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ASICS TENNIS ACADEMY

The Coach: Danilo Pizzorno

In Italia, Pizzorno è sinonimo di videoanalisi con oltre 20.000 giocatori che hanno sfruttato i suoi slow motion. Ora però segue Liudmila Samsonova, una delle maggiori promesse del circuito mondiale, con la quale condivide un progetto ambizioso. E ci ha raccontato cosa serve per diventare un coach professionista

intervista di Lorenzo Cazzaniga
31 maggio 2023

Avere successo a livello professionistico è una questione di dettagli. Ne è pienamente cosciente Danilo Pizzorno, 57 anni, una vita passata a scovare in uno slow motion quello che nemmeno l’occhio umano è in gradi di vedere. In Italia, Pizzorno è sinonimo di videoanalisi, un ruolo che si evoluto fino a diventare coach di una delle maggiori promesse del tennis internazionale, quella Liudmila Samsonova che per un periodo ha vestito i colori azzurri, prima che la burocrazia italiana la convincesse a optare per la Madre Russia. Danilo è uno dei top coach della Asics Tennis Academy e ci ha raccontato la vita da coach sul circuito femminile.

Il tuo percorso è stato diverso da quello tipico dei coach professionisti.
Vero, ma fare il videoanalista per tanti anni è stata una fortuna, così come lavorare al fianco di coach del livello di Riccardo Piatti, esperienze che mi hanno permesso di conoscere meglio le esigenze dei giocatori.

Come si passa da videaoanalisti a coach professionisti?
Ho sempre avuto il desiderio di fare il coach, sono cresciuto alle Pleiadi osservando gli allenamenti di giocatori di altissimo livello e il sogno era quello e piano piano l’ho strutturato. L’obiettivo è sempre far migliorare gli allievi e con la videoanalisi sono partito dall’aspetto tecnico, per verificare il gesto nel dettaglio e capire cosa succedeva quando un giocatore stava vivendo una certa evoluzione. Fin qui ho videoanalizzato circa 20.000 persone e oltre cento professionisti.

Danilo Pizzorno con Liudmila Samsonova

«Riccardo Piatti mi ha trasmesso la sua capacità di capire cosa è importante per il giocatore, nel campo e nella vita. Alla fine lo alleni tre ore al giorno, tutto il resto è intercettare le sue esigenze e avere le idee chiare su cosa serve per portarlo a un certo livello» Danilo Pizzorno

Come hai scoperto la videoanalisi?
Siamo a Parigi e qui è nato il re della videoanalisi, Gil de Kermadec, una vera ispirazione. Negli anni 90 tanti giocatori hanno cominciato a capire che rivedendo i gesti era possibile migliorarsi, perché notavano dei dettagli impercettibili, anche se non era ancora possibile lavorare in tempo reale sul campo. De Kermadec usava Beta Cam abbastanza sofisticate e aveva creato una camera oscura a Roland Garros dove analizzava chiunque e soprattutto strutturava le sue lezioni come direttore tecnico anche in base a ciò che vedeva nei filmati.

Un giocatore pro può ancora migliorare tecnicamente e quanto sono ricettivi nel cambiare un aspetto del loro gioco?
Personalmente ho avuto la fortuna di conoscere Liudmila (Samsonova n.d.r.) da piccolina. L’ho portata da Piatti che aveva 9 anni e siamo cresciuti insieme, quindi conoscevo uo progetto e come strutturarlo, step by step. Lyuda è potente, esplosiva, con grandi capacità di apprendimento. Conoscerla da ragazzina mi ha aiutato a riprendere il percorso perché entrambi abbiamo lo stesso obiettivo, la stessa sfida e un progetto chiaro.

Il rapporto coach-giocatore deve essere così stretto?
Alla base serve una grande fiducia da entrambe le parti, indispensabile nei momenti difficili. Sai, quando si vince, va tutto bene, ma quando ci sono periodi complicati, il giocatore deve restare focalizzato sull’obiettivo. Se perde fiducia nel progetto, si spegne tutto.

Tanti coach italiani seguono i loro giocatori da tantissimo tempo: Simone Tartarini con Lorenzo Musetti, Gipo Arbino con Lorenzo Sonego, Vincenzo Santopadre con Matteo Berrettini e così via: come lo spieghi?
Abbiamo avuto ottimi esempi, come Piatti con i Quattro Moschettieri delle Pleiadi (Campores, Furlan, Caratti e Mordegan n.d.r.) e poi Ivan Ljubicic. Abbiamo una buona empatia, siamo preparati a ciò che comporta questo mestiere che non è assolutamente facile. Infatti, in campo femminile ci sono coach che cambiano giocatrice ogni due mesi ma così diventa ancora più difficile raggiungere l’obiettivo.

