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L'INTERVISTA

Laura Siegemund, la Sardegna per ripartire

Lunga chiacchierata con la 33enne tedesca: ex fenomeno junior, persona di spiccata intelligenza, ha scelto Porto Torres per preparare il ritorno nel circuito. Con lei, il coach-fidanzato Antonio Zucca. Oggi punta a stare bene, e magari a vincere un altro Slam in doppio. Con un libro in arrivo...

Da Porto Torres, Valentina Guido
6 febbraio 2022

Se non volete far arrabbiare Laura Siegemund, non paragonatela a Steffi Graf. “La ammiro e la rispetto, è stata una delle più grandi. Ma non ho mai voluto essere come lei perché voglio essere Laura Siegemund”. La ex numero 27 del mondo (due volte campionessa in doppio allo Us Open), ha un carisma che non si lascia contenere da etichette o facili generalizzazioni. Un po’ come i suoi riccioli biondi che solo a fatica possono essere trattenuti in una vigorosa coda di cavallo. Consapevole di un talento precoce che i maestri le hanno riconosciuto fin da giovanissima, la tennista di Metzingen sta lavorando sulla riabilitazione fisica dopo l’intervento al menisco destro subito ad agosto 2021 in Germania; nel tempo libero, si gode il mare della Sardegna. Siegemund ha osservato da lontano quello che sta succedendo in Australia e nonostante le restrizioni per il Covid, non ha dubbi: “Avrei voluto essere a Melbourne perché è uno dei miei tornei preferiti. Non è stato facile guardare la TV desiderando di essere lì, ma bisogna essere pazienti”. La pensa così anche il suo allenatore e fidanzato Antonio Zucca di Porto Torres, ex tennista professionista che dopo l’incontro con Laura a Roma nel 2017, ha scelto la carriera di coach. Ci diamo appuntamento proprio nella cittadina costiera in cui Antonio è cresciuto e nella quale, è evidente, anche Laura si trova bene. “Non ho esattamente scelto di fare la riabilitazione in Sardegna, è successo – spiega la tennista - All’inizio volevamo solo passare un po’ di tempo qui con la famiglia. Pensavo di farlo in Germania, poi però ho iniziato a lavorare con il team della Dinamo Basket Sassari e mi sono trovata bene”. Sono i primi giorni di gennaio, il caso Djokovic non è ancora deflagrato, e mentre intorno a noi si stende il mare grigio d’inverno, la conversazione si allunga per via delle tante curiosità che desta il dialogo con la 33enne psicologa tedesca. E anche al coach-fidanzato abbiamo rivolto alcune domande per avere uno sguardo più vicino e attento sul presente radioso del tennis italiano.

Laura, quando rientrerai nel tour dopo questo lungo stop e con quali obiettivi?
Il mio obiettivo è tornare nel tour a febbraio, probabilmente nella settimana del 7, ma dobbiamo vedere come va nelle prossime settimane. Difficile fare piani, vorrei solo essere in salute con continuità e poi, se gioco bene, i risultati arriveranno (ora è n. 160 WTA, n.d.a.).

Quando e dove hai iniziato a giocare a tennis?
Nessuno prima di me in famiglia si era mai dedicato al professionismo. I miei genitori e mio fratello giocavano a tennis nel weekend, perciò ho preso la racchetta in mano per la prima volta a 3 anni a Metzingen, la mia città, e poi ho iniziato a giocare in Arabia Saudita dove la mia famiglia si è trasferita per tre anni.

Quale maestro ha capito per primo che potevi diventare una professionista?
È successo in Arabia Saudita, era talmente evidente! Il primo è stato il padre di Michael Mmoh che mi faceva da allenatore. Quando poi sono tornata in Germania, anche il mio allenatore tedesco credeva nel mio talento. Facevo tante cose, mi dedicavo alla musica e ad altri sport, soprattutto ginnastica. Poi a 12 anni ho vinto l’Orange Bowl e ho detto ai miei genitori che volevo dedicarmi al tennis.

