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MENTAL TENNIS

Il concetto di sportività

Il tennis è schiavo di comportamenti standard che si riflettono in mille rituali. Tra questi, il chiedere scusa dopo avere vinto un punto grazie alla fortuna. Ma perché nel calcio non accade? Bisognerebbe andare oltre il concetto di forzata sportività. Provateci!

Gabriele Brambilla
1 maggio 2021

"Scusa!"

Quante volte sentiamo questa parola durante una partita di tennis? Tante, tantissime. Sia chiaro, la considero una meravigliosa parola, a volte espressa soltanto da chi ha coraggio, chi ha umiltà, chi riconosce di avere sbagliato. Riconoscere di aver sbagliato è già un passo verso ciò che io concepisco come benessere ed evoluzione, in ogni ambito. Tuttavia, nel tennis, a differenza che in altri sport, nella maggior parte delle casistiche credo che lo scusarsi sia più espressione di un automatismo più che di un vero e sincero scusarsi. Così come il complimentarsi con il nostro avversario spesso è più un automatismo che un vero e sincero riconoscere le qualità del nostro sfidante, anche perché difficilmente ci si complimenta quando si perde. È infatti molto facile complimentarsi con l'avversario quando lo si ha vinto: "Sei stato bravo, comunque!" E' molto più difficile e frustrante il complimentarsi quando si perde: "Riconosco che oggi mi sei stato superiore."

Quell'"oggi" non sarebbe lì a caso. Starebbe a significare la nostra consapevolezza che in quella partita si è stati superati, così come la nostra consapevolezza che possiamo fare meglio e quindi magari un "domani" riuscire a essere noi i più bravi. Ho deciso di affrontare la tematica della "sportività" per lanciare un uteriore messaggio nella direzione Benessere ed Evoluzione, un aprirsi a concetti che soltanto in apparenza potrebbero non avere a che fare con il tennis, ma che in realtà possono influenzare le nostre emozioni, destabilizzare il nostro equilibrio, farci piombare negli abissi di una crisi di nervi oppure innalzarci verso lo stato di grazia. Anche perché al concetto di sportività è molto vicina la capacità di accettare che l'avversario possa colpire un nastro o una riga e anche per questo vincerci. Per quanto mi riguarda, ho visto decine di giocatori, anche tra i professionisti, lamentarsi per una riga o perdere il controllo nel momento in cui l'avversario ha servito dal basso. Entriamo di più in questi concetti.

PLAY IT BOX
Se vinciamo il punto, chiediamo scusa. Se perdiamo il punto, non chiediamo scusa. E inoltre siamo schiavi di automatismi "imposti" dalla nostra cultura e non sappiamo svincolarci da essi e vivere le cose per come realmente sono.

La sportività è un concetto molto apprezzato, al punto da ispirare diversi filmati. Ma siamo sicuri che certi gesti siano davvero spontanei e non figli di un cliché?

Spesso si fraintendono forma e sostanza. Il rispetto e la sportività non hanno nulla a che fare con il cosa (forma). Se mai hanno a che fare con il come (sostanza), con il modo. Quando io servo dal basso, sto soltanto applicando il regolamento che prevede che il servizio debba essere un gesto in cui colpisco la pallina al volo dopo averla lanciata con la mano. Naturalmente lo posso fare anche per destabilizzare l'avversario. Ma perché questo deve essere vissuto come un male? Ogni momento della partita è potenzialmente finalizzato a destabilizzare il mio avversario al fine (anche) di vincere il punto. Il contropiede è un modo di destabilizzare l'avversario, così come la smorzata, così come il backspin, così come un approccio al centro invece che ai lati. Ecco che il lamentarsi per un servizio dal basso è figlio di una rigidità che vorrebbe le cose rimanere sempre tali, per tradizione, convenzione. E allora dove sta l'essere diversi? Dove sta la variazione? L'importante è avere rispetto. Ed io, ad esempio, ogni qual volta ho servito dal basso ho sempre mantenuto il rispetto e l'onestà, perché questi sono valori profondi e non cadono nel mentre in cui semplicemente invece di servire da sopra la testa, servo da sotto la testa. La sportività è anche l'applicare il regolamento e accettare che il mio avversario possa essere diverso da me, in tutto e per tutto.

E che dire del nastro? Qui cadono la maggior parte degli asini, intesi come contraddizioni, come espressione di rigidità di pensiero. Consideriamo il calcio. E, nei limiti delle differenze, il palo può essere equiparato al nastro tennistico. Avete mai visto qualche calciatore chiedere scusa agli avversari dopo aver calciato, colpito il palo e segnato? Per fortuna, probabilmente no. Ecco, la fortuna è vista in modi diversi nel calcio e nel tennis. E per quale motivo dovrebbe? La fortuna è fortuna. Se si chiede scusa nel tennis per aver fatto punto dopo aver colpito il nastro e invece non lo si chiede nel calcio dopo avere segnato sfruttando il palo significa che c'è qualcosa che non va, c'è qualcosa che mi dà spunti su cui riflettere. Io credo che il tennis sia molto schiavo di una cultura dell'eccesso riguardo ai concetti di sportività, con il rischio e la fattualità che si chiede scusa quando si ha solo avuto fortuna e quando non si hanno colpe. La fortuna fa parte del gioco. Il chiedere scusa è un atto importante e ha senso qualora si commetta un errore verso il prossimo, quando ci si comporta male. Che male c'è nell'aver avuto fortuna? E poi, tra l'altro, non è detto che sia stata fortuna. Innanzitutto, riga e nastro possono essere colpite anche volontariamente (con estrema difficoltà, naturalmente). Ma vorrei arrivare al fatto che tante volte mi è capitato di colpire la palla con determinazione, colpire il nastro e vincere il punto. Tante volte, per contro, mi è capitato di colpire la palla con poca convinzione, colpire il nastro e perdere il punto perché la palla non aveva sufficiente energia per superare la rete. E' lì che il concetto di fortuna cade, perché non è stata la sorte: è stata convizione. Sempre naturalmente che la fortuna sia una colpa. E non lo è, per quanto mi riguarda.

