The Club: Bola Padel Roma
AMARCORD

L'Ultimo Imperatore

Nel 2002, Adriano Panatta ripercorse con un (allora) giovane giornalista il suo magico 1976. Tanti aneddoti perduti e qualche confronto con lo sport di oggi: «Lo scemo più scemo è quello che vince due tornei di tennis e si crede più importante di Gino Strada. C'è chi si crede davvero importante perché tira la palla sulla riga e pensa che altri siano niente perché la mancano di cinque centimetri»

Lorenzo Cazzaniga
9 luglio 2020

Nel 2002, il nostro attuale direttore era un giovane giornalista che incontrò l’allora direttore degli Internazionali d’Italia, Adriano Panatta. Ne uscì una lunga intervista in cui si ripercorse solo il suo magico 1976 ma si spaziò su tanti argomenti, ancora attuali. Et voilà.

Adriano Panatta è come Roma, la sua città. Elegante. Affascinante. Cnon ontradditorio. Un po' fijo de... quando serve. Come quella volta con Sorcio Solomon, preso per i fondelli negli spogliatoi un attimo prima di scendere in campo nella finale di Parigi. Un trionfo che faceva seguito al successo del Foro Italico, impresa riuscita a pochissimi e che ai tempi (con il Roland Garros piazzato la settimana dopo Roma) suonava un po' come vincere il Tour dopo il Giro. Nell’ormai lontano 2002 corsi nel suo vecchio ufficio di viale Flaminia per rivivere quei momenti magici e ascoltarlo sulle alcune problematiche del tennis, ancora oggi attuali. Ladies and gentleman, ecco a voi l'Adriano Panatta Show.

Gennaio. Una pubblicità strilla: Wip Panatta, la racchetta dei campioni. Quanto era più difficile giocare un tempo col legno e quanto la tecnologia ha migliorato il livello di gioco?
Il passaggio dal legno alle fibre ha aiutato in certi colpi. Il servizio soprattutto. Certo, era un colpo offensivo anche ai miei tempi (non stiamo parlando della preistoria e io con la racchetta di legno battevo a 190 km/h), però adesso è un'altra cosa. E anche i colpi in recupero: ora basta poco per buttarla di là, mentre certe rotazioni col legno erano impossibili.

Qualcuno pensa che la tecnologia abbia rovinato il tennis.
I nuovi attrezzi hanno consentito a giocatori mediocri di diventare competitivi. Tanti hanno cercato di imitare Borg ma con una racchetta in fibra. Io ho ancora una sua Donnay ed era una vera mazza di ferro. Il problema è che grazie a queste nuove possibilità, molti allenatori hanno insegnato solo a picchiare da dietro. Li chiamano attaccanti da fondo, ma per me l'attaccante è quello che va a rete. Però sono anche finiti i tempi di Bruguera che pensava solo a difendersi: la vera rivoluzione l'ha portata Agassi che giocava quasi di controbalzo e sempre in avanzamento.

Panatta con capitan Pietrangeli, Paolo Bertolucci (che tiene la Coppa Davis appena vinta) e Corrado Barazzutti

«Ho vinto le tre cose che volevo vincere. Non sono stato un giocatore costante come Borg o Connors, ma che fossi fragile mentalmente, suvvia... Penso che tutti gli atleti debbano essere anche uomini, altrimenti diventano degli scemi. Ecco, io non ero uno scemo» Adriano Panatta

Febbraio: «Panatta è un atleta che non riesce a scoprire se stesso rendendo al massimo delle sue possibilità; un uomo che mette a nudo, proprio nei momenti più difficili, un sistema nervoso fragile. Panatta è un uomo? Nessun dubbio, Panatta è un uomo con i suoi difetti e le incertezze di tutti gli uomini che incontriamo ogni giorno per la strada». È vero quindi che in carriera ha sprecato molte occasioni e non ha vinto quanto poteva?
È una leggenda metropolitana. Io ho vinto le tre cose che, grazie a Dio, volevo vincere. Sicuramente non sono stato un giocatore costante come Borg o Connors. Ma che fossi fragile mentalmente, suvvia... Penso semplicemente che tutti gli atleti devono essere anche degli uomini, altrimenti diventano degli scemi. Ecco, io non ero uno scemo.

