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ROMA

Dominik Koepfer, tutta la fame di un Pitbull

I giochi di prestigio di Lorenzo Musetti si sono scontrati con la volontà feroce di Dominik Koepfer. Lo chiamano Pitbull per un fisico da corazziere, ma c'è molto di più. A partire da un legame speciale con l'Italia, tra passione per la carbonara e quel viaggio catartico ad Albarella...

Riccardo Bisti
19 settembre 2020

L'exploit di Dominik Koepfer non poteva che arrivare a Roma. La sua carriera è svoltata poco più di un anno fa, con una piccola scaramanzia durante il challenger britannico di Ilkley, sull'erba. Insieme a coach Rhyne Williams, mangiavano ogni giorno nello stesso posto. Si chiama Piccolino e fa parte di una catena di ristoranti sparsi per tutta l'Inghilterra. Ogni giorno, mangiavano spaghetti alla carbonara. Tipica specialità romana. Vinse il torneo. C'è da credere che nella sua permanenza nella Città Eterna, sia pure bloccato nella bolla anti-COVID, il tedescone di Furtwangen abbia riempito il serbatoio a suon di guanciale, uova, pecorino, sale e pepe. Ha un gran bisogno di carburante, anche perché lo chiamano “Pitbull” per il suo aspetto e per il suo modo di giocare. Ringhia, sul campo da tennis. L'esatto opposto di Lorenzo Musetti, eleganza pura. Soltanto un occhio poco esperto poteva pensare che Koepfer fosse avversario meno difficile rispetto al vacanziero Wawrinka e all'acciaccato Nishikori, che comunque Musetti era stato bravissimo a battere.

Il Pitbull di Furtwangen si avventava sulle smorzate di Musetti con foga, quasi con rabbia schiumante. L'ardore di chi ha fame. Il tennis è tecnica, tattica, fisico, mente. Tutto vero. Ma senza fame non vai da nessuna parte. E la fame può portare a traguardi insperati. Koepfer non pensava di diventare un grande giocatore. Semplicemente, non aveva il livello. Cresciuto in mezzo alla Foresta Nera, si disimpegnava bene con tennis, sci e golf. Sin da piccolo, la sua forza da Pitbull gli permetteva di scagliare la palla da golf a 100 metri di distanza. Da quelle parti fa freddo: con 5 mesi di neve all'anno, era inevitabile che sciasse. Ed era piuttosto bravo. Però giocava anche a tennis, una o due volte a settimana. La sua base era il TC Blau-Weiss Villingen, il suo mentore un onesto coach di provincia, Oliver Heuft. Lo ha seguito in via esclusiva fino ai 14 anni, poi si è fatto affiancare da Jurgen Muller.

"Durante le vacanze di Natale 2016, Dominik e i suoi genitori mi chiesero se era il caso di provarci col tennis. Per la prima volta da quando faccio il maestro, ho consigliato a un giocatore di diventare professionista"
Oliver Heuft
L'allenamento in quarantena insieme a coach Rhyne Williams

Senza alcuna pressione, hanno seguito i protocolli DTB che non prevedono la caccia alla coppetta giovanile o il risultato a tutti i costi. Prima si pensa a far divertire i ragazzi, poi, se son rose fioriranno. A 16 anni, Dominik è giunto in finale ai Campionati Nazionali Under 16. “In quel momento ho deciso di concentrarmi più sul tennis, perchè era meno pericoloso rispetto allo sci e mi permetteva di fare più amicizie, senza trascorrere lunghe giornate in cima a una montagna”. Figlio di genitori modello, che non hanno mai interferito nelle faccende agonistiche, ha pensato di andare negli Stati Uniti per studiare e migliorarsi come giocatore. Il problema è che non aveva classifica ITF, in Germania era uno dei tanti... Nessuna università si sarebbe interessata a lui. Non a caso, ricevette solo un paio di offerte da atenei di Division II. Ma i suoi maestri di Villingen avevano un contatto interessante con la Tulane University di New Orleans, Louisiana. Lo Stato è tristemente famoso per il frequente ricorso alla pena di morte, la Città per essere il luogo della misteriosa scomparsa di Ylenia Carrisi, figlia di Al Bano e Romina Power.

