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IL CASO

Dayana Yastremska e quel "maledetto" rapporto sessuale

La complicata (e iper-censurata) sentenza ITF conferma le indiscrezioni: il mesterolone era entrato nel corpo di Dayana Yastremska stramite un rapporto sessuale con l'ex fidanzato. Per dimostrare la sua innocenza, si era persino sottoposta alla Macchina della Verità.....

Riccardo Bisti
5 agosto 2021

Soltanto una volta ci era capitato di leggere una sentenza con così tante omissioni e sbianchettamenti. All'epoca era in ballo la radiazione del serbo David Savic, il quale ammise di aver provato a corrompere alcuni colleghi in cambio di guadagni illeciti. Gli oscuramenti riguardavano i nomi di terze persone, tennisti compresi (peraltro facilmente intuibili). Ancora più censurato il pronunciamento del Tribunale Indipendente ITF che ha scagionato Dayana Yastremska dalle accuse di doping a seguito della positività al mesterolone. Nelle 34 pagine che riabilitano la giovane ucraina ce ne sono diverse oscurate, censurate, annerite. Sono i passaggi più interessanti – ma anche più intimi e scabrosi – sul come il mesterolone sia entrato nel suo corpo. Per lei è importante aver ottenuto l'annullamento della squalifica (e c'è da chiedersi se chiederà un risarcimento per aver perso sei mesi di competizione), ma la vicenda è davvero degna di una spy story. E la lettura della sentenza (o meglio, quel che si può leggere), fa capire che la sostanza è entrata nel suo corpo tramite uno o più rapporti sessuali con il suo ex fidanzato, il cui nome è scientemente oscurato. Parzialmente confermate le indiscrezioni pubblicate lo scorso maggio dal Der Spiegel, che aveva raccontato il possibile sviluppo della vicenda.

Poche ore dopo l'inchiesta realizzata dal cronista Jannik Schneider, la stessa giocatrice aveva sostenuto che la storia fosse “falsa e diffamatoria”. Oggi di quell'articolo non c'è più traccia e l'autore ha cancellato il tweet in cui lo pubblicizzava. Conteneva il virgolettato del ragazzo, il quale sosteneva di aver testimoniato a favore della giocatrice, assumendosi le responsabilità del contagio, solo su pressione del padre di lei. Dalla lettura delle carte emerge che la sera del 23 novembre (giorno precedente al controllo), la Yastremska e il ragazzo hanno partecipato a una festa di compleanno di un parente, salvo poi trascorrere la notte insieme e consumare almeno due rapporti sessuali, delicatamente definiti “contatti fisici”. Il giorno dopo, la giocatrice aveva indicato la fascia 13-14 come finestra temporale per i controlli antidoping. Alle 12.46 fu avvisata dal padre che gli addetti si erano effettivamente presentati a casa sua, e nella memoria difensiva ha sostenuto che avrebbe avuto la possibilità di saltare il controllo senza timore di conseguenze: non aveva mai saltato un test e la sanzione scatta solo se accade tre volte in dodici mesi. Un modo come un altro per certificare la sua buona fede.

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Dayana Yastreska si è sottoposta alla Macchina della Verità. Il test è stato condotto a Dubai dal Dottor Keith R. Ashcroft, il quale ha sostenuto che la possibilità che abbia mentito sia inferiore all'1%.

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La giuria non l'ha ritenuto valido, così come il test del capello e – pensate un po' – la Macchina della Verità, altro strumento portato a sua discolpa e che avrebbe evidenziato un grado di sincerità superiore al 99%. Però hanno creduto alle prove scientifiche secondo cui la giocatrice non aveva colpa e nemmeno negligenza, dunque meritevole di piena assoluzione. Ma ricostruiamo i fatti: il 23 novembre 2020, come detto, Dayana era alla festa di compleanno di suo zio (fratello di mamma Marina). Al termine, è andata a fare una passeggiata in città con il suo ragazzo (il nome della città è stato cancellato). Il giorno dopo, gli ispettori si sono presentati a casa sua alle 12.45. Un minuto dopo, il padre l'ha avvisata e lei stava già rientrando a casa. Ha accelerato per svolgere il test e tutto si è svolto regolarmente. La Yastremska frequentava il ragazzo da agosto, e lui non le aveva mai detto di assumere farmaci contenenti il mesterolone, sostanza che serve per trattare carenza di testosterone e infertilità. Tali circostanze sono state confermate dal diretto interessato, sia pure a distanza e con una dichiarazione non giurata.

