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L'OPINIONE

Una riforma che non si doveva fare

I tornei del Grande Slam adotteranno il super tie-break sul 6-6 al quinto. Avrebbe senso se i set eterni avessero danneggiato i tornei: la storia dice che non è così, anzi, spesso ne hanno accresciuto la popolarità e dato gloria a giocatori di secondo piano. E poi: rendere tutto uguale è davvero positivo?

Riccardo Bisti
17 marzo 2022

Correva l'anno 1970. Quando i giocatori si lamentarono dell'introduzione del tie-break, definendolo una sorta di approccio troncato al tennis, il direttore dello Us Open Bill Talbert rispose così: “Nessun giocatore ha mai comprato un biglietto”. Pensava al pubblico, alla fruibilità di uno spettacolo che poteva essere teoricamente infinito, visto che ogni set andava a oltranza. In linea di massima aveva ragione: l'Open degli Stati Uniti fu il primo Slam a puntare forte sull'invenzione di Jimmy Van Alen, inserendolo addirittura in tutti i set. Piano piano si sono aggiunti gli altri Slam, a scaglioni, ciascuno con un percorso diverso. Ma per tanti anni non hanno derogato da un principio che sembrava sacro: ok il tie-break, ma lasciamo che il quinto set si giochi a oltranza. Manteniamo il senso di epicità e regaliamo al pubblico (a proposito di interesse e biglietti venduti) la possibilità di assistere a partite indimenticabili. Nemmeno il surreale 70-68 di John Isner e Nicolas Mahut a Wimbledon 2010 aveva fatto vacillare il principio. Quando la gente capì quel che stava succedendo, prese d'assalto il Campo 18 di Church Road, laddove oggi troneggia una targa che ricorda il match più lungo di sempre. A cambiare il paradigma è stato un match decisamente meno lungo, la semifinale del 2018 tra lo stesso John Isner e Kevin Anderson. Vinse il sudafricano 26-24 al quinto. Sei ore e trentasei minuti che ritardarono l'inizio della semifinale più attesa, quella tra Novak Djokovic e Rafael Nadal. Il match si giocò su due giorni e – per inciso – finì 10-8 al quinto.

E allora hanno iniziato a domandarsi se valesse la pena continuare così. Prima Wimbledon ha istituito il tie-break sul 12-12, poi l'Australian Open ha optato per il tie-break a dieci punti sul 6-6. Entrambe le novità sono entrate in vigore nel 2019, lasciando il Roland Garros come ultimo baluardo della tradizione. Ed è simbolico che sia stata la presentazione dello Slam parigino (poi seguita da un comunicato congiunto dei quattro Slam) a sancire una nuova era: per il 2022, in via sperimentale (ma è pressoché certo che la norma resterà), i Major si uniformano. Tutti e quattro avranno il super tie-break a dieci punti, sul 6-6 al quinto. I primi giocatori a esprimersi sono stati quelli impegnati a Indian Wells. “Credo che per il pubblico sia meglio, ma mi mancherà vedere un match che arriva sul 14-14 o sul 20-20 al quinto. È una battaglia assoluta – ha detto Taylor Fritz – certo, era un guaio per chi ci arrivava perchè sarebbe stato spacciato nel match successivo. Però è un bene per i fan e per i giocatori. Sono abbastanza felice della novità”. Più distaccata la reazione di Rafael Nadal: “Non mi interessa molto, non ho un'opinione chiara. Credo che non faccia una grande differenza. Non cambierà molto al Roland Garros, mentre in effetti può avere influenza a Wimbledon, laddove è complicato brekkare e le partite diventano molto lunghe”.

Chi era sul campo di Isner-Mahut, secondo voi, che ricordo ha di quella partita? Ci fosse stato il tie-break, non ricorderebbe neanche di esserci stato.
ASICS ROMA

Adesso è certo: Isner-Mahut del 2010 rimarrà per sempre il match più lungo nella storia del tennis

Lo spagnolo ha giocato 37 quinti set in carriera: di questi, quattro hanno superato la soglia del 6-6 al quinto. Sono dolcissimi i ricordi della finale di Wimbledon 2008 contro Federer, un po' meno la già citata semifinale del 2018. Nel 2013 battè Djokovic 9-7 nella semifinale di Parigi, mentre cinque anni fa fu sorpreso da Gilles Muller negli ottavi di Wimbledon: finì 15-13 per il lussemburghese. Chissà se la storia sarebbe stata diversa con il tie-break. “Io penso che sia fantastico – dice Grigor Dimitrov – si garantisce più recupero per i giocatori e si uniformano le partite”. Ma valeva davvero la pena dare un'altra spallata alla tradizione? La nostra opinione è negativa, non tanto per un ottuso passatismo, ma perché abbiamo la consapevolezza dei numeri. Di norma, un cambio si effettua quando le cose vanno male o rappresentano un problema. E allora ci domandiamo: i set lunghi rappresentavano davvero un problema? Sì, ma solo se si fossero verificati con una frequenza tale da sconvolgere decine di tornei. Al contrario, i numeri dicono altro. La mitica pagina social Jeu, Set e Maths (di cui vi abbiamo già parlato) ha fornito una serie di statistiche dal 1990 a oggi. Ecco la percentuale di partite che hanno superato la soglia del 6-6 al quinto.

AUSTRALIAN OPEN: 2,9%
ROLAND GARROS: 2,8%
WIMBLEDON: 4,2%

È poi accaduto molto spesso che un match terminasse 8-6, evitando che la formula ad oltranza avesse influenza sulla lunghezza del match. E allora è interessante vedere la percentuale di match che hanno raggiunto almeno il 7-7 al quinto.

