The Club: Bola Padel Roma
MIAMI OPEN

Grigor Dimitrov, la Grande Bellezza

Battendo Alcaraz con una prestazione-monstre, Grigor Dimitrov si porta a una sola vittoria dal ritorno tra i top-10. “Il segreto è fare le cose semplici”. A quasi 33 anni ha trovato la piena maturità. “Mi ha fatto sentire un tredicenne” ammette lo spagnolo.

Riccardo Bisti
29 marzo 2024

Da ragazzino lo chiamavano Baby Fed per la somiglianza tecnica con Roger Federer. Sono passati quindici anni da quel torneo di Rotterdam, in cui Grigor Dimitrov (allora minorenne e n.478 ATP) battè Tomas Berdych e portò al terzo Rafael Nadal, accendendo l'ovvio paragone con lo svizzero. Vien da chiedersi se gli abbia fatto bene. Probabilmente non sarebbe cambiato nulla, perché Grisha ha sempre rispettato i suoi tempi. Due anni per entrare tra i top-100 ATP, altrettanti per agganciare i top-50, primo titolo ATP (Stoccolma 2013) a un'età in cui Federer aveva già intascato due Slam. E poi ci perdeva sempre, fino a quando è finalmente riuscito a batterlo, paradossalmente nel momento più basso della sua carriera. Allo Us Open 2019 era numero 78 ATP, classifica più bassa degli ultimi dieci anni, e si impose in cinque set. Terza semifinale Slam in carriera, a oggi l'ultima. Perché Dimitrov è così, fa parte di quella categoria di giocatori che “può battere chiunque”, a patto che sia in the zone. Il problema è che gli riesce a intermittenza.

E fa disperare i suoi fan, che non si capacitano di un palmares con soli nove titoli ATP, sia pure impreziositi dal successo al Masters londinese del 2017. Troppo poco, per uno così. Troppo poco per un giocatore che è stato capace di ridicolizzare Carlos Alcaraz nella notte di Miami. “Mi ha fatto sentire un tredicenne” ha esalato Carlitos in conferenza stampa dopo un 6-2 6-4 in cui non è mai stato in partita, travolto dalla semplicità del bulgaro. “Semplicità” è un concetto molto caro al nuovo Dimitrov, che tra qualche mese compirà 33 anni. “La bellezza del nostro sport è fare tutto nel modo più semplice possibile”. Vero, ma non così banale per un giocatore con mille opzioni tattiche, un All Around Player come non se ne vedono più. Sgombriamo il campo da equivoci: Dimitrov è sempre stato un lavoratore indefesso. Sebbene sia un playboy conclamato (altrimenti non si conquistano Maria Sharapova, Nicole Scherzinger e Madalina Ghenea), non si è mai tirato indietro. Lo ricordiamo, un pomeriggio del settembre 2016, allenarsi come un pazzo sotto il sole cocente di Antibes, il giorno del Grand Opening della Patrick Mouratoglou Academy. Era un giorno di festa, di glamour, di red carpet, invece passò tutto il giorno a lavorare insieme a Jeremy Chardy.

«Non amo fare paragoni, ma mi sento meglio rispetto al 2017. Sono un giocatore migliore rispetto ad allora. Ed è importante: se ti trovi in buona posizione, prima o poi accadranno belle cose» 
Grigor Dimitrov

Non è un caso che non abbia avuto particolari infortuni. Il più grave risale al 2019, un'infiammazione alla spalla che lo ha tenuto fermo per due mesi. “Meno male che non mi sono dovuto operare, altrimenti sarei caduto in depressione” raccontò qualche mese dopo. In quel periodo faceva fisioterapia, palestra, corsa... “ma c'era ancora mezza giornata da trascorrere e impazzivo all'idea di non poter fare altro”. Mentalità corretta, che gli ha permesso di reggere per qualche tempo con il coach-culturista Roger Rasheed, che ne aveva snaturato l'anima offensiva, rendendolo più pallettaro che attaccante. La svolta è arrivata con Daniel Vallverdu, il primo che gli ha inculcato il concetto di semplicità che oggi è il suo mantra. “Negli ultimi anni non era chiaro quale fosse il suo piano di gioco – ha detto il coach venezuelano, che oggi condivide la sua panchina con Jamie Delgado, presente a Miami – Grigor ha due punti di forza ben precisi: servizio e dritto. Deve usarli il più possibile, insieme allo slice di rovescio che gli garantisce una varietà che non si vede spesso nel circuito”.