«Io devo aiutare Samsonova a restare tanti anni ad alto livello, e con questo intendo top 10 o top 5. Poi, se resti sempre lì, l’occasione di vincere uno Slam arriva» Danilo Pizzorno

Che nel tuo caso è vincere uno Slam da coach?
Se così fosse, avrei già perso in partenza! Quella può essere una conseguenza, ma io devo aiutare Samsonova a restare tanti anni ad alto livello e intendo top 10 o top 5. Poi, se resti sempre lì, l’occasione arriva. Ci sono alcune giocatrici che hanno vinto uno Slam ma hanno passato poco tempo nelle top 10, come Raducanu e Ostapenko. Quando la pressione aumenta, bisogna essere strutturati per gestirla.

Quanto è diverso allenare uomini e donne?
Molto e penso sia più difficile con le donne perché con un giocatore si possono condividere più aspetti della vita. Le giocatrici sono più umorali, bisogna rispettare i loro momenti, legati anche alla sfera puramente femminile. Però, se conquisti la loro fiducia, diventano macchine da guerra e ti seguono in qualsiasi sfida. E questo consente di migliorare in fretta.

E qual è il segreto per migliorarsi?
Confrontarsi con le migliori. È il percorso che abbiamo studiato con Lyuda perché non bisogna avere paura di confrontarsi con un livello superiore. Andare a prendere punti facili in tornei mediocri non serve granché. Ho visto tante giocatrici di talento fermarsi al numero 200, 300, senza un’idea chiara di quello che dovevano fare, perché quando passi troppo tempo nei tornei minori, perdi motivazione. Questo vale anche per i giocatori: se resti impantanato nei tornei Futures o Challenger per troppo tempo, poi non riesci più ad alzare l’asticella.

Ti vuoi specializzare nel settore femminile?
Non necessariamente. Aiuto come videoanalista i giocatori under 21 del settore tecnico della federazione come Passaro, Arnaldi, Bellucci e mi confronto spesso con i loro coach. Le problematiche tecniche e strategiche sono simili, ma tutto aiuta a capire meglio il gioco.

Cosa cambia principalmente tra tennis maschile e femminile?
A livello strategico, gli uomini hanno una palla pesante e sono più ordinati negli schemi. Diciamo che le donne amano coglierti di sorpresa con giocate che talvolta non hanno molto senso, come cambiare spesso tra lungolinea e diagonale. Hanno meno forza e giocano traiettorie più lineari, con rare eccezioni, come Swiatek che è in grado di generare molto spin e buttarti fuori dal campo. Negli ultimi anni le donne hanno migliorato i colpi di inizio gioco, servizio e risposta, e questo ha avvicinato i due settori, però nello scambio c’è ancora tanta differenza, anche nelle scelte strategiche. 

Le giocatrici mostrano tecnica e strategia molto simili: botte piatte e tanta pressione dal fondo. Credi ci sia ancora spazio per giocatrici in stile Justine Henin o Roberta Vinci?
Ne sono convinto. Con Ljuda abbiamo impostato un progetto di quattro anni e siamo appena oltre metà strada: l’obiettivo è portarla ad avere un bagaglio tecnico completo per avere più opzioni tattiche. Però servono tempo e pazienza. Deve capire meglio il gioco e come affrontare strategie diverse a seconda della superficie perché in poche riescono a mantenere lo stesso livello di gioco su terra, erba e cemento.

6-2 5-1 e servizio, un coach del circuito maschile prepara la borsa tranquillo. In campo femminile...
Un coach è tranquillo solo quando si stringono la mano! Un match femminile è totalmente imprevedibile, bisogna accettarlo e lavorare perché certe situazioni non si ripetano. Swiatek, Rybakina e Sabalenka sono le più forti perché hanno maggior equilibrio e sono più costanti nell’arco di una partita e dell’intera stagione. Sono condizioni allenabili con un mental coach e che si possono analizzare in video osservando anche quello che accade nei momenti morti, tra un punto e l’altro.

Un aspetto complesso nel mestiere di coach professionista è che deve correggere, talvolta in maniera energica, il... datore di lavoro.
Per me è stupendo! La giocatrice è l’amministratore delegato della società ma deve ricordarsi di chi ha messo alla guida per aiutarla a migliorare i risultati. Se devo dire qualcosa di spiacevole, lo faccio senza problemi perché tutto ruota intorno al benessere dell’atleta. Sono pagato anche per questo. E poi ricordiamoci che si tratta di ragazze di 23, 24 anni: in campo sembrano fenomeni, fuori hanno tante lacune legate alla gioventù e non sono ancora mentalmente così strutturate.

