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LA STORIA

Il coach omicida di Robin Haase

Non tutti sanno che la carriera di Robin Haase è stata pesantemente condizionata dall'assassinio di un amico, per il quale è stato condannato il suo coach di allora. Una brutta storia di gioco d'azzardo e prestiti mai saldati ha sconvolto l'olandese, che però ha saputo tirarsi su. E ha un ultimo sogno: vincere uno Slam in doppio. 

Riccardo Bisti
23 dicembre 2022

Un giorno, un collega senza empatia lo ha visto nel ristorante giocatori. Pensando di essere spiritoso, gli ha detto: “Ehi, per caso hai nascosto un coltello?”. Per fortuna Robin Haase è un tipo tranquillo ed estroverso. Non se l'è presa e non prova rancore. “Ognuno vive certe cose a modo suo”. Haase è stato un valido tennista nell'epoca dei Big Three, noto per una gag con Roger Federer durante la semifinale del Masters 1000 di Montreal, sua miglior prestazione di sempre in singolare. Era il 2017. Dagli spalti, uno spettatore aveva incitato Federer. “Guarda che mi chiamo Robin!” ha esclamato, generando ilarità e attirandosi più di una simpatia. Oggi ha 35 anni e la sua carriera in singolare è agli sgoccioli. L'ultima classifica lo vede al numero 258 ATP: dopo aver trascorso quasi dieci anni (507 settimane) tra i primi cento, li ha persi nel 2019 e in tre anni di tentativi non li ha più ripresi. Anzi, si sono allontanati. Si è rassegnato, poiché dall'anno prossimo si concentrerà sul doppio. Ha scelto di fare coppia con Matwe Middelkoop e puntano a fare grandi cose. Ci sta. Robin Haase aveva ben altre ambizioni il 4 marzo 2016. Si trovava a ridosso dei top-50 e stava per partire per Indian Wells insieme a coach Mark De Jong, un coetaneo che aveva smesso di giocare a 26 anni (era stato al massimo numero 1.040 ATP) e lo aveva colpito per serietà e capacità motivazionali. Nonostante la giovane età, a fine 2014 gli aveva chiesto di allenarlo a tempo pieno.

Dopo il primo anno insieme, per la verità, aveva pensato di lasciarlo. C'era qualcosa di lui che non lo convinceva. Però ha scelto di andare avanti. Il 4 marzo 2016, Robin Haase è stato raggiunto da una notizia terribile: nella notte, qualcuno aveva brutalmente assassinato Koen Everink, 42 anni, uno de suoi migliori amici. All'interno della sua abitazione di Bilthoven, nei pressi di Utrecht, qualcuno si era accanito con particolare ferocia sul suo corpo. 24 coltellate. Il cadavere era stato ritrovato al mattino dalla figlia di sei anni.
Un dramma.
Per un attimo, Haase ha pensato di non andare a Indian Wells per partecipare al funerale, poi ha pensato di recarsi ugualmente in California. Avrebbe giocato per lui, sostenuto da De Jong, ultima persona ad aver visto Everink in vita. La sera prima era stato a casa sua: si erano ritrovati per bere qualcosa e vedere insieme Feyenoord-AZ Alkmaar, Coppa d'Olanda di calcio. Subito interrogato, ha rilasciato la sua versione dei fatti: una volta lasciata l'abitazione di Everink sarebbe stato fermato da tre sconosciuti, i quali lo avrebbero costretto a tornare indietro. Una volta arrivati, in due si sarebbero introdotti nella casa di Everink e il terzo sarebbe rimasto in auto con lui. Dopo un po', il quartetto si sarebbe allontanato salvo poi scaricare De Jong nei pressi della sua abitazione.

Koen Everink era un personaggio piuttosto noto in Olanda

ASICS ROMA
«Non sapevo che Koen fosse stato minacciato. Nei primi giorni dopo l'accaduto, De Jong mi era sembrato scioccato quanto me» 
Robin Haase

