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PORTE 13

Il dramma nascosto di Daja Bedanova

La storia sconosciuta di una ragazza che era entrata tra le top-20 a diciotto anni, battendo Monica Seles allo Us Open. I maltrattamenti del padre avevano portato Daja Bedanova ad avere pensieri suicidi e ammalarsi di bulimia. Ha smesso a 22 anni, oggi ne compie 40 e fa l'insegnante di tennis. Ma non vuole saperne di aspiranti professionisti. E non vuole figli. 

Riccardo Bisti
9 marzo 2023

Quando si allenava, Daniela Bedanova pregava che ci fosse qualcuno nei campi adiacenti. “Non speravo che mi salvassero dalle umiliazioni e dal bullismo di mio padre, ma almeno era più mite. Diceva davanti a tutti che ero una mucca, ma nessuno poteva immaginare cosa faceva quando nessuno ci vedeva”.
Daniela Bedanova è stata numero 16 WTA e ha raggiunto i quarti di finale allo Us Open 2001.
Però di notte piangeva e aveva pensieri suicidi. “Ho avuto il pensiero di buttarmi sotto un treno. Non l'avrei mai fatto, ma ci ho pensato mille volte. Però non ho mai avuto l'idea di smettere con il tennis, perché lo vedevo come una via d'uscita”. Anni dopo la morte del papà coach Jan Bedan, Daniela “Daja” Bedanova ha raccontato il suo calvario. Un calvario sconosciuto. Un calvario che ricorda quelli tristemente noti di Jelena Dokic, Mirjana Lucic, Mary Pierce e Jennifer Capriati. “Ma quello della Bedanova è stato ancora peggiore. Ho visto tanti talenti rovinati dai genitori, ma il suo è stato il più clamoroso” rivela chi ci ha suggerito di sfrugugliare, di immergerci in questa storia dimenticata. Un giorno – saranno state le 9 del mattino – si trovava nel campo adiacente a quello in cui Daja e papà Jan iniziavano una sessione di allenamento. “Hanno iniziato a palleggiare a basso ritmo da metà campo. Dopo due colpi, lui ha interrotto e ha preso a dirle di tutto nella loro lingua. È andato avanti così per 45 minuti, mi domandavo cosa potesse essere successo per avere una reazione del genere”. Questo aneddoto è il grimaldello per raccontare la storia nascosta di un'ex ragazza che ha avuto il picco di popolarità a inizio millennio, quando ha raggiunto i quarti di finale allo Us Open. Negli ottavi batté Monica Seles, suo idolo d'infanzia, scatenando l'entusiasmo dei media più importanti.

“Questa ragazza ha un'incredibile disciplina interna” scrisse il Boston Globe.
“Si muove con più grazia di un cigno” aggiunse il Newsday.
Daja Bedanova aveva le stimmate della campionessa. Qualche mese prima aveva battuto Elena Dementieva in una spettacolare Night Session all'Australian Open. Dopo l'ultimo punto, il commentatore di Eurosport esclamò: “Stasera è nata una stella, qui sulla Rod Laver Arena. Daja Bedanova, ricordatevi il nome. Sentirete parlare molto di lei. Sarà un nome importante”.
Non poteva sapere cosa c'era dietro. Non lo sapeva quasi nessuno.
“Sono stata picchiata, tanto” ammette la Bedanova, che oggi compie 40 anni.
“Ma questo era il meno. Gli attacchi psicologici erano ancora peggio. Però ho perdonato mio padre, perché non era uno sciocco come altri genitori. Ubriaconi che ruggivano, si comportavano come animali e non erano in grado di fare nulla. Lui non era un ubriacone e aveva un QI di 160. Aveva un progetto e io ne ero la figura centrale. Dovevo diventare la numero 1”. Teniamo a mente la parola progetto. Una parola che ancora oggi mette i brividi a Daja. Ma quando parla di papà Jan non riesce a condannarlo. A giudicare dalle sue parole, vien da credere che non siano di circostanza. Lo ha perdonato per davvero. Anzi, ancora oggi pensa che la sua carriera avrebbe potuto essere migliore, che avrebbe potuto resistere altri 2-3 anni sotto la guida del padre. “Èè stata una carriera fantastica rispetto a quelle che finiscono subito e distruggono le relazioni familiari. La maggior parte sono così”.
Un mondo sommerso di cui conosciamo soltanto la punta dell'iceberg.

