The Club: Bola Padel Roma
AMARCORD

Due magliette rosse nello stadio della morte

Il 18 dicembre 1976, l'Italia vinse la sua unica Coppa Davis. Quel giorno, Adriano Panatta e Paolo Bertolucci scesero in campo con una maglietta rossa nel paese del dittatore Pinochet. Tanti hanno raccontato quella storia, colorandola a proprio piacimento. Noi vi diciamo com'è andata, con la canzone celebrativa dei Modena City Ramblers sullo sfondo.

Riccardo Bisti
18 dicembre 2020

Adriano disse a Paolo: "hai portato quella maglia? Quella rossa, quella bella, oggi noi giochiamo con quella! Non hai nulla da temere, giochiamo a testa alta, giochiamo la partita, non diamogliela vinta!"


Per chi ama il tennis, il 18 dicembre non è un giorno come gli altri. È il giorno in cui l'Italia ha vinto la sua unica Coppa Davis. Un successo isolato e per questo mitico, reso ancor più grandioso dal contesto in cui avvenne. Il 18 dicembre 1976, all'Estadio Nacional di Santiago del Cile, Adriano Panatta e Paolo Bertolucci scesero in campo con una maglietta rossa. Una chiara provocazione a un Paese, il Cile, strozzato da una dittatura colorata di nero. Una storia troppo bella per essere dimenticata, anche se qualcuno ha provato a farla sfumare, persino a negarla. Ma la forza evocativa del racconto – e la sua sostanziale veridicità – ha smentito affermazioni travolte da fatti e documenti. I fatti è il contesto sono noti, ma è bene ricordarli a beneficio dei più giovani... e degli smemorati. L'11 settembre 1973, ventotto anni prima dell'attentato alle Torri Gemelle, un golpe militare spazzava via la democrazia cilena faticosamente sostenuta dal presidente Salvador Allende. Al suo posto, salì alla guida del Paese il generale Augusto Pinochet. Qualche anno dopo, in Argentina sarebbe successo lo stesso. Le dittature hanno un comune denominatore: l'odio per qualsiasi tipo di opposizione. Deve essere umiliata, poi schiacciata, infine sventrata. In Cile accadeva questo, con quelli che loro denominavano sovversivi. Il resto del mondo si indignò, Italia compresa. Anche da noi ci furono diverse manifestazioni a sostegno del popolo cileno. Qualche immagine d'epoca è visibile nello splendido docufilm La Maglietta Rossa, realizzato nel 2009 da Mimmo Calopresti, in cui le immagini di allora e i ricordi di oggi si mischiano in 52 minuti di delicata fusione tra politica e sport. Fu quel film ad alimentare il mito della maglietta rossa.

In realtà fu un gesto semplice, spontaneo. L'idea non poteva che nascere da Adriano Panatta, ad oggi il miglior tennista che l'Italia abbia mai avuto. Dopo le infinite polemiche se andare o meno a Santiago (ma ci torneremo), alla fine si andò e nella prima giornata Corrado Barazzutti e lo stesso Panatta fecero il loro dovere contro Alvaro Fillol e Patricio Cornejo. Sabato 18 dicembre c'era da giocare il doppio.
“Paolo, oggi ci mettiamo la maglietta rossa”.
“Ma tu sei matto, questi ci ammazzano” rispose Paolo, il suo storico compagno Bertolucci.
“Ma piantala, che vuoi che succeda”.
“Vuoi sfrugugliare?”
“Sì, voglio sfrugugliare”

