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A LEZIONE DA RAFA

La forza mentale di Rafael Nadal

Uno splendido monologo di Rafael Nadal svela alcuni dei segreti che gli hanno permesso di diventare una leggenda. Dall'educazione all'autocontrollo, passando per le aspettative interiori e la necessità di sforzarsi sempre: una serie di riflessioni che non servono solo nel tennis, ma in ogni campo della vita.

Staff Tennis Magazine
26 maggio 2022

Battendo Corentin Moutet nella sessione serale di mercoledì, Rafael Nadal è giunto al terzo turno del Roland Garros. Il sogno di fare 14 nel suo torneo d'oro è ancora vivo. Un eventuale successo lo porterebbe a 22 Slam, mettendo un solco importante tra sé e Novak Djokovic. Per arrivare fin lassù, Rafa si è costruito sin da bambino. In questo monologo, realizzato per il suo sponsor Telefonica, ha svelato alcuni segreti che gli hanno permesso di sviluppare una forza mentale d'acciaio. “Quando dai tutto, il risultato finale passa in secondo piano”


La forza mentale è decisiva, ma in nessun caso possiamo dimenticare la preparazione. In tutti i sensi, al di là della forza mentale. La preparazione, nel senso più ampio del termine, per me inizia da piccolo. Forse ancora prima che un atleta inizi a svilupare la sua attività sportiva. Credo che i valori di base che vengono trasmessi in famiglia abbiano un impatto molto importante. La preparazione mentale va curata giorno dopo giorno: alla fine, ogni giorno ci si allena con un obiettivo: migliorare e controllare in ogni momento la frustrazione. Anche se ci sono momenti complicati – e ci sono, senza dubbio, perché anche se ti dici di restare sempre positivo, non è possibile esserlo. Siamo tutti esseri umani ed è impossibile restare sempre positivi. Non pensate che io non abbia momenti in cui non voglia spaccare la racchetta in 10 pezzi. Accade: ci sono momenti in cui le cose non vanno bene e sono frustato - alla fine conta la capacità di autocontrollo e di tollerare la frustrazione. Le persone che ho avuto al mio fianco lungo tutta la mia vita – i miei genitori e mio zio – all'inizio della mia carriera non mi hanno permesso in nessun momento di avere un atteggiamento negativo in campo, come gridare o spaccare racchette. Se lo avessi fatto, non avrei giocato il torneo successivo. Sono così da tanti anni e non permetto a me stesso di avere un certo tipo di comportamento. Credo di essere stato educato ad avere un certo tipo di autocontrollo, soprattutto dentro il campo, dove credo che sia già un'altra cosa. Credo di averlo in generale, ma soprattutto in campo sono preparato a controllare le mie emozioni. Chiaramente ho i nervi, chiaramente ci sono momenti in cui li controllo meglio o peggio, però in qualche modo riesco a restare freddo e analizzare le cose da una giusta prospettiva. A volte va bene, a volte va male, però è quasi sempre una questione tecnica: dal punto di vista delle decisioni, difficilmente commetto degli errori.

CONTROLLARE LA MENTE
Personalmente non ho il problema di aver più paura dei pensieri positivi rispetto a quelli negativi. Il motivo è semplice: quando sono in competizione, mi trovo sempre in stato di allerta. Quasi mai ho perso una partita per eccesso di fiducia. In ogni momento ho rispettato l'avversario e lo sport. In questo senso, so che dentro un campo da tennis può succedere qualsiasi cosa: in infortunio, una giornata di grazia dell'avversario, commettere tanti errori... nel tennis le cose cambiano drasticamente in pochi minuti. Passi da avere un matchpoint a favore, con la partita praticamente vinta, ad averla praticamente persa cinque minuti dopo. Tollerare questo processo ti permette di generare possibilità per ottenere l'obiettivo finale. È un mio processo interno, ma affinché ci sia la minima possibilità che questo accada devo fare un lavoro mentale e tennistico, punto dopo punto, per provare a fare sì che diventi realtà. Credo che questo sia il mio successo: non lasciarmi andare, cercare in ogni momento la soluzione, e in qualche modo godere di questo processo. Le cose sono difficili, ma vediamo fino a dove può arrivare il mio avversario, o almeno facciamo in modo che debba dare il meglio per vincere. Non dobbiamo rendergli le cose facili. Anche se se perdo la partita, vi assicuro una cosa, che poi è il mio modo di intendere lo sport: se ho questo pensiero, torno a casa soddisfatto. E per me la soddisfazione personale è qualcosa di determinante.