Per Koepfer è stato un'ancora di salvezza: coach Tim Booras andò a visionarlo in Germania e non ebbe dubbi: “Tu vieni con me”. L'inizio fu difficile, tra nuove abitudini, una lingua diversa e la necessità di conciliare studi, tennis e vita sociale. Ma Dominik si è fatto apprezzare al punto da diventare il miglior giocatore nella storia della franchigia, diventando per due volte All American e vincendo i Campionati Intercollegiali Indoor nel 2015, peraltro sui campi di Flushing Meadows. E pensare che era partito da numero 6 del team... Una volta intascata la laurea in economica e finanza, ha pensato di provarci con il tennis professionistico. Il semaforo verde è arrivato da Heuft, il suo primo maestro. In un atto di estrema umiltà, Koepfer e i suoi genitori sono andati a trovarlo a fine 2016, chiedendogli un parere. “Erano le vacanze di Natale e mi chiesero se avrebbe dovuto fare il grande passo – ricorda Heuft – per la prima volta da quando faccio il maestro, ho consigliato a un giocatore di diventare professionista. Non ci ho pensato due volte. Dominik aveva il livello, il cuore e la giusta esperienza”.

Con i quarti a Roma, Dominik Koepfer è già certo di salire intorno al n.66 ATP
La vittoria contro Gael Monfils in un match interrotto da un black-out

L'inizio non è stato facile, perché nel circuito ci vuole una preparazione atletica diversa. Bisogna essere sempre concentrati, sul pezzo. Nessuno regala niente, nessuno ti coccola. E certe abitudini devono essere estirpate in fretta. Koepfer era uno dei tanti e sognava di entrare tra i top-100 ATP. Per un paio d'anni non si è neanche avvicinato. Baratro e rinascita si sono consumati in Italia, nell'aprile 2019. Perse al primo turno contro il nostro Giulio Zeppieri al Challenger di Francavilla al Mare. Guarda caso, in quei giorni i suoi vecchi maestri del BW Villingen tenevano il consueto stage primaverile ad Albarella, isolotto sul delta del Po, quindici campi da tennis in un'oasi di pace, a metà strada tra Chioggia e Comacchio. Li ha raggiunti e grazie a loro si è schiarito le idee. “Ha avuto un'opinione chiara su quello che stava facendo, non la consueta pacca sulla spalla” dice Heuft. Da lì è cambiato tutto. Il titolo a Ilkley gli ha offerto una wild card per Wimbledon, poi c'è stata la grande avventura allo Us Open. Sostenuto dai suoi ex compagni di università, piombati in massa da New Orleans, si è spinto negli ottavi partendo dalle qualificazioni. Ha sfidato Medvedev e lo ha messo alla frusta per quattro set. “Amazing. Amazing play” gli ha detto il russo alla stretta di mano. Con questi risultati è entrato tra i top-100 ATP, trovando un po' di respiro finanziario dopo anni di stenti e rinunce.

Per il 2020 proverò a farmi aiutare da un fisioterapista – diceva a inizio anno, dopo aver svolto buona parte della preparazione insieme a Hurkacz – il mio obiettivo? Migliorare un po', mi piacerebbe arrivare tra i top-50, 60”. In questa frase c'è tutta l'umiltà di chi non è abituato a fare sparate. L'umiltà di chi ha fame. Quella vera. Oggi è numero 97 ma grazie agli exploit romani è già certo di ritoccare il best ranking: entrerà tra i top-70. Prima di Musetti, aveva battuto De Minaur al fotofinish e aveva colto il primo successo in carriera contro un top-10, approfittando della ruggine di Monfils. Poi è arrivata la doccia gelata per Musetti. Ed è stato un bene: le smorzate, i ricami, le giocate impertinenti che avevano irretito Wawrinka e Nishikori, erano cibo allettante per la fame di Koepfer. I colpi che gli avevano regalato titoloni sui giornali e un paio di clip YouTube, sono improvvisamente diventati un limite. Nessun problema: a 18 anni c'è tempo per imparare e stare meglio in campo, sia tatticamente che nella gestione delle energie nervose. Col suo sguardo apparentemente cattivo, ma che cela una mente raffinata, Koepfer proverà a mordere il numero 1 del mondo. In comune non hanno nulla, se non un passato da piccoli sciatori. Sul campo da tennis non conterà niente, ma è certo che Koepfer venderà cara la pelle. Perché l'Italia è il Paese in cui ha ritrovato se stesso. E Roma è la città in cui si cucina la migliore pasta alla carbonara.