“Pur di vincere io sarei sceso in campo nudo, quindi accettai – disse anni fa a chi scrive il buon Pasta Kid – ma nella pausa dopo il terzo set gli dissi che avevamo fatto quello che dovevamo, e che era il caso di cambiarci. Così terminammo con la maglia blu”. Nel documentario, Panatta racconta che qualche generale presente in tribuna provò a lamentarsi. “Avevano capito che era una provocazione, ma tutto qua. Quello che si poteva fare, lo abbiamo fatto”. Panatta è fatto così: non gli piace mitizzare, e nemmeno esagerare. Ci hanno (abbiamo) costruito una storia, ma non dirà mai che voleva cambiare il mondo. Non si è mai paragonato a Tommie Smith e John Carlos, e nemmeno a Matthias Sindelar. Ma è altrettanto vero che Panatta è stato un campione del popolo. “E questo la gente lo capiva. Io ero uno di loro” dice, in uno dei rari scatti d'orgoglio. Come dice Tonino Zugarelli, Panatta è riuscito a rendere il tennis uno sport popolare. Prima era considerato una disciplina d'elite, per benestanti coi pantaloni lunghi.

PLAY IT BOX
“Paolo, oggi ci mettiamo la maglietta rossa”.
“Ma tu sei matto, questi ci ammazzano”
“Ma piantala, che vuoi che succeda”.
“Vuoi sfrugugliare?”
“Sì, voglio sfrugugliare”
"La Maglietta Rossa", il docuflm realizzato da Mimmo Calopresti (2009)

Grazie a lui, le piazze d'Italia hanno visto comparire racchette e palline accanto ai palloni da calcio. Un merito che nessuno gli potrà mai togliere. Nato a Roma il 9 luglio 1950, era il figlio di Ascenzio Panatta, custode del Tennis Club Parioli. Nel docufilm di Calopresti, fa una sortita proprio al Parioli e indica la casa dove viveva con i suoi genitori. “Adesso non c'è più e mette un po' di tristezza vedere lo spiazzo vuoto”. Notato da Mario Belardinelli quando aveva 16 anni, fu convocato al Centro Tecnico di Formia, dove si formò un gruppo straordinario. Chiunque abbia conosciuto Mario Belardinelli sostiene che sia stato il principale artefice di quel decennio d'oro. “È difficile anche soltanto raccontarlo – dice Panatta, che poi però trova le parole giuste – non parlava di biomeccanica o cose strane. Parlava di come si giocava a tennis. E soprattutto ti insegnava a vincere”. I pezzi del puzzle per vincere la Coppa Davis c'erano tutti. Era solo il momento di metterli insieme. Nel 1976, finalmente, è arrivata l'occasione. Le vittorie contro Polonia, Jugoslavia, Svezia, Gran Bretagna e Australia non furono reali sorprese. Per sollevare 'sta benedetta Insalatiera, bisognava battere il Cile. Per due mesi, il tennis divenne un pretesto per fare politica.

Una sostanziosa parte del Paese, soprattutto la sinistra, spingeva affinché gli azzurri non andassero a Santiago. Normale: l'Unione Sovietica aveva rinunciato ad affrontare i cileni in semifinale per lo stesso motivo, e anche i sassi sapevano che il conto corrente del PCI aveva un canale aperto con Mosca. Il fronte del sì era guidato dal capitano Nicola Pietrangeli, personaggio popolarissimo (per intenderci, quell'anno era co-conduttore della Domenica Sportiva) nonché uomo di sport. “Se non andiamo, regaliamo la Davis a Pinochet”. Qualcuno arrivò a minacciarlo di morte, altri gli diedero del fascista. Pietrangeli aveva semplicemente capito che un'occasione del genere non capita tutti i giorni. La storia gli avrebbe dato tristemente ragione nelle successive tre finali, tutte in trasferta e contro squadre più forti del Cile. Qui la storia, in effetti, è stata un po' mitizzata. Nel 2013, i Modena City Ramblers (gruppo notoriamente di sinistra) hanno pubblicato una splendida canzone (“Due Racchette Rosse”, da cui sono stati estratti un paio di video da brividi, uno con le immagini d'epoca) in cui si fa passare il messaggio che il principale sostenitore del sì fosse Enrico Berlinguer, allora segretario del PCI. È lo stesso Panatta a correggere il tiro: “Berlinguer disse che non era giusto mettere in mezzo dei ragazzi che giocavano a tennis. E poi, se non fossimo andati, a distanza di anni tutti avrebbero ricordato una Davis vinta dal Cile di Pinochet. Molto meglio che vinca l'Italia”.

