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ITALIA

“La Serie A1 è tra i segreti del nostro successo”

La frase di Angelo Binaghi, pronunciata durante l'ufficializzazione delle fasi finali a Torino, si presta ad alcune considerazioni. Prosegue l'equivoco di accostare il campionato alla produzione di giocatori, legame inesistente. E se abbiamo qualcosa da insegnare alla Francia non riguarda certo le gare a squadre. 

Riccardo Bisti (la foto in home è di Giampiero Sposito - FIT)
17 novembre 2022

La notizia dovrebbe essere un'altra, ed è giusto darla: sarà Torino ad ospitare le finali del Campionato di Serie A1, i prossimi 10-11 dicembre. Sullo slancio degli investimenti effettuati per le ATP Finals, lo splendido Sporting Stampa di Corso Agnelli assegnerà gli scudetti del 2022. La struttura utilizzata per gli allenamenti del Masters tornerà utile per l'ultimo happening stagionale, e sarà così per i prossimi cinque anni: l'accordo, infatti, è valido fino al 2026. Era un segreto di Pulcinella, perché nell'ambiente era risaputo che la scelta fosse già ricaduta su Torino. Ma la vera notizia, per chi conosce storia e vicende di questo campionato, è che Angelo Binaghi è tornato a parlarne pubblicamente dopo moltissimo tempo. Oltre alle affermazioni sulla crescita del nostro sport e a meritorie intenzioni (far conoscere il tennis nelle scuole, realtà da cui è storicamente assente), ha rilasciato una serie di dichiarazioni che non possono restare senza contradditorio. Binaghi ha detto: “Vogliamo valorizzare questo campionato come merita, perché il campionato affiliati valorizza la dimensione sociale del nostro sport […] Credo che sia uno dei segreti del nostro successo e combatto perché non ne venga snaturata l'impostazione che è stata la chiave di volta della crescita del movimento giovanile. La Serie A1 è la leva più importante che abbiamo per l'attività dei circoli.

Deve vincere, e lo stesso vale per le serie inferiori, non il circolo più ricco che può comprare i tennisti migliori, ma il più bravo a costruire giocatori. Per questo abbiamo imposto che il 50% dei tennisti di ciascun circolo siano del vivaio. Da quel giorno il tennis italiano è cambiato. E finché sarò presidente difenderò questa impostazione, perché la chiave del nostro successo sta nella formazione, in poche parole nella formula della Serie A”. Sostenere che la Serie A1, così com'è, sia la chiave del successo del tennis italiano è un'affermazione non condivisibile. Il Campionato si è ormai attestato su un livello decisamente più basso rispetto a prima della riforma, e l'appeal su scala nazionale è pressoché nullo. Alcuni circoli si sono affidati a uffici stampa e agenzie di comunicazione per far conoscere la loro attività, ma i riscontri sono soprattutto su scala locale. L'unico momento di visibilità sono le finali, ma solo perchè vengono trasmesse su SuperTennis in un momento in cui non c'è altro. E spesso la trasmissione TV è stata un boomerang, perché si sono visti impianti semivuoti un po' dappertutto (Rovereto, Foligno, Montecatini, Lucca, Cesena....), con incontri dal livello davvero troppo diverso rispetto a quello che siamo abituati a vedere in TV. L'unico sold out che si ricordi risale al 2010 a Rovereto per un match di Francesca Schiavone, che quell'anno aveva vinto il Roland Garros.

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Il caso di Gabriele Piraino

Onestà intellettuale impone di ricordare che il Campionato del 2022 sta mettendo in luce uno dei rarissimi casi di giocatore costruito in casa e importante nell'economia della squadra. Il CT Palermo sta schierando Gabriele Piraino, classe 2003, numero 536 ATP e cresciuto nel club siciliano. Si allena ancora lì sotto la guida di coach Davide Cocco, che è anche il capitano del team. Sarebbe la prima volta dopo moltissimo tempo che un vivaio "vero" risulta importante per la conquista di una finale. L'ultimo caso simile fu quello di Matteo Marrai. Ma il principio espresso nell'articolo rimane valido: non è corretto imporre restrizioni così pesanti ai circoli.

I toscani del TC Sinalunga sono in semifinale: nell'immagine si riconoscono i "vecchi leoni" Luca Vanni e Daniele Bracciali

Costringere i circoli a schierare dei presunti giocatori del vivaio non ha fatto altro che abbassare il livello della competizione, e non ha certo aumentato la loro produzione autonoma di tennisti. Semmai, si è alimentato un mercato diverso rispetto al precedente: se un tempo si cercavano i giocatori più forti (quelli che magari creavano interesse), adesso i club si fanno furbi e cercano di tesserare giovani promettenti, che però non si sono mai allenati nel circolo del quale – invece – risultano come vivaio. Un buon esempio è Lorenzo Musetti, tesserato anni fa dal Park Genova senza che si sia mai allenato sotto la Lanterna. Quest'anno è giunto in semifinale il TC Sinalunga, che può schierare come vivaio il 20enne Matteo Gigante. Con un dettaglio: è romano e si allena a Roma. Senza contare i casi di “vivai” che ormai hanno 30 anni o quasi come Omar Giacalone (CT Palermo) o Gianluca Mager (Park Genova). Da quando è stata istituita la norma (sbagliata) che impone alle squadre di schierare due elementi del “vivaio” (le virgolette sono d'obbligo) in ogni singola partita, non c'è un solo elemento di valore che sia emerso grazie alla Serie A1. Per la verità, un caso ci sarebbe: Matteo Berrettini. E che caso.