I giocatori di adesso invece sembrano dei robot...
Perché tutto è esasperato e il livello medio è molto alto. Più alto di un tempo. Anche se una volta c'erano 7-8 giocatori che per qualità tennistiche erano superiori ai campioni di oggi.

Marzo. I tornei giovanili a Miami sono corredati con foto di bellissime ragazze in costume: le donne possono influenzare la carriera di un tennista?
La influenzano se glielo permetti. Quando giocavo, non ho mai avuto problemi con mia moglie Rosaria. Non ha mai cercato di forzare nessuna mia scelta. Anzi, lei esagerava: credo non mi abbia applaudito nemmeno una volta. Nemmeno per una veronica!

Spesso invece sono dei genitori a essere degli esaltati.
Una volta dissi che per diventare campioni bisognava nascere orfani. Io per fortuna ho avuto dei genitori molto discreti. Al Foro si sedevano sempre allo stesso posto: tribuna giocatori, in alto a destra. Soffrivano, ma in silenzio.

«Lo scemo più scemo è quello che vince due tornei di tennis e si crede più importante di Gino Strada. Mi infastidisce il divismo di certi giocatori: c'è chi si crede davvero importante perché tira la palla sulla riga e pensa che altri siano niente perché la mancano di cinque centimetri» Adriano Panatta

Pietrangeli disse: «Solo con la mentalità del vero professionista Panatta potrà stare tranquillo e rendere di più». Una volta ha anche dichiarato: «Ricordatevi che il peggior Pietrangeli perse solo al quinto set contro Panatta». Dunque, chi è stato il più forte?
Voglio bene a Nicola e se lui pensa di essere stato il più forte... gli credo. Cosa dovrei rispondere, che lui vinse quando i migliori erano passati nel circuito professionistico? Che era un po' come se io avessi giocato senza i primi 10 del mondo? Va bene quello che pensa Nick.

Aprile: Nastase gioca con un papillon al collo...
Eravamo amici. È una delle persone più buone che abbia mai incontrato. Tutti lo ricordano perché era matto, ma aveva un grande talento. La gag che ricordo di più? Sapeva che ero molto superstizioso e allora prima di un incontro di doppio mi ha buttato in campo un gatto nero. 

Maggio: «A Dallas si conclude il torneo del WCT». Un circuito complementare all'ATP che ebbe grande successo. Ora, dopo il fallimento ISL, i tornei piangono, a partire dai Masters Series come Roma di cui lei è direttore. Come vede la situazione?
Secondo i dati che ho ricevuto, otto dei nove Masters Series chiuderanno in deficit. Solo Miami resiste. Un torneo come Roma costa 4 milioni di euro di soli montepremi, maschile e femminile compresi. Si parla di ridurre il prize money, ma ovviamente i giocatori (e quindi l'ATP) tengono duro. Però il giocattolo rischia di rompersi perché è un po' come se la Confindustria fosse in perdita e i sindacati guadagnassero grosse cifre. Ma se a un certo punto la Confindustria continua a perdere, i lavoratori come possono pensare di continuare a guadagnare?

Ancora. Panatta vince a Roma i Campionati Internazionali d'Italia. Una vittoria che sembrava impossibile davanti agli 11 matchpoint di Warwick...
Ero sereno e tranquillo. Sono un fatalista. È stato un caso della vita, scritto da qualcuno molto tempo prima.

In finale con Vilas è stata la vittoria del talento sul lavoro?
Pensavo di poterlo battere perché giocavo meglio di lui. Ma in effetti io pensavo di poterli battere tutti quando stavo bene. O quantomeno pensavo di avere della chance, perché non sono un presuntuoso.

«Roma per un romano è il massimo. Però quando arrivai negli spogliatoi di Wimbledon dopo aver vinto Roland Garros, Ashe mi disse: Welcome to the club. Lì capii cosa voleva dire vincere un torneo del Grand Slam» Adriano Panatta

Anche se la presunzione nel tennis è spesso vista come una qualità.
Non confondiamo la presunzione con la consapevolezza nei propri mezzi. La presunzione non aiuta: è l'umiltà la grande qualità di un campione e di un uomo. I presuntuosi fanno sempre parte della lista degli scemi. Che è lunghissima.