In uno dei tanti punti oscurati, la Yastremska e il suo entourage (quattro avvocati più un'interprete) hanno spiegato le ragioni per cui il ragazzo ha scelto di non comparire in udienza. Il mesterolone è venduto liberamente in Ucraina, mentre in Russia il suo possesso può avere addirittura conseguenze penali. Di certo è controindicato per le donne e non fornisce alcun vantaggio sportivo. La Yastremska ha presentato un test del capello che ne evidenziava l'assenza: per questo, l'assunzione sarebbe stata unica, accidentale e involontaria. Come detto, l'11 gennaio 2021 si è addirittura sottoposta alla Macchina della Verità. Il test è stato condotto a Dubai dal Dottor Keith R. Ashcroft, il quale ha sostenuto che la possibilità che la Yastremska abbia mentito è inferiore all'1%. La storia sarebbe quasi divertente, non fosse che la prova non è stata accettata perché il Test del Poligrafo (altro nome della Macchina della Verità) non è accettato negli ordinamenti giuridici di quasi tutto il mondo, compresi quello britannico e svizzero.

La Yastremska ha potuto giocare il torneo olimpico, ma ha perso al primo turno sia in singolare che in doppio

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Nonostante tutto, il tribunale ha creduto al malloppo di prove portato dalla Yastremska e le ha consentito di tornare in gara con effetto immediato, anche se non in tempo per Wimbledon. Da allora ha giocato tre tornei, cogliendo la semifinale ad Amburgo e le sconfitte immediate alle Olimpiadi e qualche giorno fa a San José, contro Claire Liu. In questo momento è scesa al numero 46 WTA dopo essere stata in 21esima posizione. Il caso Yastremska non è l'unico di questo tipo: alle Olimpiadi di Tokyo ci sono altre due atlete che sono state scagionate per aver contratto sostanze proibite tramite un rapporto sessuale. La prima è la pugile americana Virignia Fuchs, nel cui organismo erano stati trovati letrozolo e GW1516. Tuttavia, la USADA (l'agenzia antidoping americana) scoprì che tali sostanze erano assunte dal suo partner, il quale l'avrebbe infettata tramite rapporti sessuali. L'altro episodio riguarda la canoista canadese Laurence Vincent-Lapointe, peraltro una delle più forti nella sua disciplina.

Nel 2019 risultò positiva al ligandrolo, ma già a inizio 2020 ha ottenuto l'assoluzione perché dimostrò che la sostanza era entrata nel suo corpo a seguito di un abbondante scambio di fluidi corporei con il suo ex fidanzato, un giocatore di football americano che ammise di aver preso un farmaco contaminato alla vigilia del controllo della canoista. C'è da credere che gli avvocati della Yastremska conoscessero questi precedenti. Qualche giorno fa, inoltre, vi abbiamo relazionato sul documentario ARD in cui si dimostrava la contaminazione da steroidi può avvenire anche tramite un semplice tocco corporeo. Al di là di questi episodi, e degli aspetti quasi morbosi del caso Yastremska, è legittimo porsi una domanda: per evitare casi limite di questo tipo, non sarebbe opportuno inserire una piccola soglia di quantitativo necessario per stabilire un caso di doping? Certo, liberalizzare minuscole quantità di sostanze proibite potrebbe piacere agli appassionati di microdosaggio, ma anche il più convinto colpevolista avrà dubbi sugli episodi descritti. E forse si eviterebbero processi e situazioni che hanno molto di stucchevole.