Nel 2000 dopo l’Orange Bowl, la stampa tedesca ti ha paragonata a Steffi Graf. Ti sei sentita sotto pressione?
Più che altro è stato fastidioso venire paragonata sempre a lei. Volevo essere me stessa. Steffi era un idolo per me perché è stata una delle più grandi, la ammiro e la rispetto per la sua serietà e umiltà, ma avevamo personalità diverse e un gioco diverso, perciò sapevo che non sarei mai stata come lei.

Parliamo di superfici. Per Medvedev la terra è “fango”. Cosa sono per te la terra battuta, l’erba e i campi veloci?
Anche io penso che la terra sia come il fango, ma a differenza di Medvedev mi piace lottarci! Mi piace il “gioco sporco”, la battaglia che c’è dietro. Naturalmente la terra è la mia superficie preferita, ma nel corso di tutta la carriera ho cercato di diventare amica di tutte le altre superfici e credo di esserci riuscita. Non odio l’erba, ma è più specifica, e c’è un periodo di tempo molto breve non solo per giocare i tornei, ma anche per prepararsi. Inoltre, passare dal veloce all’erba sarebbe un conto, ma passare dalla terra all’erba – ciò che di fatto succede – non è facile.

Nel 2012 hai smesso di giocare e hai cominciato a studiare psicologia. Hai dichiarato: “Il tennis è una parte del tutto e facendo altro ho ritrovato il tennis”. È ancora così?
Quando faccio qualcosa do tutto, sono molto ambiziosa e cerco di ottenere il massimo. Nel 2011 e 2012 non mi divertivo più nel tour, giocavo per il risultato che però non era abbastanza buono. Ero circa 200 nel mondo e non mi bastava, ero infelice, così ho deciso di smettere. Poi - non saprei dirti come - sono tornata indietro. Ho iniziato a studiare, a godermi la vita, a giocare e ad allenarmi a tennis ma solo per divertirmi. E in quel momento ho cominciato a giocare bene, a vincere partite e tornei. Non mi interessava più tanto la carriera da tennista professionista. Poi nel 2015 mi sono qualificata per il tabellone principale di Wimbledon per la prima volta e allora ho deciso di provare a tornare nel tour, ma solo a condizione che io stessi bene in generale: negli allenamenti, nella preparazione atletica e nei viaggi (cosa difficile per me, perché non mi piacciono). Ho provato a fare un mix equilibrato, concentrandomi sul tennis ma senza dimenticare che nella vita ci sono altre cose che per me sono importanti.

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«Vorrei vincere un altro Slam in doppio e penso veramente di potercela fare; in singolare, nel 2020 sono arrivata ai quarti al Roland Garros e vorrei ripetere un risultato del genere» 
Laura Siegemund

Il punto più alto nella carriera di Laura Siegemund è stato il successo al ricco WTA di Stoccarda nel 2017. Batté in finale Kristina Mladenovic

Nel 2016, anno del best ranking al numero 27, è arrivato il primo titolo WTA a Bastad. Cosa ricordi di quel torneo?
Stavo giocando bene e avevo molta fiducia in me stessa. Qualificarmi e fare bene alle Olimpiadi è stato un sogno che si avverava. Quando sono arrivata a Bastad, era la prima settimana con il mio nuovo coach Paul Davis che mi ha dato molti nuovi input. Ho giocato semplicemente alla grande. È stata la settimana perfetta che si è conclusa con il trofeo, il meglio per me e per il mio nuovo coach.

Nel 2017 hai dato una prova di forza nella tua Stoccarda, vincendo un titolo Premier e battendo tre top ten (Kuznetsova, Pliskova, Halep). Quando hai iniziato a crederci e come hai fatto a superare la delusione dell’anno precedente?
Avendo giocato la finale nel 2016, quando sono arrivata a Stoccarda nel 2017 il mio obiettivo era quello di non perdere al primo turno. Prima di quel torneo non avevo vinto tanti match. Stoccarda è un torneo duro, incontri solo top 30 dall’inizio alla fine. Non ero molto in fiducia, perciò volevo solo vincere la prima partita. Ho giocato molto bene, ma ho sempre pensato giorno per giorno. Non ho mai pensato di vincere quel torneo, mai. L’anno prima avevo raggiunto un grande risultato e non mi aspettavo di giocare addirittura meglio. A un certo punto la gente ha cominciato a chiedermi: “Quindi vincerai tu questa volta?”, ma io dicevo: “Non m’importa, voglio solo concentrarmi sul prossimo match”. E così ho fatto per tutta la settimana. La cosa più bella che ti possa succedere è vincere un torneo così importante a casa tua. Vorrei tornare sicuramente a giocare a Stoccarda, l’unica domanda è se riuscirò a qualificarmi o in alternativa se ci potrò andare con una wild card.