Un TG olandese dà notizia del ritrovamento del cadavere di Everink

Nonostante un racconto di dubbia credibilità, gli hanno consentito di andare negli Stati Uniti con Haase. Il tennista era scioccato: come era possibile che un giovane uomo fosse stato ucciso in quel modo, peraltro in un Paese con un bassissimo tasso di omicidi?
Anche De Jong sembrava scosso.
Haase non poteva immaginare che l'uomo con cui condivideva la quotidianità, dai pasti agli allenamenti, era l'assassino di Everink.
La vittima era un personaggio particolare. Uomo d'affari, si era arricchito con un'agenzia di viaggi online. L'aveva venduta (si dice) per 15 milioni. Era uno di quelli che capitava di vedere alle feste giuste. Guidava una bella auto ed era a suo agio nel jet-set olandese, sebbene ironizzasse sul suo aspetto, visto che era stempiato e sovrappeso. Nell'estate 2012 aveva assistito a Sensation, famoso festival di musica elettronica presso l'Amsterdam Arena (oggi ribattezzata Johann Cruyff Arena). Si trovava in un box vip, in cui era presente il campione di kickboxing Badr Hari in compagnia della fidanzata Estelle Cruyff, nipote della leggenda del calcio olandese. Hari era convinto che Everink avesse insultato la sua ragazza. Per nulla convinto dalle giustificazioni dell'uomo, lo ha inseguito in bagno e si è fatto giustizia da solo, aggredendolo e spezzandogli la caviglia. Le telecamere di sicurezza hanno mostrato la parte finale dell'aggressione, in cui si vede Everink quasi rimbalzare dal bagno prima di essere raggiunto dalle guardie.

L'aggressione è costata a Hari 14 mesi di carcere e 40.000 euro di multa. L'episodio ha cambiato la vita di Everink: non ha potuto lavorare per un lungo periodo e si è sottoposto a diversi interventi chirurgici. Inoltre era minacciato dai fan del lottatore, che lo ritenevano colpevole di avergli rovinato la carriera. Una volta ritrovata un po' di efficienza fisica, si è tuffato nel mondo del tennis. Ex giocatore di club, grande appassionato, vedeva nel nostro sport una chance di riscatto, nonché una possibilità di frequentare luoghi esclusivi. Subito accolto dai professionisti olandesi, divenne una sorta di mascotte-factotum. Viaggiava a sue spese e in cambio otteneva un pass. La sua utilità di riduceva a portare le racchette dall'incordatore, prenotare campi di allenamento e pagare cene. Se lo poteva permettere e gli andava bene così. Per lui era una sorta di terapia. Fu così che si avvicinò al clan Haase, compreso Mark De Jong. Una volta ebbe il privilegio di trovarsi in campo durante un allenamento tra l'olandese e Novak Djokovic, con il quale potè scambiare qualche parola. Amante della bella vita, trovò in De Jong un compagno ideale: quest'ultimo, infatti, era un incallito giocatore di poker. Era scarso, molto scarso, e non faceva nulla per migliorarsi. Però non si toglieva il vizio e continuava a perdere soldi. Le indagini della polizia evidenziarono che aveva perso 62.839 euro con il solo poker online, ai quali si aggiungevano i quattrini persi in giro per il mondo, visto che era solito frequentare i casinò delle sedi dei tornei. E spesso lo faceva con Everink, che dunque apprese dei suoi problemi.

Una delle rare immagini con Haase e De Jong insieme. Qui hanno (inutilmente) coperto gli occhi di quest'ultimo

Robin Haase parla di De Jong in un noto talk show della TV olandese

Disperato per i debiti di gioco, chiese aiuto all'improvvisato magnate. Everink accettò, versandogli 80.000 euro ma pretendendo una rapida restituzione. Qualora non fosse successo, avrebbe reso pubblica la sua dipendenza. E gli avrebbe rovinato reputazione e carriera. Non è difficile immaginare, dunque, cosa sia accaduto nella notte del 3 marzo 2016. Mentre De Jong si trovava negli Stati Uniti con Haase, gli inquirenti hanno raccolto una serie di indizi contro di lui. Intanto un coltello di casa Everink aveva tracce del suo DNA, così come era stato trovato sangue nella sua auto. L'indizio più schiacciante, tuttavia, erano le ricerche che aveva effettuato su Google, rinvenute sul suo Ipad. C'erano parole chiave inquietanti come “pugnalata al collo”, “pugnalata alla schiena”, “morte per strangolamento” e similari, altrettanto macabre. Dopo il forfait a Miami per problemi fisici, Haase e De Jong sono tornati ad Amsterdam con un volo KLM. Poiché il giocatore ha viaggiato in business class, i due si sono separati all'imbarco. Robin Haase non poteva immaginare che sarebbe stata l'ultima volta. All'arrivo all'aeroporto di Schipol, alle 6 del mattino di giovedì 24 marzo 2016, è stato fermato al ritiro bagagli e lo hanno invitato ad andare in una stanza.
“De Jong è stato arrestato. È sospettato dell'omicidio di Everink”.