Ma chi è lo scemo più scemo che ha incontrato?
Quello che vince due tornei di tennis e si crede più importante di Gino Strada. Mi infastidisce il divismo di certi giocatori che non parlano il giorno prima del match perché rischiano di deconcentrarsi. Forse che servono 24 ore per concentrarsi? Molti giocatori di adesso non li vedo sereni: dopotutto c'è chi si crede davvero importante perché tira la palla sulla riga e pensa che altri siano niente perché la mancano di cinque centimetri.

La vittoria romana è stata il trampolino di lancio di una grande stagione: ma è mai stato fischiato al Foro?
Eccome. Ricordo l'edizione 1978. Non ero testa di serie e al primo turno incontravo Vitas Gerulaitis. In un attimo vado sotto 5-0. Dai distinti c'è un signore di mezza età, canotta azzurra bucata e pagnottella in mano che mi urla: Adrià, sei er peggio der peggio. Però lo diceva con amore. Ho rimontato e vinto 7-5 7-5: è stato il primo a correre ad abbracciarmi.

Dopo Roma, Parigi: qual è la vittoria che ricorda con maggior piacere?
Roma per un romano è il massimo. Però ricordo che quando arrivai negli spogliatoi di Wimbledon dopo aver vinto il Roland Garros, Ashe mi disse: 'Welcome to the club'. Lì capii cosa voleva dire vincere un torneo del Grand Slam.

«La veronica la giocavo sempre nello stesso posto, incrociato stretto: tutti lo sapevano, nessuno ci arrivava. Comunque adesso la sanno giocare in tanti». Non proprio così. «Non proprio così» Adriano Panatta

Come Roma, anche questo è stato un successo molto travagliato sin dal principio: primo turno, un match point salvato contro Hutka.
Una volèe in tuffo miracolosa. Mi veniva da ridere. Quando mi rialzai dissi: “Adesso vinco il torneo”. Che mi poteva capitare di peggio? Ma non era solo fortuna: i punti decisivi li giocavo con coraggio, attaccando, prendendo rischi. Ero io che decidevo da che parte girava il match. Se perdevo era colpa mia, se vincevo merito mio. 

Lei aveva un gioco molto spettacolare ed è stato anche l'inventore di un colpo rimasto nella storia col nome di veronica.
Non so nemmeno chi lo chiamò così. Forse Guido Oddo o Gianni Clerici. Mi veniva facile (e si alza a mimarlo, spezzando il polso con un gesto elegante, ma netto. Ndr). La giocavo sempre nello stesso posto, incrociato stretto: tutti lo sapevano, nessuno ci arrivava. Comunque adesso la sanno giocare in tanti.

Non proprio così.
Non proprio così.

Nei quarti batté Bjorn Borg: lei è stato l'unico a sconfiggerlo sulla terra di Parigi, nel 1973 e nel 1976: come faceva?
Giocando a tennis. Se la mettevi sulla corsa e la regolarità perdevano tutti mille volte su mille. Se la mettevi sulla tecnica avevi le tue chance. Solo che non tutti potevano metterla sulla tecnica.

E in finale con Solomon non si poteva perdere...
Negli spogliatoi prima del match lo chiamai davanti a uno specchio e gli dissi: 'Guardaci: come puoi pensare di vincere!'. Mi odia ancora adesso.

Non glielo aveva detto nell'intervallo alla fine del terzo set?
Assolutamente, non sarebbe stato elegante.

Estate: Borg vince il suo primo titolo a Wimbledon. L'All England Club è stato il teatro della sua sconfitta più amara: 1979, quarti di finale contro il non irresistibile Pat Dupre...
Quella volta mi son proprio dato dell'imbecille. Già mi pregustavo la finale con Borg. Glielo dicevo sempre: 'Bjorn, voglio incontrarti sull'erba, che ti faccio un c... così'. Ero avanti un set e un break, poi mi sono incasinato. Strano perché non ho mai preso sottogamba un avversario.

