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US OPEN

Stricker wanna be dance with... tennis!

45 sponsor e uno staff di 14 persone avevano impigrito il talento di Dominic Stricker, ma coach Dieter Kindlmann lo ha gradualmente trasformato da cicala a formica: più allenamenti e meno cioccolata lo hanno condotto allo spettacolare successo contro Tsitsipas. E ha pure cantato Whitney Houston... 

Riccardo Bisti
31 agosto 2023

Abbiamo capito tutto lo scorso 25 febbraio. Un sabato pomeriggio, nel cuore delle Dolomiti. Dominic Stricker aveva appena battuto Gauthier Onclin in semifinale al Challenger di Rovereto. Match normale, ma subito dopo Dieter Kindlmann lo prese quasi per le orecchie e lo portò ad allenarsi dentro un pallone pressostatico. Non era ancora il suo coach a tempo pieno, lo sarebbe diventato un mese dopo. Ma era iniziato il processo di trasformazione da cicala a formica, sublimato dallo spettacolare successo contro Stefanos Tsitsipas allo Us Open, cinque set (7-5 6-7 6-7 7-6 6-3) spalmati su quattro ore. Fino a oggi, la miglior partita del torneo. Stricker era convinto che il braccio e il talento sarebbero bastati, trascurando tutto il resto. E così si è trovato a 20 anni con un fisico non esattamente da atleta, assist per ironie e cattiverie da body-shaming. Ma a lui, in fondo, cosa interessava? Aveva vinto il Roland Garros junior e la sua condotta rivedibile lo aveva comunque portato a ridosso dei top-100 e in semifinale alle Next Gen Finals. Ed era bastato per essere invitato alla ricchissima Diriyah Tennis Cup, laddove ha intascato 350.000 dollari vincendo il doppio. Insomma, essere Dominic Stricker può essere sia facile che difficile. Facile perché non dovrà mai faticare per arrivare a fine mese. Come un gatto domestico, la sua amata Minu, che a differenza dei randagi non deve procacciarsi il cibo.

Difficile perché il benessere non accende l'umiltà e nemmeno la fame. I risultati erano sotto gli occhi di tutti. Com'è possibile che un giocatore del genere, baciato dal talento, non sia ancora entrato tra i top-100 ATP? A febbraio si era presentato a Rovereto pieno di incertezze, vittima di guai personali di cui non volle parlare (ci mancherebbe). Ma con lui c'era Kindlmann, ex n.130 ATP e valido coach, ma con esperienza soprattutto nel settore femminile. Aveva lavorato con Kerber, Keys, Sabalenka... e Maria Sharapova. Ebbe il suo quarto d'ora di celebrità quando spuntò una clausola nel contratto firmato con Masha: nei giorni in cui la allenava, non poteva avere rapporti sessuali. Negli ultimi anni aveva aperto a una sua mini-accademia in Germania e iniziato a lavorare con Swiss Tennis. Grazie a questa collaborazione ha conosciuto Stricker, al tempo seguito da Sven Swinnen, uno che da 14enne giocava (e talvolta vinceva) con Roger Federer. Si salutavano, nulla più, poi i pezzi del puzzle si sono incastrati. Swinnen ha famiglia e non si sentiva di viaggiare, mentre Kindlmann aveva appena smesso di collaborare con Xiyu Wang. Settimana di prova, torneo vinto. Si sono trovati talmente bene che quella con Peter Lundgren è rimasta una parentesi: dopo pochi giorni con il tecnico svedese, hanno formalizzato l'accordo.

«Prima di ogni allenamento non metteva l'overgrip alla racchetta, non preparava le borracce e quasi non faceva riscaldamento» 
Dieter Kindlmann
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Il compito era tanto chiaro quanto complicato: incanalare il talento di Stricker sui binari della professionalità. “In lui vedo molto talento, ma anche tante cose da migliorare, sia dentro che fuori dal campo. Deve capire cosa si fa per entrare tra i top-50: palestra, fisioterapia, prevenzione, tanti dettagli... Però è un ragazzo eccezionale, molto divertente. È un po' goffo, deve capire cosa significhi essere un professionista. Il mio compito è insegnarglielo”. C'è voluto un po' di tempo per assaporare i primi frutti, poi noi vediamo soltanto la punta dell'iceberg. La semina a fari spenti la conoscono in pochi, ma quel piccolo gesto a Rovereto aveva un grosso valore simbolico. Dopo una partita, i giocatori vogliono infilare la racchetta nel borsone e tenerla in ghiaccio fino al giorno successivo, a maggior ragione se sono cicale di natura come Stricker. Ma il suo coach sapeva di dover intervenire dalle basi, specie quando si era accorto della sua approssimazione. Prima di ogni allenamento non metteva l'overgrip alla racchetta, non preparava le borracce e quasi non faceva riscaldamento. Puoi avere la dinamite nel braccio, ma senza questi dettagli non vai da nessuna parte. Stricker si è fidato di lui e l'exploit a New York è il coronamento di un percorso finalmente nuovo. Si è fatto male a marzo, poi ha vinto un torneo subito al rientro (il Challenger di Praga). È entrato come lucky loser al Roland Garros, poi si è fatto male alla schiena. No problem: ha recuperato in tempo per Wimbledon, laddove si è qualificato e ha passato un turno nel main draw. Non benissimo in estate, ma la carriera di un tennista è fatta di sliding doors.