«Forse avrei potuto continuare a sopportare l'umiliazione fisica e mentale per ancora un paio d'anni e diventare numero 1» 
Daja Bedanova
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La spettacolare vittoria contro Elena Dementieva all'Australian Open 2001. I telecronisti esclamarono: "È nata una stella!"

I genitori di Daja erano entrambi tennisti. Si erano conosciuti a Olomuc, laddove avevano vinto un torneo. Festeggiarono il successo nello stesso locale e nacque una storia d'amore, sfociata in un matrimonio e nella nascita di due figlie. Prima Daniela, il 9 marzo 1983, poi la sorella minore. Anche lei giocava a tennis, ma è stata costretta a smettere per una necrosi asettica (scarso flusso sanguigno al midollo osseo). Aveva un carattere diverso da Daja, non accettava le imposizioni del padre e il modo in cui la trattava. Si è staccata dalla famiglia, si è laureata in Germania e ha avviato una carriera di successo. “Sono orgogliosa di lei, è bello vederci ogni tanto anche se non viviamo più insieme – racconta Daja – siamo diverse. La capisco, ma io ho perdonato: sono fatta così. Non voglio entrare in conflitto, non voglio litigare e non fare male a nessuno”.
Jan Bedan era stato un discreto tennista negli anni '70. Era arrivato a giocare il doppio misto con una giovanissima Martina Navratilova, ma non aveva raggiunto i suoi obiettivi. Allora ha riversato gli stessi sulla figlia. Non doveva diventare numero 1 di Cecoslovacchia: doveva diventare numero 1 del mondo.
Jan Bedan aveva un lavoro come programmatore ed era molto bravo. Stava contribuendo a digitalizzare il dipartimento di microcomputer della sua azienda, ma lo stipendio non bastava a pagare le lezioni di tennis della figlia. A suo dire, Daja doveva trascorrere due ore al giorno in palestra e con quello che guadagnava non riusciva a seguirla a sufficienza. Dopo la caduta del Muro di Berlino, mentre Daniela frequentava la prima elementare, decise di spostare tutta la famiglia in Finlandia.
Non aveva chiesto il parere. Si faceva quello che diceva lui. La madre di Daja soffriva in silenzio, era incapace di reagire. Almeno fino a quando hanno divorziato.
Sono rimasti in Finlandia per due anni: i genitori facevano gli istruttori di tennis e Jan poteva dedicarsi alla figlia. A un certo punto, tuttavia, la situazione economica è peggiorata e sono tornati in patria.

I colleghi erano felici di riaccoglierlo: in pochi mesi era stato in grado di risolvere i problemi che si erano accomulati in due anni.
Ma lui aveva un'ossessione, anzi, un progetto: portare Daja al numero 1 del mondo.
“Temevamo il momento in cui rientrava a casa. Eravamo in tensione, in attesa. Avevamo paura del suo stato d'animo. Quei momenti mi hanno permesso di diventare empatica. Oggi capisco subito se posso fidarmi di una persona e che tipo di umore ha. È l'istinto che ti permette di salvarti dagli schiaffi. È istinto di sopravvivenza”. Nei suoi viaggi nel passato, Daja ricorda che veniva schiaffeggiata per futili motivi. Ma nel letto, tra le lacrime, pensava che sarebbe accaduto anche il giorno dopo. E quello dopo ancora. Si domandava se ne valesse la pena. Però adorava stare sul campo da tennis. E la sensazione che provava dopo una vittoria.
Daja Bedanova aveva esattamente lo stesso obiettivo del padre: diventare la più forte tennista del mondo. Era pronta a lavorare duramente per riuscirci, ma il padre non si fidava: non credeva che sarebbe stata ugualmente volenterosa senza botte e maledizioni.
Lui trovò un ingaggio per un club tedesco e così la famiglia si è spostata in Germania, continuando nel progetto.
“Nessuno ti obbliga a giocare a tennis. Se vuoi, puoi smettere e tornare a scuola” le diceva.
Sapeva che lei non avrebbe mai smesso, era un gioco psicologico. Col senno di poi, Daja sostiene che il tennis l'abbia salvata. “Senza il tennis sarebbe tutto finito tragicamente. Quando vincevo una partita riuscivo a provare gioia”. Come quando ha vinto i campionati nazionali della Repubblica Ceca, lo stesso torneo in cui il padre aveva perso in finale nel 1969.
Dopo un altro successo in Germania, un giornale tedesco la definì: “Una ragazza che non ha sogni d'infanzia”. Vero: il suo unico sogno era diventare numero 1 del mondo.

