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IL LIBRO

The 70's Tennis Wars

Nel cuore degli anni di piombo il tennis ha vissuto un periodo di profondi cambiamenti, assestandosi dopo il professionismo conquistato nel 1968. Squalifiche, boicottaggi, dispetti e ripicche hanno sancito un decennio indimenticabile. "The 70's Tennis Wars" di Corrado Erba racconta quel periodo in modo fresco e originale.

Riccardo Bisti
5 febbraio 2022

Sulla quarta di copertina, le note biografiche definiscono Corrado Erba amateur della scrittura. Ovvero, scrive ciò che gli piace e lo interessa davvero. Forte di questo privilegio, può permettersi di affrontare temi originali, diversi, dimenticati dalla cultura mainstream. Amico e collaboratore di Tennis Magazine, e reduce dal successo di un libro che raccontava la folle edizione 1977 dello Us Open, torna in libreria con The 70's Tennis Wars (Absolutely Free Edizioni), sottotitolo: “Intrighi, conflitti, cultura psichedelica e rock'n'roll. L'altra faccia del tennis”. Lungo le 125 pagine del libro, spalmate in otto capitoli, Erba ripercorre il suo decennio del cuore, gli anni '70, pur concedendosi qualche incursione nel precedente e nel successivo. Un libro adatto a tutti. I nostalgici potranno rivivere un periodo ruggente (e irripetibile); gli addetti ai lavori troveranno informazioni curiose e inedite; più giovani scopriranno un mondo sconosciuto, quando il tennis era profondamente diverso da oggi. Il tutto con il linguaggio colloquiale di Corrado, già mostrato in diversi contributi su Tennis Magazine.

Oltre al rigore con cui ha raccolto le informazioni, Erba si distingue per originalità. È il sostantivo corretto per descrivere il suo lavoro, sia per lo stile di scrittura che per la scelta dei temi trattati. Se è vero che gli anni '70 del tennis sono stati ampiamente raccontati, The 70's Tennis Wars lo fa in modo diverso. Chi non ha voglia della solita lezioncina di storia può immergersi nella lettura di un libro che racconta il laborioso passaggio dal dilettantismo al professionismo. Come è noto, prima del 1968 i tornei più importanti erano riservati ai dilettanti. Chi osava guadagnare con il tennis era costretto a giocare tour paralleli e faticosi, osteggiati dall'universo mainstream. Jack Kramer aveva reclutato quasi tutti i migliori, e aveva raggiunto un accordo anche con Nicola Pietrangeli. A parte la narrazione ufficiale, secondo cui Nick scelse di stracciare il contratto quando si commosse durante la cerimonia di premiazione di Roma 1960, è certo che la federtennis contribuì in modo sostanzioso per evitare il suo passaggio tra i professionisti.

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Mentre in Italia si viveva tra pallottole e terrore, nel cuore degli anni di piombo, gli States si resero conto che il tennis poteva essere uno spettacolo di grande intrattenimento.

Ci sono pochi dubbi sul fatto che il match del XX secolo sia stata la finale delle WCT Finals 1972 tra Ken Rosewall e Rod Laver

Il libro racconta la lunga transizione, poi sublimata dal primo torneo Open della storia, giocato a Bournemouth nel 1968. Se è vero che Rod Laver e Ken Rosewall arrivarono subito in finale, fu il torneo della clamorosa sconfitta di Pancho Gonzales contro il dilettante Mark Cox. Un match ancora oggi nell'immaginario collettivo. Una volta sdoganato il concetto che i tennisti potessero guadagnare con il tennis, si è creato un vuoto di potere in cui ognuno cercò di prendersi il suo pezzo di gloria (e di interesse). La Federazione Internazionale non era più in grado di gestire il liberismo dilagante, così emerse il WCT (World Championship Tennis), circuito alternativo a cui aderirono alcuni dei migliori al mondo. Voluto e gestito dal petroliere texano Lamar Hunt, durò un paio di decenni ma gli anni d'oro rimasero i primi seventies, specie quando il suo Masters era decisamente più attraente di quello del circuito ufficiale, denominato Grand Prix. La prima edizione del Masters (oggi a Torino) si tenne a Tokyo e fu un evento clandestino, mentre le WCT Finals ebbero addirittra il match del secolo, la leggendaria finale del 1972 tra Ken Rosewall e Rod Laver.

Il libro di Erba ricorda il gustoso aneddoto del match che avrebbe dovuto essere interrotto per lasciare spazio al TG della TV americana, un po' come sarebbe accaduto alla RAI degli anni '80 e '90. Per fortuna lo stop fu scongiurato e il tennis divenne uno sport di massa. Mentre in Italia si viveva tra pallottole e terrore, nel cuore degli anni di piombo, gli States si resero conto che il tennis poteva essere uno spettacolo di grande intrattenimento. E così – sull'onda della Battaglia dei Sessi – l'attivissima Billie Jean King lanciò il World Team Tennis (WTT), esistente ancora oggi. Competizione mista, a squadre, con regole strambe e pensate per attirare il pubblico. Tra gli iscritti c'era Jimmy Connors, che nel 1974 dominò il tennis. Il progetto WTT fu digerito da tutti, tranne che dai francesi. Per questo, Jimbo non potè partecipare al Roland Garros. Non è detto che lo avrebbe vinto, con quel dritto così fragile per la terra rossa europea, ma è certo che non ebbe la possibilità di competere per il Grand Slam. Qualche anno dopo, il WTT riuscì a ingaggiare Bjorn Borg e la fidanzata di allora, Mariana Simionescu.

Le "Original Nine", parteciparono a un torneo a Houston, seme da cui nacque il circuito WTA

Protagonista del World Team Tennis negli anni '70, Bjorn Borg saerebbe tornato a giocarlo una ventina d'anni dopo

Ma boicottaggi e squalifiche erano all'ordine del giorno: nel 1973, la federazione internazionale squalificò Nikki Pilic per aver rinunciato a un match di Coppa Davis. Il gesto scatenò il celeberrimo boicottaggio di Wimbledon 1973. Chiunque ama il tennis ha in'infarinatura di quanto accadde, ma Erba lo racconta con freschezza e dovizia di dettagli inediti, tra riunioni notturne, isteria collettiva e ricatti più o meno velati. Finì che un'ottantina di giocatori lasciarono Wimbledon ai giocatori dell'est e a quelli - secondo loro - senza spina dorsale. Un capitolo straordinario, di cui Corrado ci aveva già concesso un teaser proprio su Tennis Magazine. In anni di tumulti sociali, non poteva mancare una battaglia di stampo femminista.

Come sempre, in prima linea ci fu Billie Jean King: insieme ad altre otto giocatrici ebbe il coraggio di lanciare un tour autonomo, il Virginia Slims (dal nome di un modello di sigarette del marchio Philip Morris), da cui nacque il circuito WTA come è noto oggi. Un passaggio di grande importanza storica perché le donne, per la prima volta, si ribellarono all'enorme disparità di montepremi con gli uomini. Il libro termina con il suggestivo racconto della carriera di Natasha Chmyreva, talentuosa giocatrice sovietica che vinse molto da junior, ma la sua carriera fu bloccata dalle rigide imposizioni del suo Paese e un'indole libertina e ribelle. Quando si accorgero che la ragazza aveva la tendenza a fare un po' troppo per conto suo, socializzando più del dovuto con gli occidentali, le impedirono di continuare a viaggiare. Finì nell'oblio, salvo poi morire nel 2015, ad appena 57 anni. The 70's Tennis Wars ricorda questo e altri episodi. Siamo certi che buona parte, per voi, saranno inediti. E per questo è un libro da acquistare.