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IL RITIRO DI SEPPI

L'anima conta più dei risultati

A 38 anni e mezzo, Andreas Seppi dice addio: Napoli o Ortisei per chiudere una carriera fantastica, in cui la rettitudine morale è andata di pari passo con i risultati. La gente lo ha capito, tributandogli un abbraccio virtuale che forse nemmeno lui si aspettava.

Riccardo Bisti
14 ottobre 2022

C'è sempre quel dubbio lì, tipico del nostro Paese: quando qualcuno scompare, diventa automaticamente un santo. È più o meno lo stesso per gli sportivi che annunciano il ritiro. All'improvviso, il passato diventa tutto bello, stupendo, mitico. Un po' è normale, perché la memoria sa essere tragicamente selettiva. Un po' è un vezzo all'italiana. Ma il ritiro di Andreas Seppi sfugge a questa regola. Scrollando la timeline dei social media, Piazza Grande dei tempi moderni, sarà rimasto sorpreso anche lui. Dopo che la sua scelta di dire addio ha varcato i confini linguistici dell'Alto Adige (il servizio di Rai Sudtirol è andato in onda mercoledì in tedesco), è stato travolto da un'ondata di affetto mai avuta in ventitre anni di carriera. Forse soltanto una volta, il 23 gennaio 2015, quando ha battuto Roger Federer dentro il catino della Rod Laver Arena. Un successo talmente mitico che gli spalancò per qualche giorno le porte del mainstream. Proprio lui, con quel carattere più tranquillo che schivo, poco abituato al rumore delle prime pagine. Un successo talmente mitico da far dimenticare l'atroce delusione di quarantotto ore dopo, quando sfumò un posto nei quarti in un match-maratona contro Nick Kyrgios, allora teenager. Ebbe un matchpoint, ma si arrese. Ed è un rimpianto, perché in 67 partecipazioni Slam (di cui 66 di fila, terzo di sempre, meglio di Federer) non ha mai raggiunto un posto tra i primi otto. Si è fermato per sei volte negli ottavi.

Lo avrebbe meritato, 'sto benedetto quarto. Tanti giocatori meno forti l'hanno ottenuto per sbaglio. Ma nella carriera di Seppi non c'è stato nulla per sbaglio. Sin da piccolo, quando si è reso conto che il tennis poteva diventare una professione, ha capito che il talento andava curato. Che ci sarebbe stata diretta proporzionalità tra sforzi e risultati. Forte della rigida educazione imposta da papà Hugo, ammorbidita dalla complicità di mamma Maria Luise, ha avuto una sola grande fortuna: conoscere le persone giuste al momento giusto. Prima Alex Vorhauser, presidente del Tennis Club Caldaro, poi Massimo Sartori, giovane coach vicentino che il 3 luglio 1995 lo ha preso per mano senza più mollarlo. È stato al suo fianco fino alla fine, sia pure in modalità confacenti a un uomo di 38 anni e con due figli, le cui esigenze sono ben diverse rispetto a quelle di un ragazzino agli esordi. Ci sarà ancora Sartori nel futuro di Seppi: con un sobrio annuncio su Instagram, qualche settimana fa ha annunciato l'inizio della collaborazione con Horizon Tennis Home, la base di allenamento di Sartori, a Vicenza. Le modalità sono ancora sconosciute: “Non ho le idee chiare su cosa farò” ha detto nella parte in italiano dell'intervista-commiato con Rai Sudtirol: 49 secondi contro i 2 minuti e 21 secondi di quella in tedesco, come a ribadire come funziona da quelle parti.

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«Ho deciso di ritirarmi durante lo Us Open: alla terza partita è tornato il dolore alla spalla e non ho potuto giocare come avrei voluto»
Andreas Seppi 

Il punto più famoso nella carriera di Andreas Seppi. Non serve commentarlo, basta guardarlo

“Ho diverse opzioni, vediamo nei prossimi mesi cosa ne uscirà”. Di certo a novembre tornerà a Boulder, Colorado, laddove si è spostato qualche anno fa con la moglie Michela Bernardi, e laddove ha intenzione di crescere i due figli: Liv, due anni e mezzo, e Hugo (stesso nome del nonno), che ha appena compiuto sei mesi. Ma torniamo alle ultime 24 ore. Decine, centinaia di messaggi di affetto. Sobri, sinceri. Leggendoli, è parso che non fosse la solita voglia di mettersi in mostra degli internauti. Tutti gli appassionati hanno voluto bene a Seppi, e ognuno di loro conserva almeno un aneddoto che lo riguarda. E sono aneddoti positivi, perché Andreas si è fatto apprezzare. Avrebbe preferito vincere qualcosa di più e magari non essere ricordato come una buona persona, ma tant'è. Non crediamo possa lamentarsi di 810 settimane tra i top-100 ATP (di cui 432 tra i top-50 e una quindicina tra i primi 20) e tre titoli ATP. L'ultimo è arrivato esattamente dieci anni fa a Mosca, sotto gli occhi dell'idolo d'infanzia Yevgeny Kafelnikov, a cui ha provato – con buoni risultati – a scimmiottare il rovescio.