Come decine di aspiranti campioni, Daja Bedanova si è formata (anche) all'accademia di Nick Bollettieri

Oggi Daja Bedanova fa la maestra di tennis a Olomuc. Ma non ne vuole sapere di aspiranti professionisti

Quando è stato chiaro che avesse talento a sufficienza per provarci, è arrivato il problema dei soldi. Il tennis è uno sport costoso ed è frequentato da avvoltoi e pescecani. Gente con pochi scrupoli, che mira solo al guadagno. Gente che investe sugli adolescenti. Ma per loro non sono esseri umani, bensì un semplice progetto. “Non voglio fare nomi, ma una volta un ragazzo della Repubblica Ceca era stato etichettato come progetto che non ha funzionato. Si è suicidato”.
Papà Jan aveva trovato alcuni investitori tedeschi, trovando un accordo di quelli in voga ancora oggi: avrebbero finanziato la carriera di Daja in cambio di una percentuale suoi guadagni, fino all'estinzione del debito. E poi avrebbe continuato a versare loro una parte del montepremi. Per adempiere a tutto, avrebbe dovuto restare per anni tra le top-20.
Questo è il paradosso: anche nei momenti d'oro, anche quando era tra le più forti e alloggiava negli hotel di lusso, non ha mai potuto usufuire dei soldi che guadagnava.
“Però mio padre ha posto una condizione che mi ha salvato: fine carriera, fine impegni. Non mi è rimasto nulla, ma almeno non ho nessun debito”. Non è riuscita a restituire tutto, al punto che oggi – se dovesse ricominciare a giocare - dovrebbe riprendere a pagare gli antichi investitori. Gli stessi che a fine carriera (quando Daja aveva 22 anni!) le proposero di prendere la cittadinanza tedesca, in modo che potesse giocare la Bundesliga e guadagnare denaro da riversare nelle loro tasche. I soldi dei tedeschi sono stati utilizzati per spostarsi nell'accademia IMG, da Nick Bollettieri.
Con lei c'era il padre. Condividevano la stessa stanza, vivevano in simbiosi, 24 ore su 24.
Va da sé che la giornata tipo era durissima. Iniziava all'alba, prima di colazione, con esercizi per rafforzare i muscoli della schiena: da giovane, papà Jan aveva avuto l'ernia al disco e non voleva che succedesse lo stesso alla figlia. A fine giornata le diceva che poteva uscire, divertirsi, andare al cinema. “Nessuno te lo impedisce”.
Ma lei era distrutta e non ce la faceva. Le rare volte in cui è andata al cinema si addormentava a inizio film.

“Sul campo non accettava niente di diverso dalla perfezione. Pensava sempre agli allenamenti, disegnava gli schemi anche sui tovaglioli durante i pasti”. Se Daja doveva tirare venti rovesci di fila in un certo punto, andavano avanti all'infinito finché non ultimava il compito.
“Come puoi essere così scarsa?” la rimproverava.
“Voleva che fossi una macchina, un robot” ricorda Daja.
Quando aveva 15 anni si è allenata per la prima volta con Monica Seles, pure lei frequentatrice dell'accademia. Potè farle da sparring partner insieme a un altro ragazzo, sentiva che il suo sogno stava per diventare realtà. Però quel giorno era lenta, stanca e imprecisa. Furono costretti a sostituirla. Tuttavia, tanto lavoro iniziò a dare i suoi frutti. Daja ha giocato i primi eventi professionistici nel 1997, a quattordici anni. Ha vinto il primo torneo nel febbraio 2000 (a Rockford, battendo Mirka Vavrinec in semifinale e Francesca Schiavone in finale). Sempre nel 2000 si sarebbe qualificata a Wimbledon, allo Us Open e avrebbe giocato le Olimpiadi di Sydney. Entrò tra le top-100 WTA da minorenne, salvo chiudere l'anno con una spettacolare semifinale a Tokyo e con la prima (e unica) vittoria in un torneo WTA, a Bratislava. Qualche settimana dopo, la WTA l'avrebbe nominata Rookie of the Year.
L'anno dopo sono arrivati il torneo e la partita della vita, allo Us Open. Negli ottavi ritrovò Monica Seles e si impose 7-5 4-6 6-3. Mentre la stampa internazionale impazziva per lei, il padre diceva che quel risultato era frutto di serie di coincidenze fortunate. “Mi sarebbe piaciuto che ogni tanto si comportasse da papà e mi dicesse: Brava, oggi hai giocato davvero bene. Io sono iper-critica con me stessa... ma un paio di volte me lo sarei meritato”. Dopo quella partita, tuttavia, la bolla di stress in cui aveva vissuto per tutta la vita si era improvvisamente sgonfiata. Per un attimo ha pensato che tutto funzionasse, che il suo tennis fosse sufficiente.
Due giorni dopo, Martina Hingis le ha rifilato un crudele 6-2 6-0.