Beh, in semifinale contro Tanner non sarebbe stata una passeggiata...
Una passeggiata no, ma solo se lui serviva bene, altrimenti non era un fenomeno. Tanner era uno che se provava a fare una smorzata si cappottava.

Lei stesso dice di aver sempre preferito le vacanze in Sardegna alla trasferta negli States prima dello US Open: non è esattamente il massimo della professionalità. «La posso dire una parolaccia?». Prego. «Ma saranno stati c.... miei»

Però a lei l'erba non è mai piaciuta tanto...
Non mi piace il gioco sull'erba. Non c'è trama, non c'è riflessione. Torniamo a quel '79 che poi è l'unico buon risultato che ho fatto a Wimbledon. Sono andato là una settimana prima per abituarmi: gioco il primo match d'allenamento con Tom Okker e perdo 6-1 6-0 6-1. Non dico niente a nessuno, faccio i bagagli e me ne vado a Forte dei Marmi. Mia moglie mi vede piombare in spiaggia, ai tempi non esistevano i cellulari, e per quattro giorni sono rimasto a prendere il sole. Sono tornato il sabato e ho fatto quarti di finale. Vai a capirlo...

Ancora l'estate del 1976: Paolo Bertolucci vince a Riccione...
Perché c'era un torneo a Riccione?

Certo. Barazzutti squalificato al primo turno.
C'ero pure io?

Pare di no.
Beh, ad agosto stavo sicuro al mare, in Sardegna.

Infatti Tiriac dice: «Ho allenato Panatta un mese. Poi quando c'era da andare in America a preparare lo US Open mi rispose che lui doveva andare in Sardegna. Il giorno dopo ho smesso di allenare Panatta».
La storia è diversa. Tiriac venne da me e mi disse: 'Oggi ci alleniamo così'. Gli chiesi il motivo e mi rispose: 'Perché l'ho deciso io'. E io presi un aereo per la Sardegna. Lui voleva comandare sempre, ma con me cascava male. Comunque era un grande coach.

I coach di adesso sono paragonabili a Tiriac?
Qualcuno. Però adesso nella maggior parte dei casi funziona al contrario: è il giocatore che allena il coach, che migliora perché fa esperienza. Ma spesso è il giocatore che capisce di tennis più dell'allenatore. Vedo giocatori che in 2-3 anni non hanno corretto i loro limiti e allora penso che il loro coach non abbia fatto un grande lavoro.

Adriano Panatta con l'ex moglie Rosaria e Vitas Gerulaitis

«Contro DuPre a Wimbledon mi son proprio dato dell'imbecille. Già mi pregustavo la finale con Borg. Glielo dicevo sempre: 'Bjorn, voglio incontrarti sull'erba, che ti faccio un c... così» Adriano Panatta

Ma che qualità servono per fare il coach?
Le stesse che occorrono per fare il capitano di Davis: capire di tennis. E cos'altro? Lendl per imparare le volèe e vincere Wimbledon si affidò a Tony Roche, un grande erbivoro. E difatti migliorò. Poi aveva dei limiti di sensibilità che né Roche né il buon Dio potevano correggergli.

Quindi a suo avviso non ci sono molti coach professionisti di qualità.
La verità è che i coach non sono per nulla protetti. Se un giocatore arriva e gli dice che oggi vuole fare un certo allenamento, il coach obbedisce perché altrimenti il campione capriccioso lo caccia e lui a fine mese come ci arriva? Fare il coach è un lavoro duro, stressante e non sempre remunerativo.

Però arrivati a un certo livello cambiare la propria tecnica è difficile...
Come ha fatto Borg a vincere Wimbledon 5 anni di fila? Imparando a servire. Al principio era una rimessa in gioco, poi quando occorreva sapeva piazzare l'ace. E Wilander? Ha cominciato che correva una maratona a ogni match, poi quando le gambe hanno cominciato ad abbandonarlo, ha imparato ad aggredire scendendo spesso a rete. I campioni sanno migliorarsi. 