«Il perenne stato di allerta e il qui e ora è una cosa a cui sono stato preparato sin da piccolo, da quando c'è mio zio al mio fianco. Lui mi ha fatto allenare in costante stato di allerta, con la massima intensità e spesso sotto pressione»
Rafael Nadal
ASICS ROMA

Rafael Nadal svela i segreti della sua forza mentale

L'UNICO TEMPO CHE CONTA È IL PRESENTE
Nel tennis, il qui e ora è tutto. Capita spesso che uno vinca 6-2 6-2 e dica: “Ok, è stato facile”. Magari il risultato dice questo, ma se non avessi fatto il break in quel momento chiave sull'1-1? Molta gente non considera che la palla break sull'1-1 è un momento chiave. Ma se non fai il break, non sai come reagisce l'avversario. Le partite cambiano in modo drastico a seconda dei momenti nei quali un giocatore è capace di approfittare delle opportunità o meno. Ci sono giocatori che – a parte la superiorità tecnica – hanno la capacità di restare regolari per tutta la carriera, mentre altri sono meno costanti. È importante vivere il qui e ora sempre, non solo quando le cose vanno bene. I migliori giocatori vivono il qui e ora quando le cose vanno bene, quando sono normali, quando vanno male, quando vanno molto male. Per me, il perenne stato di allerta e il qui e ora è una cosa a cui sono stato preparato sin da piccolo, da quando c'è mio zio al mio fianco. Lui mi ha fatto allenare in costante stato di allerta, con la massia intensità e spesso sotto pressione. Grazie a quello, forse, vivo in questo perenne stato di allerta. Direi che è positivo nel 90% dei casi, mentre nel restante 10% non è così buono, perché alla fine non tutto è perfetto nella vita. Credo che lo stato di allerta ti faccia vincere moltissime partite, però allo stesso tempo hai talmente tanto rispetto per gli avversari e tutto il resto da crearti un mucchio di dubbi. Per questo è importante avere una visione chiara. Magari non è perfetta, ma credo che sia la cosa migliore da fare.

L'ASPETTATIVA INTERIORE COME BASE DI LAVORO
Non voglio mentire: non gioco solo per me. Mi piace molto quello che faccio, ma quando vedo tanta gente che fa il tifo per me e mi segue in giro per il mondo, è chiaro che in qualche modo gioco anche per loro. Alla fine avverti un senso di responsabilità, ma non c'è dubbio che le grandi aspettative interiori siano superiori a quelle che arrivano dall'esterno. Visto che le mie aspettative sono molto alte, quelle esterne non mi hanno mai generato pressioni o inquietudini extra. A parte questo, c'è un'altra cosa: quando uno fa tutto quel che può, non ha ulteriori obblighi. Quello che chiedo a me stesso è sempre di avere un buon comportamento, impegnarmi e lottare fino alla fine. Le cose vanno bene? Fantastico. Le cose vanno male? Puoi rimanerci male, però sai di aver fatto tutto quello che potevi. Se l'avversario è stato più bravo gli devi fare i complimenti e si riparte. Lavori per fare meglio la volta successiva.

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L'IMPORTANZA DI FARSI AIUTARE
Le persone al tuo fianco ti aiutano sia nei momenti positivi che in quelli negativi. Ti aiutano a prendere delle decisioni e a vivere le cose in un modo o in un altro. Per me è molto importante avere accanto persone di cui mi fido. Gente di cui sono convinto che vogliano il mio bene. Un'altra cosa importante, per me, è lasciarsi aiutare. A volte nel nostro sport è difficile, perché quello che deve farsi aiutare è colui che paga. Negli sport di squadra c'è un allenatore, ma è il club ad assumerlo. E il giocatore è stipendiato dallo stesso club. Nel tennis sono io a pagare l'allenatore, il preparatore atletico, il fisioterapista... Alla fine sono io a essere il capo. Se non fai sentire a queste persone che possono dire le cose in totale libertà, qualunque esse siano (buone, cattive, regolari, orribili), senza per questo mettere a rischio il loro posto di lavoro, significa che non ti stai facendo aiutare. Se non hai l'umiltà di voler ascoltare le cose che non ti piacciono... è difficile intraprendere un buon percorso. Per questo credo che tutte le persone che lavorano con me, senza alcuna eccezione, non abbiano mai sentito questo pericolo. Infatti ho praticamente lo stesso team di quando ho iniziato. Credo che tutti si sentano liberi di dirmi le cose che devono dirmi, in qualsiasi momento.

UNA PAROLA CHIAVE: SFORZO
Per me vale sempre la pena sforzarsi. Questo è il messaggio che lascerei, ancora più del risultato, anche se il risultato è negativo. Lungo il cammino impari sempre qualcosa e, soprattutto, alla fine hai la cosa più importante: la soddisfazione personale di aver fatto tutto quello che avevi in mano per ottenere in risultato. Quando raggiungi questo obiettivo, il risultato finale smette di essere così importante.