroline Wozniacki, danese di padre polacco. Quando Iga l’ha affrontata a Toronto 2019, una campionessa in carica all’Australian Open e l’altra nulla, con 11 anni di gap e un set iniziale perso 1-6, invece di arrendersi alle straordinarie doti difensive dell’avversaria, Świątek l’ha semplicemente presa a pallate. Trentaquattro colpi vincenti. Wozniacki, asserragliata a fondocampo, aspettava regali che non arrivavano, tremori che non si manifestavano. Quella partita è stata una delle sue prime contro una top player, lei arrivava dalla qualificazioni e, per la prima volta, le riuscì di sgambettare una stella con quel gioco così “maschio”. «Non so dire se il mio tennis sia di stampo maschile, sicuramente non ho copiato tenniste. Al di là del mio modello, Rafa, penso che il mio gioco sia un mix di cose. Prima di tutto, l’istinto. Non penso troppo, vado e basta. Poi, il mio primo coach (Michał Kaznowski, che se l’è goduta da casa in tivù, e l’ha formata dai 10 ai 15 anni) mi ha insegnato cose importanti come il servizio kick, che adesso è una delle mie armi. E ci metterei anche il mio mindset».

La mentalità è anche frutto delle tecniche di Daria Abramowicz, giovane psicologa dello sport che Iga ha reso celebre e che, a quanto pare, gliel’ha messa giù semplice: «Io non credevo che si potessero vincere gli Slam concentrandosi sul gioco di gambe. O sulle piccole cose. Non mi sembrava possibile. E glielo dicevo anche: mi sembrava troppo facile, troppo banale. Daria mi ha convinto del contrario. Lavoro con lei perché credo che la psicologia non serva solo a risolvere problemi, ma anche a migliorarsi. Ha insistito per farmi capire di nutrire basse aspettative, perché era l’ansia di raggiungere il risultato che mi aveva fatto giocare male prima di Parigi. Basse aspettative non vuol dire pensare di perdere, ma non avere il chiodo fisso del successo. È tenere lo sguardo basso».

Papà Wozniacki ha commentato il successo di Iga Świątek con una frase a effetto: adesso ha comprato una Ferrari, solo il futuro ci dirà se sarà in grado di guidarla. «Lo so che non sarà in discesa, ma resto convinta che questo Slam non avrà un impatto negativo su di me, perché voglio continuare il mio sviluppo, voglio diventare più matura»

Dopo il primo ottavo di finale Slam a gennaio 2020, Iga ha tenuto anche un profilo basso nel rendimento della stagione post lockdown: malino nella trasferta Usa (primo turno a Cincinnati-Flushing contro McHale, fuori al terzo turno contro Azarenka a New York), malissimo al Foro. La sua guida tecnica dal 2016 è Piotr Sierzputowski, un ragazzo di appena 28 anni, che afferma di fare il coach dall’età del reato di lavoro minorile, 13 anni. Allenava la sorella. Quando Iga litigò col suo ex tecnico per aver perso malamente, proprio a Roland Garros contro Potapova, il direttore tecnico del Legia Varsavia gli chiese se fosse disponibile a seguire quella quindicenne di belle speranze. Era disponibile. «Per mesi, durante lo stop, con Piotr e il mio team mi sono allenata bene. Solo che in partita non rendevo. A Roma, ricordo la sensazione spiacevole di non voler stare in campo e giocare match, perché in allenamento facevo bene e, in partita, male. Daria continuava a insistere sul fatto che mi dovessi concentrare sul lavoro da fare, sulle piccole cose, sul percorso e non sul risultato. Vincere o perdere era solo una conseguenza. È stata la cosa più preziosa: riuscire a spostare l’attenzione dal punteggio a me stessa. Mi sono fidata e ha funzionato sempre meglio». Sierzputowski, tra Roma e Parigi, l’ha riportata a casa e fatta colpire per tre giorni contro un altro “muro” simile alla Rus. Per allenare la pazienza che, talora, la abbandona.

Già coach Kaznowski parlava di Świątek ragazzina come di un vulcano: talora esuberante, altre volte pigra, ancora da sgrezzare ma di sicuro talento. Non impazziva per gli allenamenti ma per la competizione. Purtroppo per lei, in Polonia si gioca poco: evanescenti gli aiuti dalla federazione, zero wild card nei tornei all’estero. Lei abitava con la famiglia nel villaggio rurale di Raszyn, un piccolo municipio a sud di Varsavia, campi coltivati e qualche capannone, e la sua vita è trascorsa a lungo lontana dalle rilevazioni radar, almeno fino a quel Wimbledon 2018 vinto senza essere tra le favorite, battendo al primo turno la testa di serie numero uno Whitney Osuigwe (oggi 160 WTA) e Leonie Jung in finale (oggi 157). Altri nomi di ragazze del 2001 circolavano con insistenza: Potapova, Anisimova, Mcnally. Lei, lavorava per costruire un gioco che fosse vincente da grande, non nei torneini under: «Sbagliava tanto – ricorda Kaznowski in un’intervista a Polishnews – ed era incostante, ma aveva il coraggio di prendersi un rischio e tirare il colpo sui punti importanti. Sapevo che quella qualità le sarebbe servita da adulta, più ancora che da junior». Lo scorso 13 ottobre, nel viaggio di ritorno da Parigi a Varsavia, il pilota del suo volo ha cambiato la sigla del velivolo sul transponder e, finalmente, tutta Europa ha potuto leggere il suo nome nei cieli: Iga 1.