C'è una casistica nel tennis laddove cadono tutti gli asini del mondo: io colpisco il nastro, la palla si alza all'improvviso a mo' di pallonetto e a spiovere rimbalza nel campo avversario, il mio sfidante fa punto con un colpo relativamente facile. Perché non sono chiamato a chiedere scusa? Ho colpito comunque il nastro e la palla è andata di là. Seguendo il pensiero medio, ho avuto comunque fortuna perché la palla non si è fermata a rete, è andata oltre. Ma non chiedo scusa. Perchè? Sono tranquillo nel rispondere così: perché non è ai valori profondi di sportività che siamo legati. Fosse così non chiederemmo scusa quando colpiamo il nastro. La verità è che siamo talmente schiavi del concetto di successo/fallimento che tutto è in relazione a ciò. Se vinciamo il punto, chiediamo scusa. Se perdiamo il punto, non chiediamo scusa. E inoltre siamo schiavi di automatismi "imposti" dalla nostra cultura e non sappiamo svincolarci da essi e vivere le cose per come realmente sono. È comunque interessante notare che, nella casistica di cui sopra, quando il nostro avversario vince il punto sfruttando la nostra pallina rallentata dal nastro e offertagli su di un piatto d'argento, non chiede scusa per aver avuto fortuna. E io dico: per fortuna!

Tornando al mio percorso evolutivo, probabilmente il pensarla e il sentirla così mi ha permesso di arrivare a un ascolto più corretto e sensibile delle mie emozioni, cosa che mi ha aiutato durante le prestazioni tennistiche. Dubitare delle convenzioni, non fidarmi degli automatismi, fiutare comportamenti standardizzati mi hanno abituato a intraprendere una strada diversa verso il vedere le cose per come sono, senza preconcetti, e il credere in valori sostanziali: l'onestà, tra tutte. A risentirci tra una paio di settimane circa, per un secondo articolo sul tema sportività. È un argomento ampio, fraintendibile e che vale la pena affrontare almeno in un paio di occasioni. E, nel frattempo, vi invito a non seguire una delle indicazioni che un docente diede a noi allora giovani aspiranti maestri di tennis: "Insegnate ai vostri allievi a chiedere scusa quando colpiscono il nastro!" Fu un insegnamento dettato da una presunta sportività, schiavo invece di un automatismo che ha vita da decenni. Quando cominceremo a cambiare le cose e a renderle più libere, spontanee e sensibili? Ecco il mio invito: provate a sperimentare il non chiedere scusa. Provate a sorridere, provate a stare nell'imbarazzo che sentirete quando crederete di aver vinto un punto grazie alla fortuna. E state tranquilli, non è colpa vostra!


LE PUNTATE PRECEDENTI

- "Qui e ora" E da nessun'altra parte

- Cos'è davvero la tecnica? E i fondamentali?
- Il vortice delle emozioni

- Devo giocare il mio tennis!

- Benessere ed evoluzione

- Il benessere nel colpire

L'autore, Gabriele Brambilla.
Attraverso l'attività di maestro di tennis ho sempre cercato di esprimere una filosofia, un pensiero che andasse oltre certi rigidi schemi che credo limitino l'esprimerci al meglio, dentro e fuori il campo da tennis. Sin dalle mie prime esperienze di insegnamento ho provato a unire la mia passione per il tennis con la mia predisposizione a temi quali la psicologia, l'introspezione e l'ascolto di se stessi, frutto di percorsi di vita tra scrittura, psicoterapia, recitazione, creazioni musicali. Di recente ho deciso di definire queste tematiche come Benessere ed evoluzione pur non avendo piena fiducia nelle definizioni dato che corrono il rischio di schematizzare qualcosa che ha infinite pretese.

Benessere ed evoluzione vanno nella direzione dello stare bene e della crescita, due valori che nella nostra cultura sono spesso visti come incompatibili. Qualcosa sta finalmente cambiando nella nostra società e molte persone sanno ammettere che si può migliorare attraverso il sorriso.

Ma attenzione: lo spazio da me curato su Tennis Magazine Italia non vuole essere un manuale su cosa fare per arrivare a un risultato dentro e fuori il campo da tennis. Vuole essere innanzitutto l'espressione di una filosofia che su di me ha funzionato e che mi ha portato a ottenere tante soddisfazioni, pur intervallate da grandi delusioni. Non ho la pretesa di voler imporre un metodo valido per tutti: il percorso è personale, sempre. Io metterò in luce ciò che credo sia stato utile per la mia crescita.

A volte descriverò esercizi pratici che credo possano portare a risultati positivi. Tuttavia voglio rimanere nell'umiltà di pensare che la mia filosofia possa non essere valida per alcuni o possa essere soltanto di spunto, di ispirazione per altri, i quali proseguiranno comunque in una loro strada fatta di personali intuizioni.

Da poco è sul web il mio podcast Tennis Benessere ed Evoluzione dedicato a questi temi. Lo si può trovare su Spreaker e su altre piattaforme (Spotify, iTunes), così come sul mio sito www.gabrielebrambilla.net.