«Grazie a mio padre ho le competenze necessarie per portare qualcuno a vincere un torneo del Grande Slam. Ma per farlo dovrei essere dura e cattiva perché il tennis è così. Non ne vale la pena»
Daja Bedanova

Nessuno lo sapeva, ma Daja si era ammalata di bulimia. “È una malattia da cui non si guarisce, e che colpisce più persone di quante si possa pensare. E può essere innescata da una semplice frase”. Nello specifico non fu il padre, bensì un manager che un giorno le disse: “Cos'è quella pancia da gravidanza?”
Col suo fisico, ogni chilo in più era visibile.
“Non credo che lo abbia fatto apposta, ma questo è un argomento molto sensibile per una giovane ragazza. La bulimia è terribile, perchè hai bisogno di cibo per sopravvivere. Non è come alcol o fumo. Il cibo era diventato la mia unica via d'uscita”.
I momenti in cui esagerava e poi finiva col vomitare diventavano sempre più frequenti.
“Non so se mio padre l'abbia mai saputo – ha raccontato – da una parte è strano perché stavamo sempre insieme, dall'altro io ero un'attrice perfetta. Non ho mai permesso che tutto questo interferisse con gli allenamenti”. Tra i meccanismi di difesa, infatti, aveva sviluppato l'innata capacità di mentire.
Quando Daja aveva 20 anni ha scelto di separarsi dal padre. Il suo fisico gracile non riusciva più a sostenere i ritmi di allenamento e le umiliazioni quotidiane. Voleva dimostrare che poteva farcela da sola, e sviluppare una relazione normale con lui. Si sentiva matura a sufficienza e si è fatta allenare da prima da Jaroslav Jandus e poi da Craig Kardon, l'ex coach di Martina Navratilova. Il fisico non ha retto e sono arrivati gli infortuni: mal di schiena, distorsione alla caviglia, dolori al petto, infiammazione al tendine d'achille.

E qui ripete una frase che un esterno non potrà mai capire a fondo: “Avrei potuto continuare a sopportare l'umiliazione fisica e mentale per ancora un paio d'anni e diventare numero 1”.
Per la verità, dopo un po' è tornata ad allenarsi per davvero con il padre. Era convinta di poter creare un rapporto alla pari, una normale relazione tra coach e giocatrice, in nome di un obiettivo comune. “Ha resistito per qualche settimana, ma poi è tornato al vecchio ordine. Insulto dopo insulto, ho capito che non volevo più”. Aveva perso il contatto con le migliori e non poteva accettare di giocare per restare tra le prime cento dopo essere stata numero 16, con sogni ancora più ambiziosi. E poi c'era il problema del denaro, l'ansia di dover ripagare gli investitori.
La parola fine è arrivata nell'agosto 2005, a ventidue anni di età.
Era numero 289 del mondo e si trovò a giocare un piccolo torneo da 25.000 dollari a Kedzierzyn-Kozle, in Polonia. Qui i suoi ricordi sono leggermente imprecisi: Daja racconta di aver perso contro una delle sorelle Radwanska, che proprio in quelle settimane stavano iniziando la carriera. In realtà vinse una partita e poi non scese in campo contro Marta Lesniak, che – in effetti – al primo turno aveva battuto Urszula Radwanska.
Poco importa.
“Torna al nostro programma, non dobbiamo smettere” le diceva il padre.
Ma quando lei prende una decisione non torna indietro.
“Non dimenticherò mai il suo sguardo scioccato, non aveva capito subito che facevo sul serio”.

