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IL CASO

Vogliamo aspettare che qualcuno si faccia male?

L'indulgenza dell'ATP verso i tennisti che eccedono in gesti violenti rischia di diventare pericolosa. Le multe non sono un deterrente: andrebbero adottate misure più severe. Non è inutile moralismo, ma non bisogna aspettare che qualcuno si faccia male. I casi Zverev, Kyrgios e Brooksby stanno facendo traboccare il vaso. 

Riccardo Bisti
26 marzo 2022

Iniziamo a gamba tesa, dicendo che Rob Bagchi ha ragione. Il cronista britannico ha scritto un interessante commento sul Telegraph, in cui condanna la pericolosa diffusione di atteggiamenti poco corretti dei tennisti, aggravata da un senso d'impunità legittimato dalla generale indulgenza di chi è chiamato a decidere. “Altra settimana, altro torneo ATP inquinato dal cattivo comportamento dei giocatori, gestito con indulgenza dal tour”: inizia così l'articolo che mette in guardia su una faccenda che rischia di sfuggire di mano. L'apice si è toccato un mese fa, quando Alexander Zverev ha fracassato la sua racchetta (per futili motivi) sul seggiolone dell'arbitro Alessandro Germani, dopo aver perso il doppio. Come è noto, al tedesco è andata di lusso: gli hanno dato una multa di 40.000 dollari più una sospensione di otto settimane, che però gli è stata sospesa (a meno che non commetterà infrazioni simili nei prossimi dodici mesi). Una decisione criticabile, perché fa scattare una domanda: cosa deve succedere, affinché un giocatore venga sospeso?

Il gesto di Zverev era violento e – soprattutto – deliberato. È stata proprio questa l'argomentazione utilizzata da Nick Kyrgios dopo la sua sconfitta contro Rafael Nadal a Indian Wells, per distinguere l'episodio da quello che lo ha riguardato direttamente. Dopo aver perso un match molto tirato, l'australiano ha scaraventato per terra la sua racchetta: dopo essere rimbalzata, ha fatto un volo e per poco non rischiava di colpire un raccattapalle. Kyrgios è recidivo, poiché aveva combinato qualcosa di simile durante l'Australian Open, colpendo un bambino con una pallata a gioco fermo durante un doppio. Ovviamente entrambi i gesti sono stati involontari, e in entrambe le occasioni se l'è cavata regalando un telaio al ragazzino di turno. A Indian Wells ha addirittura documentato via social il suo scambio di messaggi con il raccattapalle e l'incontro del giorno dopo, in cui gli ha donato la racchetta. Kyrgios ha ragione quando sottolinea l'involontarietà dal gesto, ma la sensazione è che i giocatori si concedano un po' troppe licenze perché sanno che, al massimo, rischiano una multa.

«A meno che l'ATP non dia l'esempio e reprima l'ondata di imbronciati con multe punitive e sospensioni, qualcuno si farà male» 
Rob Bagchi, The Telegraph
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Uno spettatore in tribuna ha filmato l'episodio della racchetta scagliata da Nick Kyrgios

L'ultimo episodio è arrivato poche ore fa, al Miami Open, con il giovane Jenson Brooksby che ha sfiorato il piede di un raccattapalle dopo aver lanciato la racchetta durante il match contro Federico Coria. Intendiamoci: gli scatti d'ira e la cattiva disciplina non sono un fenomeno nuovo nel tennis, soprattutto quello maschile. Dopo decenni di gesti bianchi, gli anni '70 del secolo scorso hanno cambiato ogni paradigma. Prima Ilie Nastase e poi John McEnroe hanno sdoganato un comportamento fuori dagli schemi, che spesso sfociava nella rabbia (soprattutto McEnroe). Tuttavia, il loro eccessi verbali non hanno mai fatto male a nessuno. La potremmo definire indisciplina controllata. Al contrario, lanciare la racchetta, colpire la sedia dell'arbitro o scaraventare palline in mezzo alla folla può mettere a repentaglio la sicurezza delle persone. Nessuno vuole fare inutile moralismo: è bello che i giocatori non siano robot ed esprimano le loro emozioni, anche negative, ma c'è un limite che non deve essere nemmeno avvicinato.

Tuttavia, gli organi preposti hanno scelto una linea morbida che rischia di essere pericolosa. È come se fosse necessario un incidente, più o meno grave, affinché cambi qualcosa. Non è bastato nemmeno quello, in verità, a sospendere Novak Djokovic per la pallata alla giudice di linea durante lo Us Open 2020. Nole aveva mille alibi: l'ovvia involontarietà, una pallata che non era così violenta (ma neanche troppo leggera) e un'enorme dose di sfortuna. Fu squalificato, ma non ha avuto conseguenze nella sua programmazione. Andando indietro, si ricordano episodi altrettando violenti: nel 1995 Tim Henman fu squalificato da Wimbledon per aver colpito all'orecchio una raccattapalle con una pallata, gesto di stizza dopo un punto perso. Stessa sorte per David Nalbandian, il cui calcione a un pannello durante la finale del Queen's ferì un giudice di linea. L'argentino non trovò di meglio che scagliarsi contro l'ATP durante la premiazione, ma alla fine se la cavò senza troppe conseguenze.

John McEnroe è passato alla storia per le sue sfuriate, ma nessuna è mai stata davvero violenta o pericolosa

Jenson Brooksby lancia la racchetta e sfiora il raccattapalle

Episodi di questo tipo accadono da decenni, ma non c'è mai stata la punizione esemplare, ovvero un'adeguata sospensione dal circuito. Finché i giocatori vengono colpiti solo nel portafoglio, non si sentono inibiti a sufficienza. E a molti di loro, onestamente, una sanzione pecuniaria fa il solletico. Quando hanno chiesto a Kyrgios della racchetta finita nei pressi del raccattapalle, l'ha presa malissimo. “Gesù mio, va bene – ha risposto – è stato un incidente. Bella domanda, amico. Complimenti”. La reazione è comprensibile, perché era reduce da una gran battaglia. Ed è pacifico che non volesse fare male al ragazzino, ma non è questo il punto. Anche se manca l'intenzionalità, certi gesti sono da ritenere quantomeno sconsiderati, se non stupidi.

Ma l'ATP, fino a oggi, non ha fatto nulla. A Miami, il caso di Brooksby è stato quasi surreale. Il giocatore (senza volerlo, s'intende) ha quasi colpito il raccattapalle. Sanzione? Un penalty point. Ci siamo capiti? Un penalty point. Brooksby ha poi documentato su Instagram le sue scuse al raccattapalle, ma la gravità dell'episodio rimane. Detto che giovedì è stato protagonista di un episodio simile anche Jordan Thompson, il cronista del Telegraph chiude il suo intervento dicendo che l'indulgenza dell'ATP flirta pericolosamente con la negligenza. “A meno che l'ATP non dia l'esempio e reprima l'ondata di imbronciati con multe punitive (ma sul serio, aggiungiamo noi) e sospensioni, qualcuno si farà male”. Speriamo che non si arrivi a quel punto. E, vale la pena ripeterlo, non si tratta di moralismo da quattro soldi.