Giusto: quando hai così tante opzioni, rischi di andare in confusione. Consigli seguiti alla lettera nel match-capolavoro contro Alcaraz, in cui ha adottato un tennis offensivo, quasi estremo, senza alcun ripensamento. “Sono orgoglioso di aver mantenuto il livello per tutta la partita e aver sfruttato le mie occasioni – ha detto – Carlos dice che ho giocato da 10? Quando vinci una partita del genere puoi dirlo, ma lui è un grande giocatore. Ho dodici anni più di lui e adoro mettermi alla prova, non puoi permetterti di lasciarlo colpire. Lo ha dimostrato nel game in cui mi ha brekkato, quattro dritti su cui non ho potuto fare niente. Ma ho continuato a credere nel mio piano di gioco. Ha detto che l'ho fatto sentire un tredicenne? Beh, è un bellissimo commento”. E giù una risata contagiosa, perché Grisha è un ragazzo molto simpatico. Sa stare al mondo ed è stata la sua salvezza, specie quando tutti lo paragonavano a Federer.

Dovesse arrivare in finale a Miami, Grigor Dimitrov riporterebbe il rovescio a una mano tra i top-10 ATP

L'impressione è che a 33 anni abbia raggiunto la piena maturità: niente salti di gioia e testa alla semifinale contro Zverev (avversario indigesto, ci ha perso 7 volte su 8) e poca filosofia. Quando gli hanno chiesto se gli capita di rendersi conto se è in giornata di grazia, prima ha scherzato (“Certo, adoro leggere l'oroscopo ogni mattina”), poi ha confermato che la semplicità di pensiero è la chiave del suo successo attuale. “In realtà negli ultimi giorni ho colpito poco in allenamento. Mi concentro su quello che funziona, anche perché in questo torneo ho storicamente avuto alti e bassi. Mi limito alle cose basiche: recupero, riposo, cibo, preparazione. Ieri sera stavo per guardare la mia ultima partita contro Alcaraz (vinse in 3 set a Shanghai, ndr), ma quando stavo per schiacciare play mi sono fermato. Le condizioni erano troppo diverse, oggi volevo avere un foglio nuovo su cui scrivere. La cosa giusta era pensare a me stesso e cercare di fargli male con ogni singolo colpo”. Semplice, lineare, pulito. L'exploit non gli garantisce il rientro tra i top-10: per riuscirci dovrà battere Zverev nella seconda semifinale di oggi (a mezzanotte, diretta Sky Sport). Dovesse farcela salirà al numero 9. Vincesse il torneo, piomberebbe in settima posizione.

Mica male per colui che – Djokovic escluso – è il più anziano tra i primi quindici e ha trascorso appena 81 settimane tra i top-10 contro le 217 tra l'undicesima e la ventesima posizione. Numeri che lo hanno condannato a essere considerato una sorta di immediato rincalzo ai migliori. Numeri che non rendono giustizia al suo talento, alla sua fisicità, alla grande bellezza che è in grado di esprimere. Dovesse battere Zverev, tornerebbe tra i primi dieci per la prima volta dopo oltre cinque anni. Sarebbe una bella soddisfazione, anche se non ha mai abbandonato il sogno di infilare la zampata in uno Slam. “Non ho mai pensato che la finestra fosse chiusa – dice – fino a quando avrò una racchetta in mano avrò le mie chance in ogni torneo. Non voglio pensare troppo in là o che il 2024 potrebbe essere l'anno buono. Spero soltanto che sia un anno di belle vittorie e buoni ricordi. Non amo fare paragoni, ma mi sento meglio rispetto al 2017. Sono un giocatore migliore rispetto ad allora. Ed è importante: se ti trovi in buona posizione, prima o poi accadranno belle cose”. Come lasciare sei giochi a un attonito Carlos Alcaraz.