Ma osserviamolo con attenzione. Berrettini ha vinto quattro scudetti (prima da riserva, poi da comprimario, infine da protagonista) con il Circolo Canottieri Aniene. Si è tesserato con il club romano nel 2010, secondo anno da Under 14, perché – su spinta di papà Luca e con l'entusiasmo del fratello Jacopo – volle intraprendere un percorso con Vincenzo Santopadre. Scelta benedetta. Non pensava certo alla Serie A1, che però è stata importante per la sua formazione: da adolescente, viveva ogni domenica i match dalla panchina e imparava dai big del suo team: Simone Bolelli, Potito Starace, Flavio Cipolla, Alessio Di Mauro, persino il polacco Grzegorz Panfil... tutti giocatori che con la formula attuale non avrebbe potuto seguire da vicino. Senza i sopracitati, la Serie A1 all'Aniene non ci sarebbe mai stata e non avrebbe fatto parte del suo percorso. Ci sarebbe ugualmente stato quello che ha costruito insieme a Vincenzo Santopadre, che però – chissà – è stato velocizzato dalla possibilità di giocare e allenarsi con professionisti già affermati. In tutta onesta, è improbabile che possa verificarsi altrove un triangolo di successo come Berrettini-Santopadre-Aniene, peraltro reso possibile grazie all'allora presidente del club Giovanni Malagò.

Il CC Aniene scudettato nel 2017. Si riconoscono Matteo Berrettini e Vincenzo Santopadre

Neopromosso in A1 lo scorso anno, il CT Palermo ha centrato la semifinale. Il caso di Gabriele Piraino è l'unico caso di giocatore costruito in casa e valorizzato in A1

Certificata la particolarità del Caso Berrettini, tutti gli altri “vivai” che abbiamo visto in campo in questi dieci anni non hanno fatto sfracelli, e comunque – fatto ancora più importante – il loro percorso era totalmente slegato dalla Serie A1. E qui nasce l'equivoco in cui (a nostro parere) cade Binaghi: i circoli non devono avere il compito di costruire giocatori. I circoli creano la base del movimento e servono per intercettare i talenti, che poi – giustamente – si formano altrove. Lo sa benissimo anche la FIT, che ha creato una rete di fiduciari in tutta Italia, il cui compito è individuare i migliori giovani e sottoporli all'interesse centrale, prima nei centri periferici e poi, chissà, in quello di Tirrenia. Salvo casi-studio come l'Aniene di Berrettini, un circolo normale non può permettersi di costruire un giocatore in proprio, se non con investimenti anti-economici per la vita dello stesso. In tutto questo, la Serie A1 non c'entra niente. Dovrebbe essere un valore aggiunto, una vetrina per dare visibilità per chi trova qualche decina di migliaia di euro da investire, magari togliendosi lo sfizio di ingaggiare un top-100, oltre a fornire importante sostegno a giocatori di seconda fascia (altri danneggiati da questa riforma, perchè ci sono meno posti a disposizione e dunque meno possibilità di guadagno). Legare questa dinamica allo sviluppo dei giovani – a nostro avviso – è profondamente sbagliato. Nel suo intervento, Binaghi ha parlato dell'imminente incontro con Gilles Moretton, presidente della federtennis francese.

Ecco le sue parole: “Verrà con i dirigenti della loro scuola di formazione per capire i segreti del successo della scuola italiana. Ci ha mandato una lista lunghissima di domande, ma non ci ha chiesto niente del campionato affiliati”. E poi la frase già citata, secondo cui la Serie A1 sarebbe tra i segreti del successo FIT, pardon, FITP. Qui la risposta è fin troppo facile: il campionato francese è migliore di quello italiano e vi abbiamo già spiegato dettagliatamente le ragioni. Rileggere il nostro articolo del dicembre 2021 è la ragione che evidentemente ha spinto Moretton a non chiedere nulla della Serie A1 italiana. Undici mesi fa scrivevamo: “Non c'è dubbio che oggi l'Italia vada meglio della Francia, ma è importante guardare in casa d'altri con occhi umili e attenti”. Proprio quello che ha fatto Moretton: in questo momento siamo più forti di loro sotto mille aspetti, i francesi se ne sono accorti e – con umiltà e attenzione – cercano di imparare laddove l'Italia ha qualcosa da insegnare. E bisogna dare atto alla FIT che ci sono diversi punti sui quali può fare scuola, anche a una federazione ricchissima come quella francese. Ma se c'è qualcosa su cui non abbiamo proprio niente da insegnare, beh, è la Serie A1. Nella speranza che i prossimi 10-11 dicembre ci siano a Torino almeno un paio di top-100 ATP. Gli unici che potrebbero potenzialmente esserci sono Fabio Fognini e Albert Ramos. Binaghi ha detto che continuerà a difendere questo campionato, ed è legittimato a farlo, oltre ad avere il potere esecutivo. Ma sarebbe gravissimo non esercitare il diritto di critica. Quando è argomentata, s'intende.