In preda allo shock, Haase ha cominciato a ricevere telefonate dai giornalisti ancora prima di arrivare a casa. Essendo le indagini ancora in corso, gli avevano suggerito di non rilasciare dichiarazioni. Tuttavia Haase ha parlato, anche perché voleva puntualizzare alcune cose. Per esempio la sera del 3 marzo non era con loro, come qualcuno aveva scritto. “Non è assolutamente vero – disse – ho un bel ricordo di Koen, stava iniziando un nuovo business e pensavo che avesse trovato la pace. Non sapevo che fosse stato minacciato. Nei primi giorni dopo l'accaduto, De Jong mi era sembrato scioccato quanto me”. Da allora, la carriera di Haase non è più stata la stessa. È diventato il tennista con il coach-assassino. Nei primi mesi l'ha pagata con un diffuso malessere. Ha ripreso a giocare subito, ma è stato un disastro. Al primo match ha perso 6-2 6-0 contro Dzumhur a Monte Carlo. Non c'era con la testa. Al Roland Garros, un plotone di giornalisti olandesi ha seguito il suo match contro Jack Sock. Sapeva che dopo la partita non avrebbero parlato di tennis. “Anche se sono stati incredibilmente corretti e gentili” ammette oggi. Aveva somatizzato il malessere, al punto da andare al bagno decine di volte al giorno. In preda alla più cupa confusione, ha persino cambiato racchetta (scelta poi rivelatasi sbagliata) e si è rivolto a un life coach per provare a ritrovarsi. Ma era difficile, perché nel frattempo doveva collaborare con gli inquirenti e parlare pubblicamente della storia. Non si è mai sottratto e lo ha fatto con grande lucidità, limitandosi a raccontare i fatti senza mai avventurarsi in congetture o speculazioni. Nel frattempo, il processo andava avanti.

De Jong si è sempre professato innocente, ma sono emerse ulteriori prove a suo carico. Per esempio, gli avevano messo sotto controllo il telefono di casa. Hanno intercettato una telefonata in cui diceva ai genitori di aver nascosto un orologio IWC (di quelli che indossava Everink) nella camera da letto della sorella, chiedendo di farlo sparire.
Nel gennaio del 2018, il Tribunale di Utrecht lo ha condannato a 18 anni di carcere, pena molto elevata per gli standard della giustizia olandese. Nella sentenza è stata citata come aggravante la presenza della figlia di Everink, allora una bambina di 6 anni.
De Jong ha fatto ricorso, ma la corte d'appello è stata ancora più severa: respinte le tesi difensive, ha aumentato la pena a 20 anni. La vicenda processuale è terminata il 26 maggio 2020, quando la Corte Suprema olandese ha stabilito che il processo si era svolto correttamente, confermando il verdetto del grado inferiore. Pur continuando a professarsi innocente, oggi De Jong è in carcere. La storia è ormai archiviata, anche se è stata riportata alla luce da un approfondito articolo di Jon Wertheim, pubblicato da Sports Illustrated. In tutto questo non c'è una morale, se non le parole rilasciate da Haase proprio a Wertheim, durante lo scorso Us Open. “Non parlo volentieri di questa cosa, ma ammetto che fa parte della mia storia. La notte scorsa mi è capitato di sognare De Jong. Ormai è successo, ne parlo, non mi nascondo e non mi fa paura. Però questa vicenda mi colpisce ancora”.

Robin Haase ha avuto il merito di riprendere in mano il suo tennis. Ha impiegato un anno a ritrovare se stesso, si è anche raccontato a Behind the Racquet, e ha colto risultati più che dignitosi. Oltre alla semifinale a Montreal, nel post Everink ha ritrovato i top-50 ATP (è stato al massimo numero 38, a cinque lunghezze dal best ranking del 2012) e ha ottenuto vittorie di prestigio contro Daniil Medvedev, Alexander Zverev e Casper Ruud. Il calo degli ultimi anni è fisiologico, frutto del logorio di una carriera iniziata nel 2005 tra mille aspettative, dopo un percorso junior in cui era stato numero 3 del mondo e finalista a Wimbledon.
Magari non gliel'hanno urlato in faccia, ma speravano che sarebbe diventato il nuovo Richard Krajicek. Purtroppo per lui non è andata così, ma il sogno Slam è ancora vivo, sia pure in doppio. Proprio dieci anni fa arrivava in finale in Australia insieme a Igor Sijsling: oggi ci riprova con Middelkoop e sarebbe la ciliegina sulla torta, il lieto fine di una carriera spezzata in due da un omicidio. Ma che non lo ha messo KO. “Non avrei mai voluto trovarmi in questa posizione, ma se la metti così... sì, posso ritenermi orgoglioso di me”.