Hai vinto due Slam in doppio, sempre allo Us Open, nel 2016 con lo specialista Mate Pavic e nel 2020 con Vera Zvonareva. Giocherai ancora con loro?
Mi piace il doppio misto e avrei voluto giocare ancora con Pavic, ma quando nel 2017 mi sono infortunata lui ha cominciato a giocare con Gabriela Dabrowski e tuttora giocano assieme. Con Zvonareva sicuramente sì, lei come me è nella parte finale della carriera ma siamo d’accordo nel voler continuare a giocare il doppio, se possibile insieme.

Come risollevare le sorti del doppio, spesso dimenticato?
Il doppio maschile, femminile e misto è un gioco molto bello da vedere, ma anche io credo che non venga promosso abbastanza. Per quanto riguarda i montepremi è stato fatto un buon lavoro, perché anche gli specialisti del doppio riescono a vivere di tennis. Ma andrebbe promosso di più e mostrato di più in televisione. Per esempio, in Germania credo che mostrino solo la finale di uno Slam, ma niente di più. Ha molto potenziale, ma non è una priorità. Il misto è molto interessante ma si può disputare solo nei tornei dello Slam; dovrebbero essere create più occasioni di competizione. È diverso dal singolare ma non è meno divertente, anzi.

Come ti fa sentire giocare per la tua nazionale alle Olimpiadi o in BJK Cup?
È un onore ed è diverso. Quando giochi per il tuo Paese, la responsabilità è più pesante ma a me piace sentirmi così. È un bel modo di guadagnarsi la pressione, sei lì perché sei tra le migliori del tuo Paese. Stando in una squadra, poi, impari cose nuove di te stessa.

Hai fatto un corso da coach con la federazione tedesca, con quali prospettive? Vorresti fare la coach, come Antonio, o la mental coach?
Volevo vedere il tennis da una prospettiva diversa, così nel 2013 ho seguito il corso da coach: avere l’abilitazione è pur sempre una possibilità in più, non si sa mai dove può portarti la vita, ma non penso che diventerò un coach perché non voglio più viaggiare e sono interessata più alla parte psicologica. Quindi preferirei essere una mental coach. Ho giocato nel tour a lungo, viaggiare tanto è difficile per me, perciò quando terminerò la carriera da tennista, penso che vorrò stabilirmi in un posto.

Com’è il tuo rapporto con la rabbia quando sei in campo? Pensi che una certa dose di rabbia sia necessaria?
Parliamo tutti i giorni di quanto sia importante divertirsi durante il processo, a ogni passo. La mia mente però tende a volere sempre di più: sono una perfezionista, la rabbia è una compagna costante per me e devo gestirla. Ci vorrebbe una sorta di equilibrio tra la rabbia e la gioia. Non so se la chiamerei rabbia, più che altro devi avere il “drive”, cioè la motivazione. Ma la rabbia non serve sul campo, la devi trasformare in motivazione. Sul campo voglio essere composta e concentrata, mentre la rabbia fa il contrario. Però quando arrivano le emozioni come la rabbia, le devi accettare come un amico che ti viene a visitare, poi devi accompagnarle alla porta e lasciarle uscire.