Lui l'ha vissuta al secondo turno delle qualificazioni, quando ha dovuto annullare un matchpoint a Pablo Llamas Ruiz, sull'8-9 del super tie-break. Se l'è cavata con un gran servizio, poi ha iniziato a diluviare. Durante la pausa ha giocato a Yahtzee con il suo team (un gioco di dadi). Gli è servito a rilassarsi, ha vinto la partita, poi si è qualificato e ha passato il primo turno battendo Alexei Popyrin (proprio come a Wimbledon) prima del capolavoro contro Tsitsipas, in cui il pubblico mainstream ha potuto apprezzare un tennis vibrante, spettacolare e coraggioso. Perché Stricker non ha soltanto il talento, ma una qualità altrettanto importante: non ha paura. Spinge a tutta, con coraggio, senza pensare al punteggio. Come sul matchpoint, quando ha stampato sulla riga un fulminante dritto lungolinea. O qualche minuto prima, durante l'ultimo cambio di campo: altri sarebbero stati erosi dalla tensione, lui ha canticciato I wanna dance with somebody, hit di Whitney Houston sparata degli altoparlanti del Grandstand. Autostima, dicevamo: per qualche anno, Stricker non si è vergognato ad andare in giro con un'auto griffata con il suo nome, il suo logo e il suo volto. Era un omaggio di un concessionario d'auto della sua zona, lo ZAUGG Storenbau. Una Volkswagen Tiguan che rappresentava una bella comodità (“Molto meglio che giri in zona con l'auto che un badge sulla maglia a Parigi: a me cosa servirebbe?" diceva il titolare Ralf Wenger), ma anche una potenzale fonte di invidie e/o prese in giro.

Fino a pochi mesi fa, Dominic Stricker non era un esempio di professionalità

Dominic Stricker ha giocato un match straordinario contro Stefanos Tsitsipas

Pensate che i suoi avversari nei tornei Challenger abbiano preso bene la presenza di una simile auto nei parcheggi dei tornei? Al massimo, si saranno impegnati ancora di più per batterlo. Ma lui se ne infischia ed è stato premiato: giusto qualche settimana fa ha raggiunto un accordo di sponsorizzazione con la filiale svizzera di Alfa Romeo. Non sappiamo se grifferà la sua nuova auto in quel modo, ma intanto ha aggiunto un altro tassello a un portfolio di sponsor impressionante, se paragonato ai suoi risultati: ne ha circa 45, senza contare uino staff di 14 persone che si occupa – più o meno – a tempo pieno della gestione della sua carriera. Didi Kindlmann è la punta dell'iceberg, poi c'è Marc Frey, preparatore di Swiss Tennis (che l'ha accolto a 14 anni nelle proprie strutture e non lo ha mai mollato) e la famiglia, più che mai coinvolta. Papà Stephan ha ridotto il suo impegno in polizia per curare gli aspetti gestionali, mentre la sorella Michele è una scheggia nel tenere aggiornata la parte social: Instagram, Facebook, Twitter, sito personale... Stricker è uno dei tennisti comunicati meglio in assoluto. Nelle interviste post-match non ha detto niente di indimenticabile, sottolineando di essersi sentito bene fin dall'inizio e di essere ancora senza parole. Comprensibile, visto che non aveva ancora battuto top-10. Prima di Tsitsipas, il più forte era stato Hubert Hurkacz (n.20) due anni fa a Stoccarda. Nessuno può essere davvero sorpreso di questo exploit, perché Stricker è considerato da anni un predestinato.

Aveva soltanto bisogno di qualcuno che toccasse i tasti giusti. “Adesso sto molto più attento a quello che mangio – racconta – in effetti questo aspetto è cambiato molto. L'alimentazione prima e dopo i match è organizzata in base alle energie e al recupero. Prima mangiavo un po' troppi biscotti e cioccolata. Ogni tanto ne ho ancora bisogno, ma è umano. Mi piace anche la Coca Cola, ma non posso più berla tutti i giorni. Diciamo che ho aumentato il consumo di acqua frizzante. Adesso è fantastico vedere che il corpo è in grado di reggere per quattro ore”. A 21 anni (li ha compiuti lo scorso 16 agosto, è nato esattamente un anno dopo Jannik Sinner) è anche più semplice recuperare: ne avrà un gran bisogno in vista di un terzo turno fattibilissimo contro Benjamin Bonzi, vincitore a sorpresa contro Cristopher Eubanks (che però non stava benissimo), in vista di un possibile ottavo contro Taylor Fritz. Ci sono tutte le premesse affinché lo Us Open sia il torneo svolta-carriera per questo ragazzo di Grosshöchstetten, sobborgo di Berna, luogo a cui è legatissimo. E in cui lo amano alla follia, al punto che la comunità si è messa a sua disposizione nei difficili anni della crescita: il fisioterapista e il chiropratico lo curavano a costo zero, mentre il calzolaio gli preparava gratuitamente i plantari. Se Dominic manterrà umiltà e disciplina, non ci vorrà molto prima che inizi a bussare alle spalle dei migliori. Credeteci, sarebbe un'ottima notizia per il tennis.