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INTERVISTA

Angelo Mangiante, questo piccolo grande amore

Per molti appassionati di sport, Angelo Mangiante, 55 anni, è il giornalista che ci accompagna in tante partite della Serie A e della Champions League. «Ma il mio unico e grande amore sarà sempre il tennis»

Intervista di Federico Ferrero
30 gennaio 2021

Angelo Mangiante, prima di riuscirci altrove, ci ha provato in campo. Il suo primo approccio al tennis non è contenuto nel libro Le leggende del tennis pubblicato per Diarkos, ma è vivo nei ricordi: nel 1986 è stato numero 708 al mondo, ed erano i tempi in cui «incontravo in Spagna Riccardo Piatti, che girava per i Futures con i suoi ragazzi delle Pleiadi di Moncalieri. Mi capitava di incontrare nei tabelloni di qualificazione Furlan, Caratti, Mordegan, Brandi». Angelo giocava il tennis dei suoi tempi, soprattutto in Italia: se nel calcio era palla lunga e pedalare, qui era correre, arrotare e non sbagliare.

«Per forza: sono del 1965, quando Panatta vinse Roma e Parigi avevo 11 anni e, per imitarlo, passavo le ore a palleggiare contro il muro. Solo che, ai tempi, la didattica del tennis non era così sofisticata. Abitavo a Roma sud, vicino a casa avevo il circolo Virtus che fu pioniere per le accademie: non c’erano soci vecchio stampo, era in mano a due fratelli, i Ciabocco, che amavano il tennis e il padre aveva costruito loro un piccolo club per far allenare i ragazzini. C’erano i fratelli Francesco e Simone Ercoli, Alessandro De Minicis… Un mondo lontano, si giocava con le racchette di legno. Soprattutto, il mio maestro amava il ciclismo e diceva che il tennis doveva essere una sofferenza. Voleva un tennis di regolarità: guai a giocare una smorzata per liberarsi dello scambio. Quindi sono cresciuto così, pensando a Borg, a Vilas. Un tennis di regolarità e di fatica».

Ma perché proprio il tennis? Adriano aveva il padre custode dei Parioli, i tuoi erano appassionati?
«Per niente. A casa mia, il tennis lo portò la televisione. Mio padre aveva un vivaio, di cui poi hanno preso a occuparsi i miei fratelli. Non credo sia mai venuto a vedere una mia partita, né che tuttora conosca i punteggi del tennis. Stessa cosa per mia madre. Sono io che l’ho preso sul serio, nel senso che avevo una passione sfrenata per questo sport. I miei non capivano perché, ma accettavano».

Solo che emergere dai tornei Futures era affare per pochi.
«Pochissimi. Nel libro ho celebrato i campioni che mi hanno accompagnato nei miei sogni giovanili, fino a quelli di oggi, ma superare l’inferno del tennis è un’impresa eroica per tutti. Se arrivi a essere numero 200 del mondo, hai già fatto un miracolo».

E dopo cosa accadde?
«Che feci il corso Ptr da Luciano Botti, a Merano. In uno dei raduni conobbi il mitico Dennis Van Der Meer: mi chiese di dargli una mano a seguire Amanda Coetzer (ex numero 3 Wta), soprattutto quando veniva a giocare e allenarsi in Europa».

Angelo Mangiante in compagnia di Mats Wilander, Gianni Clerici e delle sorelle Williams. A fianco, la copertina del suo libro: Le Leggende del Tennis
ASICS ROMA

Le cronache del tempo riferiscono che non vi limitaste agli allenamenti.
«Ecco, in effetti una volta andai a Prato per la Coppa Davis e vidi Rino Tommasi. Lui e Gianni Clerici mi prendevano in giro per la Coetzer, scherzavano pretendendo dettagli privati. Ma dire una cosa a Gianni equivaleva a farla sapere in conferenza stampa! Poi iniziai, un po’ per gioco, a scrivere. Collaborai con qualche rivista, la prima fu Tennis Oggi, che aveva la redazione a Roma. Poi Stefano Semeraro mi chiamò da Matchball, che era il quindicinale di riferimento per giovani che seguivano il tennis in Italia. Più avanti, proseguii con Tennis Italiano».

Gira una buffa storia sul tuo esordio in telecronaca, su Eurosport. È raccontabile?
«Capitò che la Gialappa’s Band, per un’estate intera, prendesse in giro una telecronaca Rai, del povero Ignazio Scardina. A quei tempi, la versione italiana di Eurosport era gestita da una parte della redazione sportiva della tivù di Stato. Commentò un match tra Nicolas Kiefer e Marzio Martelli scambiando i due giocatori, dall’inizio alla fine. Questo provocò danni all’azienda anche perché, lungo tutto il corso della partita, nessuno era stato in grado di avvertirlo della svista. Un giorno mi chiamò Mario Giobbe, il responsabile del servizio di Eurosport per l’Italia: mi disse che gli serviva un esperto di tennis e mi chiese di affiancare i loro telecronisti. Iniziai come spalla tecnica, con Marco Mazzocchi e altri colleghi».