Laura Siegemund e Vera Zvonareva potrebbero tornare a giocare il doppio insieme

Una compilation degli allenamenti di Laura Siegemund

Quali sono le migliori qualità di Antonio come coach?
È molto interessato al funzionamento del gioco e alle diverse tipologie di giocatori. Per me la sua migliore qualità è il fatto che si accorga di tante cose che altre persone non notano. È bravo a estrarre i dettagli dal gioco degli altri tennisti e a spiegarmeli, a renderli utili per me, perché lui conosce i miei problemi e le mie difficoltà dal punto di vista tecnico e tattico. Per me qualsiasi cosa faccia, la cosa importante è che tu osservi i migliori e impari, traendo ciò che può funzionare per te. Anto lo sa fare molto bene e abbiamo fatto tanti progressi negli ultimi anni proprio grazie a questo. Io sono nel tour da tanto tempo e osservo il gioco degli altri, ma alcune cose non le vedo, lui invece sì.

Qual è la sua migliore qualità come fidanzato?
Sa cucinare meglio di me, non che ci voglia molto! Ed è una persona di famiglia. Passiamo tanto tempo insieme, mi sta sempre vicino.

Se doveste crescere dei figli, dove immaginereste il futuro della vostra famiglia? In Germania o in Sardegna?
Gli Stati Uniti piacciono a entrambi, ma non sono sicura che ci vivrei. La Germania è un grande Paese per tante cose, ma per la mentalità preferisco l’Italia, per il clima e l’atmosfera. Perciò immagino di poter vivere in Sardegna, mi piace molto. Non so se sia il posto migliore in cui tirar su una famiglia ma sono una fan della natura ed è un posto abbastanza tranquillo in cui poter vivere. In realtà non ho preso una decisione, sono aperta a diverse possibilità.

Dove ti immagini tra un anno?
Non posso fare molti programmi perché dipende dal mio fisico e anche dalla mia mente, e non è tanto una questione di risultati perché per me la cosa importante ora è stare bene. Spero di poter tornare nel tour, divertirmi e giocare ad alti livelli. Non so se nel singolare, nel doppio o in entrambi, ma comunque se dovessi sentire che ho problemi con il fisico e non mi diverto, smetterei.

A questo punto della tua carriera, che soddisfazione vorresti toglierti?
Vorrei vincere un altro Slam in doppio e penso veramente di potercela fare; in singolare, nel 2020 sono arrivata ai quarti al Roland Garros e vorrei ripetere un risultato del genere, voglio ancora giocare in singolare perché sento di avere ancora qualcosa da dare ed è la priorità, ma dipende dal mio corpo.

Hai talento e sei creativa, ma nel tempo sei diventata più aggressiva e potente. Sei d’accordo, oppure come descriveresti l’evoluzione del tuo gioco?
Ho avuto sempre un tipo di gioco vario e creativo, difficile da leggere, ma al livello di top 40 o top 30, la varietà di gioco non basta. Devi gestire la velocità di palla delle avversarie che ti mettono sotto pressione, e tu stessa devi giocare più velocemente e con maggiore precisione, quindi negli ultimi tempi ho lavorato molto sulla necessità di giocare in modo più solido e aggressivo; ho iniziato quindi a giocare meglio sull’erba per questo motivo. Sarò sempre una giocatrice creativa perché ce l’ho nell’anima ma sto cercando di fare un mix tra solidità, potenza e aggressività con creatività.

Il documentario Untold su Mardy Fish e le dichiarazioni di Naomi Osaka hanno posto l’accento sulla salute mentale nel tennis. Secondo te se ne dovrebbe parlare di più?
Ho studiato psicologia perché lo trovo molto interessante e so che può aiutare le persone. Non solo gli psicologi professionisti, anche una chiacchierata con un amico può essere d’aiuto. Quindi per me la salute mentale è la cosa principale nella vita privata, nel lavoro, non solo nel tennis ma in tutto lo sport professionistico. Gli spettatori tendono a vedere la parte “glitter and glory”, quando gli sportivi sollevano il trofeo e i coriandoli scendono dal cielo, ma non si vede il lavoro che c’è dietro. E va bene, ma è molto importante mettere la salute mentale come priorità dopo la performance. Perciò è una cosa positiva conoscere le storie di Mardy Fish o sentire le dichiarazioni di Osaka. Bisogna essere molto onesti, non cercare di nascondere queste cose, farne un tema di discussione in modo che le persone possano sentirsi libere di manifestare un disagio e ottenere un aiuto professionale.