Quando le hanno chiesto come si sentisse ad aver superato, in due settimane, una diva nazionale come Radwanska, finalista a Wimbledon ma mai regina Slam, si è schermita. «L’ho fatto sinceramente: appena tornata in Polonia, ho vissuto l’entusiasmo di tutta la nazione, c’erano i fan impazziti, i giornali, le tivù. Del resto, chi si poteva aspettare un risultato del genere. Ma lo penso davvero, che Agnieszka sia tuttora la migliore, perché è stata per più di dieci anni al top nella WTA. La costanza dei risultati è la sfida più grande. E lo posso dire perché ho appena vinto uno Slam dopo aver perso al primo turno nel torneo precedente!».

Iga non sembra così bambina, anzi: ascolta i Pink Floyd e i Pearl Jam, a Parigi si caricava con Welcome to the Jungle dei Guns n’Roses. E ha un gatto di nome Grappa: sì, proprio per quel motivo. Altro che aranciata

Ambiziosa, Iga lo è anche per esempio familiare: il padre, Tomasz, è stato olimpionico nel canottaggio a Seoul 1988, i Giochi dei fratelli Abbagnale, e spinse perché la famiglia facesse sport. Certo, anche tennis, che gli piaceva molto. «Ha fatto tantissimo per noi, ha dato tutto», dice lei. Facendo intendere che non ci fosse da scialare, in casa. La sorella di tre anni maggiore, Agata, ci ha provato per prima; spesso, affrontava la sorella di coach Sierzputowski. Ha mollato a 15 anni per i troppi infortuni, ora studia per diventare dentista. Iga ha iniziato con l’unico obiettivo di diventare più forte di lei. «Con la mia seconda figlia – ha detto Tomasz ai media polacchi – ho cercato di non fare gli stessi errori», che probabilmente significa aver lasciato la secondogenita più libera, senza appesantirle le spalle e senza far sentire troppo la propria presenza. «Per me – dice Iga – la cosa peggiore di questo sport, che mi piace in tutto, dalle sfide, ai viaggi, sono proprio gli infortuni. Ne ho già avuti, ricordo quelli di mia sorella e trovo che sia difficile accettarli. Sono l’unica cosa che mi disturba, perché arrivano quando vogliono, e possono rovinare tutto. Magari sul più bello».

Sierzputowski la racconta come un «animale da competizione», da non ingabbiare troppo, pervasa più dall’agonismo che non dal ragionare su tecnica e la tattica. Nel tempo, il coach è riuscito a contenere gli alti e a sostenere i bassi e soprattutto a farsi ascoltare. «Non è che prima di Roland Garros non gli dessi retta, o che facessi il contrario di quello che mi diceva quando preparavamo le partite. È che non seguivo troppo il piano di gioco, ero un po’ selvaggia: per esempio allo US Open, che secondo me è il primo Slam in cui mi sono sentita davvero bene, quando ho affrontato Azarenka mi aveva detto di giocarle soprattutto sul dritto. Non l’ho fatto. E non mi sono resa conto, durante il match, che giocarle sul rovescio mi stava costando tanti punti. Quindi a Parigi mi sono detta che avrei seguito alla lettera quello che mi chiedeva di fare: da fuori hai una prospettiva migliore, più fredda, vedi le cose meglio. Semmai, il problema è che negli Slam non esiste il coaching, quindi ne potevamo parlare soltanto prima dell’incontro».

Come coach in cerca di prossima impegno, Piotr Wozniacki ha commentato il successo di Iga Świątek con una frase a effetto: adesso ha comprato una Ferrari, solo il futuro ci dirà se sarà in grado di guidarla. «Lo so che non sarà in discesa, anzi: adesso le altre mi conoscono meglio, giocheranno per battermi molto più di prima. Ma resto convinta che questo Slam non avrà un impatto negativo su di me, perché voglio continuare il mio sviluppo, voglio diventare più matura».

Eppure non sembra così bambina, anzi: ascolta i Pink Floyd e i Pearl Jam, a Parigi si caricava con Welcome to the Jungle dei Guns n’Roses. E ha un gatto di nome Grappa: sì, proprio per quel motivo. Altro che aranciata.