«La giocatrice è l’amministratore delegato della società ma deve ricordarsi di chi ha messo alla guida per aiutarla a migliorare i risultati. Se devo dire qualcosa di spiacevole, lo faccio senza problemi. Sono pagato anche per questo» Danilo Pizzorno

Com’è la vita di un coach professionista?
Stare in mezzo ai giovani è stimolante ma si vivono tante emozioni contrastanti. In campo ho la fortuna di avere al fianco Alessandro (Dumitrace n.d.r.) che è il fidanzato di Samsonova: insieme dividiamo gioie e dolori, è il valore del team.

Quanto è importante disporre di un team completo?
Tanto, perché ognuno ha la sua competenza e si possono curare al meglio i dettagli. Però devi trovare le persone giuste, anche quando si è in trasferta e si deve condividere tutto. Alla fine, siamo una piccola famiglia nella quale ognuno ha il suo compito. Per dire, se Lyuda corre male, vado dal preparatore atletico; se ha un dolorino, chiedo di intervenire  al fisioterapista. Fare tutto da solo sarebbe impossibile.

Da chi è composto il vostro team?
Oltre ad Alessandro, c’è Mattia Prati come fisioterapista, Alessandro Buson e Lorenzo Petrucci come preparati atletici legati al TC Milano, Claudia Gambarino come mental coach, Ugo Colombini come manager e Silvia Marini che si occupa di tutta la parte logistica. Niccolò Righetti dell’Accademia Apuano mi sostituisce quando non sono presente nei tornei: io viaggio 24 settimane l’anno con Liudmila, ma un coach professionista lavora 365 giorni l’anno perché la testa è sempre lì, non stacchi mai, soprattutto se credi fermamente nel progetto.

Quali sono le qualità principali che servono per diventare un buon coach?
Avere fiducia nell’allievo. Quando cominci un percorso con un ragazzino devi credere fermamente nell’opportunità e avere una visione a lungo termine.

«Quando cominci un percorso con un ragazzino devi credere fermamente nell’opportunità e avere una visione a lungo termine» Danilo Pizzorno

E anche gestire dei genitori che possono diventare invadenti.
Però il primo sponsor è spesso la famiglia quindi bisogna investire del tempo per spiegare il progetto e educarli ad avere un atteggiamento positivo, soprattutto nei momenti difficili. Poi, crescendo, un giocatore deve diventare indipendente e imparare a gestire anche i genitori. Un professionista deve essere egoista e pensare solo a ciò che è meglio per la sua carriera. Le giocatrici, quando vincono diventano super egocentriche, quando perdono si sentono delle nullità. Invece, in questo sport serve equilibrio, perché a Parigi partono in 128 e vince una sola.

Qual è il coach che ti ha aiutato di più?
Facile, ho passato 18 anni al fianco di Riccardo Piatti! Mi ha trasmesso soprattutto la sua capacità di capire cosa è importante per il giocatore, nel campo e nella vita. Alla fine lo alleni tre ore al giorno, tutto il resto è intercettare le sue esigenze e avere le idee chiare su cosa serve per portarlo a un certo livello. L’esperienza aiuta in questo senso.

In Italia abbiamo una scuola di alto valore e infatti i nostri giocatori appaiono tutti ben impostati: è uno dei segreti del successo del tennis azzurro?
L’aspetto tecnico è la base sulla quale strutturare un percorso. Poi, a 16 anni si deve intervenire collegando anche l’aspetto strategico. Un passaggio difficile è quello dal mondo junior a quello pro perché devi alzare il livello di gioco e imparare a sfruttare meglio le tue caratteristiche.

La Asics Tennis Academy permette a tanti coach di confrontarsi tra loro, un cambio culturale rispetto a qualche anno fa.
Assolutamente, c’è più dialogo e quindi si migliora tutti quanti. Io sono sempre stato molto trasversale, è una vita che aiuto i coach con la videoanalisi, ma la condivisione è un aspetto fondamentale per crescere.

Cosa ti ha convinto ad accettare questa opportunità?
Di Asics apprezzo soprattutto una cosa: la cura dei dettagli, in ogni prodotto o attività. Per uno che è abituato a osservare slow motion e cercare quello che nemmeno l’occhio vede, cosa ci può essere di meglio?