E poi tante vittorie di tappa: “L'unico che non è riuscito a battere è stato Djokovic” ricorda Max Sartori, computer umano che ricorda ogni dettaglio della carriera di Andreas. Sa di avere meriti importanti, perché tra gli undici e i diciotto anni l'influenza del coach è enorme. Poi diminuisce, ma Andreas non ha mai pensato di cambiare. Troppa intesa, troppo affetto, troppa riconoscenza. Qualità che ha esteso altrove. Ha sempre avuto lo stesso sponsor tecnico, sia come abbigliamento che come racchette. Perché è facile bussare alla porta quando batti Federer in Australia, meno quando sei un ragazzo che ha bisogno d'aiuto e – per muovere i primi passi – hai usufruito dell'aiuto clandestino della mamma sarta, che lavorava di notte per guadagnare qualche soldino extra e versarlo nelle tasche del figlio, lasciando credere al marito che fossero contributi esterni. Ma le mamme hanno una marcia in più: capiscono meglio (e prima) di tutti cosa può fare un figlio. E Maria Luise aveva capito che il tennis poteva essere una cosa seria, per il suo Andreas. Oggi è nonna è può essere orgogliosa di sé, della sua intuizione, e di suo figlio.

Coach Massimo Sartori è stata la persona più importante nella carriera di Andreas Seppi. La loro collaborazione andrà avanti

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Da qualche tempo, l'account Instagram di Andreas Seppi ospita sempre più immagini legate alla famiglia e meno riguardanti il tennis. Qui è con i figli Liv e Hugo

Nonostante una carriera splendida, non ci sono stati troppi momenti in cui Seppi ha avuto l'ambiente ai suoi piedi. Li hanno avuti tutti i giocatori italiani che hanno raggiunto (più o meno) i suoi livelli negli ultimi quarant'anni, sia pure con meno costanza: Paolo Cané, Omar Camporese, Andrea Gaudenzi, Marco Cecchinato. Soltanto Renzo Furlan è rimasto sottotraccia come lui, forse perché Cimetta di Codognè è a meno di 200 km da Caldaro, forse perché i figli del Nord-Est guardano il mare in un modo tutto loro. Lo avevano capito persino gli Zen Circus, che pure arrivano da Pisa. Però c'è stato un momento in cui tanti appassionati si sono innamorati di lui, forse nel posto più inatteso: Roma. Gli altoatesini e i romani non hanno nulla in comune, ma nel 2012 Andreas era in forma smagliante. Le mani fatate di Dalibor Sirola avevano messo il turbo ai suoi muscoli, e colse i quarti al Foro Italico vincendo due partite memorabili contro John Isner e Stan Wawrinka (quest'ultima con sei matchpoint annullati), entrambe finite sotto la luce dei riflettori del Campo Pietrangeli, stipato all'inverosimile. Gente appollaiata ovunque, pronta a farsi schiacciare pur di vedere uno spicchio di campo: 2-6 7-6 7-5 contro l'americano, 6-7 7-6 7-6 contro lo svizzero. Emozioni uniche, infinite, al punto che il suo arrivo in sala conferenze (all'epoca situata nell'ex Ostello della Gioventù) fu accolto con un fragoroso applauso. Fu il momento di maggiore popolarità di Andreas, forse ancora di più rispetto al successo contro Federer, giunto a dieci fusi orari di distanza, all'alba di un gelido venerdì di gennaio. Ma il valore di Seppi non è dettato solo dai risultati.

La coerenza e la fedeltà a se stesso valgono quanto un titolo ATP, come quando decise di non giocare in Coppa Davis perché non gli piaceva il clima avvelenato intorno alla squadra. Perché sottoporsi a un supplizio? Provarono a forzarlo, ci fu il timore di reazioni trasversali, ma per fortuna non ci furono troppe conseguenze. Sul punto – va detto – fu determinante la correttezza di Corrado Barazzutti, che dopo un'imbarazzante convocazione per Italia-Bielorussia a Castellaneta Marina lo rispedì a casa, definendolo non idoneo. Scottato dal caso Bolelli, l'ex capitano capì ed evitò ogni imbarazzo evitando di convocarlo fino a quando non sarebbe tornato disponibile. Che poi la Davis gli ha dato belle soddisfazioni, come il successo contro Juan Carlos Ferrero a Torre del Greco, per anni definito il migliore in carriera, o il punto decisivo contro la Gran Bretagna nel 2014, che diede all'Italia un posto in semifinale. Ma aneddotica e statistica lasciano il tempo che trovano. Per conoscere nel dettaglio la carriera di Andreas (1198 partite secondo Tennis Abstract, ma sono di più perché ha giocato le qualificazioni di alcuni circuiti satellite tra il 1999 e il 2000) ci sono mille approdi: siti internet, social, commenti. Qui ci limitiamo a ringraziarlo, e gli mandiamo un messaggio che ci siamo tenuti dentro per anni. “Mi piacerebbe essere ricordato per le grandi vittorie e non per essere stato una buona persona” disse tanti anni fa. No, Andreas, è l'unica affermazione che non condividiamo. La carriera di un tennista passa, la vita di un uomo va avanti. E tu hai insegnato tanto, a prescindere da quel pomeriggio di magia a Melbourne.