Il ritorno alla vita normale è stato un trauma. A 22 anni si è resa conto che il tennis è fuori dalla realtà. Forse è (anche) per questo che tanti giocatori rinviano continuamente il ritiro: hanno paura della vita di tutti i giorni. Le strade con suo padre si sono separate – sembra – in modo indolore. Lei aveva intrapreso una relazione con il tennista Jan Hajek (n.71 ATP nel 2006), si sono sposati l'1 aprile 2010 ma il matrimonio è franato dopo un paio d'anni. L'eredità del padre si è però fatta sentire nella sua vita personale: Daja non ha figli e non è certa di volerne.
“Mio padre mi diceva che i miei figli mi avrebbero odiata. Sosteneva che avrei compreso le sue percosse solo quando sarei diventata madre. Era un modo per giustificare i suoi metodi”. C'è poi una ragione biologica: la Bedanova non ha mai avuto un ciclo naturale e ha avuto bisogno di un delicato trattamento ormonale per ridurre i fibromi nel suo utero. C'è riuscita in parte, quindi oggi – in teoria – potrebbe restare incinta. Impossibile sapere se il suo vissuto abbia favorito questo disordine biologico. Dopo Hajek ha avuto un'altra lunga relazione, ma non è arrivata al punto di pensare a diventare madre. “Per avere un figlio dovrei trovare una persona che lo desideri moltissimo e mi aiuti nella relazione. Quando conosco qualcuno, dico che non posso e non voglio avere figli. Credo che sia un diritto di ogni donna e che non si debba essere giudicate”. Curiosando sul suo account Instagram, sembra che oggi ci sia di nuovo qualcuno nella sua vita. Papà Jan ha continuato ad allenare, anche se nessuno ha retto a lungo i suoi metodi. Ha seguito lo stesso Jan Hajek, poi Ivo Minar e infine le gemelle Karolina e Krystina Pliskova. “Quando le osservo, vedo ancora i suoi disegni nei loro schemi” dice Daja. Le Pliskova riconobbero che era particolarmente duro, ma erano convinte di aver bisogno di uno con i suoi metodi. “Non saremmo arrivate in cima con qualcuno che ci perdonasse per i nostri errori” dissero in una vecchia intervista. Anche con le Pliskova chiedeva dedizione assoluta. Entrambe dovevano scrivere un diario in cui esprimevano le loro sensazioni sugli allenamenti, il proprio gioco e altro ancora. I suoi metodi permisero a entrambe di vincere uno Slam junior. Negli ultimi anni, lui e Daja non si frequentavano più. Lui la rimproverava continuamente, sostenendo quanto facesse schifo la vita che si era scelta.
“Ogni nostro incontro mi causava giorni di stress. Non ne avevo bisogno”.

Jan Bedan è morto lunedì 23 ottobre 2017, a sessantasei anni di età.
Oggi Daniela “Daja” Bedanova fa la maestra di tennis a Olomuc, la stessa città in cui i genitori si erano conosciuti. Dirige un'accademia di nome Omega. La gestisce Jaromir Uhyrek, un signore che l'ha coinvolta nella progettazione e nella realizzazione delle strutture. Ma Daja ha posto una condizione: niente professionisti o aspiranti tali. Vuole divertirsi, vuole provare gioia e vederla negli occhi dei suoi allievi. La felicità di aver eseguito per bene un rovescio. “Mio padre non approvava perché pensava che fosse uno spreco del mio potenziale – racconta – forse aveva ragione, perché grazie a lui ho le competenze necessarie per portare qualcuno a vincere un torneo del Grande Slam. Ma per farlo dovrei essere dura e cattiva, perché il tennis è così. Sarei perfezionista come lui, e non ne vale la pena. Solo un centinaio di giocatori riescono a guadagnare su decine di migliaia che ci provano. Quindi, quante chance abbiamo? E a quale prezzo? No, io non voglio un progetto”.
Preferisce una vita serena, in cui hanno trovato spazio una passione sfrenata per lo shopping, un armadio pieno di vestiti e la grande passione per i musical. Quasi ogni weekend si reca a Praga per vederne uno. Poi si è appassionata alla montagna. Ma è rimasta una perfezionista: “Non andrei mai a pattinare con degli amici senza aver prima imparato come si deve”. Anche qui c'è l'eredità del padre.
Però Daja lo ha perdonato e ha accettato il suo passato, anche se ogni tanto è come se lo vedesse in terza persona. “Mio padre mi ha fatta diventare una professionista, ma non è andata come speravamo. Però poteva finire molto peggio”.
Già, poteva finire molto peggio.
Tanti auguri, Daja.