Non è facile nemmeno fare il talent scout. Ascolti qui: «A chi gli faceva notare che il gioco dello scandinavo lasciava intravedere una grande carriera, il Dirigente Federale rispondeva pressappoco così: 'Con mio figlio farebbe sì o no appena un paio di games'». Quel ragazzino era Bjorn Borg. Quanto è difficile capire chi ha chance di emergere?
Chi capisce di tennis lo intuisce. Dal modo in cui un ragazzino si muove sul campo, dalla sua personalità e soprattutto da come impatta la palla. Però adesso sono in pochi a farlo. Tutti si preoccupano di informarsi su quanto è alta la madre, quanto è robusto il padre. Come bastasse essere grandi e grossi per vincere a tennis.

Ottobre: Forest Hills: Connors vince la prova individuale. Allo US Open non ha mai combinato granché: l'unica grande performance risale al 1978...
Persi con Jimmy Connors un grande match. Su un punto decisivo gli riuscì un passante che ti viene una volta ogni morte di Papa. Chissà dove è passato! Lui già giocava con una racchetta di metallo, col legno non gli sarebbe riuscito. Forse il destino si riprese quello che mi aveva dato con Hutka a Parigi due anni prima. Connors comunque era il giocatore più difficile da battere perché se lo ammazzavi una volta non bastava: dovevi ammazzarlo un'altra.

Si dice sia stato quello il match in cui ha giocato meglio...
Falso. Il meglio l'ho dato contro Dibbs in semifinale a Parigi 1976: toccavo palla e facevo punto, che si vuole di più?

L'ultimo atto di quell'anno memorabile fu la vittoria in Coppa Davis in Cile.
Eravamo troppo forti per il Cile. Volevo vincerla soprattutto per Mario Belardinelli, un secondo padre che dedicò gran parte della sua vita a quel gruppo. Soffrì di un collasso e fu straordinario regalargli quella gioia. Ecco, il rimpianto è quello di non aver mai giocato una finale di Davis in Italia. Ne ho perse tre, ma sono certo che, avessimo giocato al Foro Italico, avremmo battuto l'allora Cecoslovacchia di Lendl e Smid e l'Australia di Alexander, Roche e Dent. Forse avremmo perso solo con gli Stati Uniti di McEnroe e Gerulaitis. Ma forse no.

In Coppa Davis ha sempre avuto risultati alterni: grandi exploit contro i campioni più blasonati e black out con giocatori modesti. La Davis è davvero una bestia così difficile da domare?
Quando giochi per la tua nazione, motivazioni e responsabilità aumentano enormemente. Questo ti dà una carica maggiore quando affronti un avversario più forte e una certa tensione quando devi assolutamente portare a casa il match. E qualche volta capitava di fare un brutto scivolone...

Come nel 1978 conro l'ungherese Szoke: si diceva facesse il cameriere.
Macché, stava nei primi 100 del mondo. Non era uno sprovveduto.

Lei ha spesso diviso l'opinione pubblica: ma qual è la critica che le ha dato più fastidio?
Quando dicevano che non mi allenavo. Bastava venire al Foro il pomeriggio...

Però lei stesso dice di aver sempre preferito le vacanze estive in Sardegna piuttosto che la trasferta negli States prima dello US Open: e questo non è esattamente il massimo della professionalità.
La posso dire una parolaccia?

Prego.
Ma saranno stati c.... miei. A me dello US Open non è mai fregato molto e non riuscivo a pensare al tennis dodici mesi l'anno. Avevo voglia di fare anche altre cose e di passare le vacanze in Sardegna. La vita dopotutto è mia, mica degli altri. Era lo stesso quando mi accusavano di non seguire il mio lavoro perché correvo in off-shore: se invece un altro passava i suoi weekend a giocare a golf non succedeva nulla. Chiamarsi Adriano Panatta non è sempre comodo.

Perché, cosa vuol dire essere Adriano Panatta?
Vedere ogni dichiarazione, ogni comportamento sovradimensionato perché fa notizia. Gli svantaggi è che vivisezionano la tua vita per cercare di attaccarti in qualche modo: diventi il capro espiatorio di qualsiasi situazione. Ogni volta che qualcosa va male, la colpa è di Panatta. Anche in faccende in cui sono estraneo. E mai che le colpe siano bilanciate con i meriti: se negli anni 80 il tennis ha vissuto un boom e da sport d'elite è diventato popolare, le mie vittorie avranno pur contato qualcosa. O no?

Sipario.