Augusto Pinochet, presidente del Cile dal 1973 al 1990. Nella canzone "Due Magliette Rosse" viene definito "sprezzante coi baffetti / con gli occhi da assassino"
"Due magliette rosse" dei Modena City Ramblers con gli splendidi disegni di Gianmarco Valentino

In realtà, Berlinguer era inizialmente contrario. A dare la spallata decisiva verso il sì fu un oscuro senatore del PCI, il sardo Ignazio Pirastu. Grande appassionato di sport, ebbe l'intuizione di contattare il segretario del Partito Comunista Cileno Luis Corvalan, e a sua volta farlo dialogare con Berlinguer. Il messaggio di Corvalan fu chiaro: “Italiani, venite e batteteli. Solo così si potrà evitare una festa di regime”. Le sue parole spinsero Berlinguer a cambiare opinione e vincere le resistenze di Giancarlo Pajetta, ministro degli esteri del PCI, il quale si era esibito in più di una litigata pubblica con Pietrangeli. E furono così spazzati via slogan ricordati ancora oggi come “non si giocano volèe contro il boia Pinochet”, oppure “Pinochet sanguinario, Panatta milionario”. Peccato che Panatta non fosse per nulla milionario. Anzi, quell'anno – nonostante i successi a Roma e Parigi – intascò appena 93.000 dollari: anche con la rivalutazione monetaria, cifre irrisorie rispetto a quelle di oggi. Prima di Santiago, lo stesso Panatta andò a giocare alcuni tornei ed esibizioni negli Stati Uniti. Per arrotondare. Il resto è storia, con il 3-0 sotto gli occhi dei cileni e il racconto in differita di Guido Oddo: la RAI scelse di non mandare in diretta gli incontri per il timore di manifestazioni pro-regime. Qualora si fossero verificate, con la differita sarebbe stato possibile censurarle. E poco importa se lo stesso Oddo, in un impeto di entusiasmo, urlò in diretta la sua gioia quando le immagini in bianco e nero raccontavano altro.

Soltanto un ingenuo potrebbe pensare che la scelta di Panatta, lo sfrugugliare, non avesse senso politico, soprattutto dopo l'avvicinamento appena descritto. Eppure ci hanno provato e hanno insistito, peraltro con falsi storici. Qualcuno disse che non c'era alcuna implicazione politica e che la scelta del rosso fu un caso, solo perché all'epoca la notizia non uscì dallo spogliatoio. Peccato che un documento audio di inizio 1977 abbia menzionato la discussione sul colore delle maglie da indossare. Qualcun altro scrisse che Panatta aveva già indossato la maglietta rossa in occasione della vittoria al Roland Garros: peccato che i filmati smentissero la tesi, poiché nella sua avventura parigina giocò con la maglietta verde, finale compresa. Una storia che farebbe sorridere, non fosse che in Cile ci sono stati migliaia di morti e il regime di Pinochet è andato avanti indisturbato fino al 1990. Per questo, è doveroso ricordare e tramandare i fatti, incastonati nella splendida canzone dei Modena City Ramblers. Un po' romanzata, con qualche forzatura qua e là (Pinochet non mise mai piede all'Estadio Nacional, per esempio), ma che rende giustizia al tempo che fu. Un tempo in cui gli sportivi avevano (sul serio) una coscienza politica. E c'è una viva nostalgia pensando a oggi, a chi s'indigna se si fa notare che a Monte Carlo è stata presa qualche residenza di troppo (legittima, ci mancherebbe). Ma questa è un'altra storia.