È vero che le conferenze stampa post partita son molto stressanti?
È una medaglia a due facce. Da una parte è il nostro lavoro, andiamo lì per far divertire il pubblico, ci esibiamo e poi parliamo della nostra performance. Le persone vogliono questo. Ma se hai avuto una brutta giornata al lavoro, un minuto dopo entri in conferenza stampa e venti persone ti chiedono: “Perché hai avuto questa brutta giornata, mentre ieri hai giocato bene?” e così via, è molto stressante in effetti, è qualcosa che può buttarti giù se sei già frustrato perché le hai provate tutte ma non ce l’hai fatta. Fa parte del lavoro e bisogna saper gestire questa pressione, ma penso che in situazioni estreme, per la salute mentale, sia giusto evitare i media e dire: “Ok, mi dispiace ma ora non riesco a rispondere”. Il problema principale è che bisogna andare subito in conferenza stampa. La soluzione potrebbe essere quella di aspettare un paio d’ore dopo la fine della partita per potersi calmare un po’.

Suggerimenti ai giornalisti per migliorare il rapporto con i giocatori?
Secondo me l’obiettivo di un giornalista dovrebbe essere, come per un coach, “sentire” il giocatore, provare il più possibile a vedere il contesto completo dal quale arriva, non solo quel match in particolare. Per esempio, se il tennista prima di quella partita ne ha perse 10 di fila, il giornalista dovrebbe cercare di capire cos’è successo entrando in empatia. Certo che i giornalisti possono fare domande critiche, ma loro sono seduti e rilassati mentre i giocatori hanno dovuto correre per il campo per 3 ore e poi devono venire a difendersi. La cosa peggiore per un tennista è rendersi conto che il giornalista non è completamente informato. Non è bello doversi difendere da qualcuno che non sa, non ti “sente”, non ha le informazioni giuste e complete.

Hai vinto con Shuai Peng un torneo in Cina nel 2019. Pensi che giocherete ancora insieme? Siete in contatto?
Ci sarebbe piaciuto, ma poi ho iniziato subito con Vera (Zvonareva); Peng non ha più giocato, e comunque abbiamo un rapporto che non va al di là del campo, non ho più nemmeno il suo numero di telefono. Sono scioccata dalla situazione, spero che stia bene, ma non ho un contatto stretto con lei.

Ti mancherà la parte della stagione dei tornei in Cina che la WTA ha cancellato?
Ci sono tornei molto importanti in Cina e i fan sono fantastici, ma non è mai stata la mia fase preferita della stagione perché è l’ultima e ci si arriva molto stanche. Quindi per me, se ci fossero altre opzioni per giocare, per esempio negli USA, le preferirei. Mi dispiace per chi in Cina vive di tennis e per i fan che non hanno colpa dell’accaduto, ma credo che la WTA abbia preso la decisione giusta perché la situazione di Shuai Peng non è trasparente.

Un messaggio per Amelie Mauresmo, prima donna a dirigere il Roland Garros.
È una gran cosa che ci siano più donne in posizioni come questa. Lei era una grande giocatrice perciò credo che possa capire profondamente i giocatori, ed è anche una coach.

Per Laura Siegemund il tennis è…?
La parte più importante della mia vita, da sempre. È una passione; è qualcosa che mi insegna molto su me stessa. A volte mi fa impazzire e lo odio, ma mi ha anche portato le gioie più grandi perciò la parola “tennis” ha moltissimi significati per me. Se devo sceglierne uno, dico che mi insegna qualcosa ogni giorno e penso che sia bellissimo, qualcosa che stimola e non annoia mai.

È vero che stai scrivendo un libro? Che libro è e quando uscirà?
Confermo, uscirà alla fine di marzo 2022. Riguarda ciò che ho imparato nella mia carriera come tennista di successo. Vorrei che fosse utile anche per le persone che non hanno niente a che fare con il tennis, per migliorarsi, per una performance di successo sul lavoro ma anche nella vita privata. L’ho scritto assieme a un professore universitario tedesco. Sono entusiasta all’idea di poter ispirare altre persone.