AUSTRALIAN OPEN: 1,7%
ROLAND GARROS: 1,6%
WIMBLEDON: 3,1%

Si tratta di numeri irrisori, la cui influenza nello svolgimento di un torneo è meno che marginale. Al contrario, i match epici rimangono nell'immaginario collettivo e contribuiscono ad aumentare la visibilità del gioco nel circuito mainstream, oltre a raccontare storie straordinarie. Senza scomodare Isner-Mahut (entrati nella cultura pop grazie a quella partita), ci sono giocatori che devono la loro popolarità a partite epiche, indimenticabili per le emozioni che hanno saputo trasmettere.

La gioia di Lorenzo Giustino dopo l'epico 22-20 al quinto contro Corentin Moutet

Gli spettatori che hanno assistito al quinto set di Bagnis-Benneteau nel 2014 non sembravano troppo dispiaciuti...

Chiedete a Paul Henri Mathieu se sarà contento, lui che grazie a un 18-16 sul Campo Chatrier lavò via l'incubo della finale di Davis di dieci anni prima. Chiedete a Facundo Bagnis e Lorenzo Giustino, giocatori di secondo piano che per un giorno sono finiti in prima pagina grazie all'epica del quinto set. Senza contare i tanti match di Coppa Davis finiti sul filo di lana e spazzati via da una riforma ancora più aberrante. Più in generale, i match eterni erano talmente rari da rappresentare un surplus e non un limite. La critica più vivace al format è quella citata da Fritz: chi usciva da una partita di questo tipo sarebbe arrivato troppo stanco alla successiva. "Spacciato", dice l'americano. Intanto non c'era nulla di sbagliato: la stanchezza è un fattore e come tale influisce. Se un tennista fatica a liberarsi di un match, è giusto che ne paghi le conseguenze al turno dopo. Ma i numeri certificano che non è vero: dal 1990 a oggi, 382 partite sono arrivate almeno 8-6 al quinto. Bene, nel 36% dei casi chi ne è uscito ha vinto il turno successivo. Vi sembra una percentuale clamorosa? Così penalizzante?

Di più: quando hanno perso, nel 75% dei casi è avvenuto contro un giocatore di miglior classifica. Per carità, Isner si è presentato senza energie al secondo turno del 2010, ma è un caso unico nella storia. E come tale va coccolato, non deprecato. In queste ore, la considerazione più diffusa (e utilizzata anche da chi ha deciso) era il bisogno di uniformità. E perché? Siamo sicuri che avere tornei uguali a se stessi sia un fattore positivo? La bellezza del mondo – non solo nel tennis – sta nella diversità, nelle differenze, nell'imprevedibilità. Ci siamo abituati a cose ben peggiori, accadrà anche con il super tie-break al quinto, ma non toglie che la modifica non ci sia piaciuta. E avremo nostalgia per quelle partite in cui la tecnica diventava solo una piccola parte di una vicenda ben più grande. Ben più umana. Ben più affascinante. Riprendendo la frase di Bill Talbert, chiudiamo con un'altra domanda: chi era sul campo di Isner-Mahut, secondo voi, che ricordo ha di quella partita? Ci fosse stato il tie-break, non ricorderebbe neanche di esserci stato.

LA POLICY DEI TORNEI DEL GRANDE SLAM SUL QUINTO SET

AUSTRALIAN OPEN
Fino al 1970 – Tutti i set a oltranza
1971 – Tie-Break in tutti i set, compreso il quinto
1972 / 2018 – Quinto set a oltranza
dal 2019 – Super Tie-Break sul 6-6 al quinto

ROLAND GARROS
Fino al 1972 – Tutti i set a oltranza
1973 / 1975 – Tie-Break in tutti i set tranne il quinto / Primi turni al meglio dei tre set
1976 / 2021 – Tutti i match al meglio dei cinque set, con Tie-Break in tutti i set tranne il quinto
dal 2022 - Super Tie-Break sul 6-6 al quinto

WIMBLEDON
Fino al 1970 – Tutti i set a oltranza
1971 / 1978 – Tie-Break sull'8-8 in tutti i set, quinto a oltranza
1979 / 2018 – Tie-Break sul 6-6 in tutti i set, quinto a oltranza
2019 / 2021 – Tie-Break sul 6-6 in tutti i set, sul 12-12 al quinto
dal 2022 - Super Tie-Break sul 6-6 al quinto

US OPEN
Fino al 1969 – Tutti i set a oltranza
1970 / 2021 – Tie-Break sul 6-6 in tutti i set
dal 2022 - Super Tie-Break sul 6-6 al quinto

I QUINTI SET PIU' LUNGHI PER CIASCUN SLAM

AUSTRALIAN OPEN
2017, primo turno: Ivo Karlovic b. Horacio Zeballos 6-7 3-6 7-5 6-2 22-20

ROLAND GARROS
2012, secondo turno: Paul-Henri Mathieu b. John Isner 6-7 6-4 6-4 3-6 18-16
2014, primo turno: Facundo Bagnis b. Julien Benneteau 6-1 6-2 1-6 3-6 18-16
2020, primo turno: Lorenzo Giustino b. Corentin Moutet 0-6 7-6 7-6 2-6 18-16

WIMBLEDON
2010, primo turno: John Isner b. Nicolas Mahut 6-4 3-6 6-7 7-6 70-68

US OPEN
1969, quarti di finale: John Newcombe b. Fred Stolle 7-9 3-6 6-1 6-4 13-11