«Il mio maestro amava il ciclismo e diceva che il tennis doveva essere una sofferenza. Voleva un tennis di regolarità: guai a giocare una smorzata per liberarsi dello scambio. Sono cresciuto pensando a Borg e Vilas»

Quindi spalla e non prima voce. Poi, però, diventasti una voce del tennis.
«Sì, perché dopo due anni Bruno Bogarelli prese la commessa della gestione di Eurosport Italia. Bruno era molto amico di Massimo Marianella e, siccome doveva ricostituire la squadra di telecronisti, Massimo gli fece il mio nome per il tennis. In realtà lui non era dell’idea, non voleva prendere nessuno di quelli che lavoravano nella gestione precedente per dare un segno di discontinuità. Fece un’eccezione. E da spalla tecnica divenni prima voce, anche perché la telecronaca a Eurosport era singola. Fu un’esperienza meravigliosa, ricordo anni in uno sgabuzzino in via Deruta: anche otto ore al giorno, ero un maratoneta».

Difficile dimenticarlo, per chi lo fece. Ai tempi d’oro, su Eurosport capitava di fare anche dieci, dodici ore di telecronaca. Una volta Gianni Clerici mi disse che commentare più di quattro ore era schiavismo… In ogni caso, c’è ancora un tecnico del suono che ricorda le tue sessioni di stretching durante le dirette.
«Diciamo che mi sono allenato. Poi accadde che, siccome da quelle parti gravitava spesso Fabio Guadagnini, che si occupava di sci a parte il lavoro a Tele+, quando nacque Stream e lui ne divenne vicedirettore, loro presero i diritti di Wimbledon e altri eventi e mi chiese di unirmi alla squadra. Dissi di no: ormai ero abituato ai ritmi milanesi e a Eurosport, non volevo tornare a Roma. Guadagnavo bene, avevo settimane libere, ero a posto così. Non avevo motivi per cambiare ma mi corteggiarono un po’ e mi convinsero. In quel periodo commentai con Paolo Bertolucci, con Lea Pericoli a Monte Carlo, con Nicola Pietrangeli. Erano i miei campioni di gioventù, e mi ritrovavo in cabina con loro. Fu bellissimo».

Rino Tommasi e Gianni Clerici si esibiscono nella loro mitica sigla "Bongo Bongo Bongo"

Bellissimo anche perché, a differenza di oggi, vi mandavano a commentare sul posto.
«Rigorosamente. Quando Stream e Tele+ si fusero in Sky commentai il tennis per altri due anni almeno, facevamo le quattro prove dello Slam in loco. Venti giorni a Melbourne, idem a Parigi, Londra, New York. Con Rino e Gianni: pensa che sogno. Stavo lì e mi sentivo incantato da quei due personaggi, c’era Rino con i borsoni pieni di materiale cartaceo che faceva l’amanuense, la sera ricopiava tutti i risultati. Stava in sala stampa dalle 9 alle 21 e Gianni lo prendeva in giro: “Rino, hai finito con l’orario dei treni?” Vedendolo, capivo perché era il numero uno al mondo. Agli Us Open, i canali americani non intervistavano i tennisti italiani, ma Rino».

E perché tanta passione è stata dirottata sul calcio? Hai scoperto di amarlo di più?
«Per niente, il mio unico e grande amore rimane e sarà sempre il tennis, che spero di giocare fino all’ultimo giorno della mia vita. Solo che, dopo la finale di Wimbledon 2001 - la sfida epica tra Ivanisevic e Rafter - mi fecero capire che era importante, per l’azienda, una presenza di un giornalista di esperienza nello sport in cui si erano fatti più investimenti. E nel momento in cui, a Sky, perdemmo le prove dello Slam a parte Wimbledon e, invece, sul calcio iniziammo ad acquisire gli Europei, i Mondiali, la Champions, l’Europa League, e poi nacque SkySport24, il mio ruolo cambiò. La passione no, pende tutta dalla parte del tennis. E non escludo di tornare a occuparmene di più, mi piacerebbe molto».

Anno 2000: Angelo Mangiante commenta per Eurosport Italia un match tra Roger Federer e Goran Ivanisevic al defunto ATP di Londra

Nel libro parti da Rod Laver e sorvoli l’epoca dei grandi attaccanti, poi i fondocampisti come Borg e Lendl, i fuoriclasse degli anni Novanta e Duemila, fino a Djokovic.
«Onestamente pensavo di non avere il tempo e “la testa” per scriverlo. L’idea è da una telefonata della casa editrice Diarkos, che ha cercato tramite un suo autore, il giornalista Massimo Cecchini, un giornalista che si potesse occupare di scrivere un volume dedicato al tennis. Era il mio primo libro, temevo di non avere spazio per infilarlo nel mio lavoro, ma siccome inseguire le passioni ha sempre orientato la mia vita, il tempo l’ho trovato. Ci è voluta qualche notte, ma ce l’ho fatta. È il mio omaggio allo sport del cuore». 

Nel tennis sei stato un po’ tutto, dentro e fuori il rettangolo. Manca un accenno al Mangiante papà di tennisti.
«Dentro di me, quando giocano Paolo e Andrea, sento le partite molto più di quando giocavo io. Ma ho fatto un passo indietro, sono un padre discreto. Hanno il loro maestro, io sono lì per un consiglio ma solo se lo vogliono. Più che tutto, vorrei che il tennis diventasse la loro scelta, non una cosa fatta per compiacere me. Quando ho scritto il libro, speravo di non farlo troppo tecnico perché mi piaceva l’idea che fosse accessibile anche ai ragazzini, come loro: che magari sono attirati più dalle storie vissute, che non dai manuali. Come quella di Federer, quando i tecnici dicevano che non poteva emergere perché non era mentalmente attrezzato. Ecco, se lo hanno detto a uno come lui…»

Il libro

Angelo Mangiante ha appena pubblicato un libro Le Leggende del Tennis che potete acquistare qui.