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Ciao Gianni, Cochet e Borotra ti aspettano

Si è spento a quasi 92 anni lo "Scriba" Gianni Clerici, scrittore-giornalista-commentatore che ha contribuito in modo decisivo alla diffusione del tennis. La sua prosa straordinaria si è accidentalmente incrociata con il nostro sport. E di questo gli saremo eternamente grati.

Riccardo Bisti
7 giugno 2022

“Sono ricco in modo imbarazzante”. Gianni Clerici pronunciò queste parole al momento di rinnovare il suo contratto con l'allora Tele+, l'emittente che più di ogni altra ha cambiato il modo di raccontare il tennis in televisione. Non c'era stato nulla di simile prima, ma non ci sarebbe stato nemmeno dopo. Perché la sua coppia con Rino Tommasi rimarrà un unicum nella storia dello sport raccontato in TV. Non solo in Italia. Lo sapevamo già, ne abbiamo avuto conferma con la cascata di reazioni alla notizia della sua morte, resa nota nel pomeriggio di lunedì. Il mitico Scriba si è spento nella sua casa di Bellagio, sul Lago di Como, a quasi 92 anni. Li avrebbe compiuti il prossimo 24 luglio. Soltanto un problema di salute lo aveva convinto a concedersi la pensione, dopo che aveva continuato a girare per tornei fino a quando le forze glielo hanno consentito. Lo faceva perché amava il tennis più di se stesso.

Le reazioni, dicevamo: nell'epoca dei social media, l'immediatezza della comunicazione ha fatto sì che la comunità del tennis fosse travolta da una caterva di messaggi. Tutti di affetto, ammirazione, nostalgia. Ognuno ha il suo aneddoto, il suo racconto, l'episodio da custodire in eterno nello scrigno dei ricordi. Già, perché Clerici aveva una qualità rara, quasi unica per chi ha un'estrazione sociale come la sua (era figlio di un magnate del petrolio): dedicava a tutti la stessa attenzione, che fosse Silvio Berlusconi (suo datore di lavoro nelle reti Fininvest) o l'ultimo degli appassionati, desideroso di una foto o una stretta di mano. Un modo di essere che ha prodotto decine, centinaia, migliaia di aneddoti. È giusto che ognuno si tenga i suoi, condividendoli o meno. A noi interessa ricordare quello che ha fatto per il nostro sport e per una professione sempre più difficile, svilita, persino insultata.

La vetrina onnivora di Youtube ci ha conservato il suo discorso nel giorno dell'induzione nella Hall of Fame, tre minuti in cui c'è tutto Gianni Clerici. Prima una citazione del Vaticano, poi la spiegazione del perché era stato ammesso: “Rappresento i perdenti”
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Clerici ripercorre la sua vita in una bella intervista con la TV della Svizzera italiana

Ha scritto decine di opere imperdibili, inglobate dal monumentale “500 anni di tennis”, uno dei libri più importanti nella storia del nostro sport. Aveva poi una passione per la divina Suzanne Lenglen, di cui scrisse una biografia pubblicata in Francia e poi soltanto vent'anni dopo in Italia. Ex giocatore di prima categoria (fece in tempo a partecipare a due prove del Grande Slam: Wimbledon 1953 e Roland Garros 1954), esordì come giornalista in anni ben più floridi per la professione e ha scritto per oltre 60 anni, costruendosi grande popolarità grazie a notevole cultura e a straordinarie capacità di scrittura. “Uno scrittore prestato al tennis” diceva di lui Italo Calvino, in una delle frasi più riproposte in queste ore. Lo facciamo anche noi, perché era proprio così. Dopo gli inizi con la Gazzetta dello Sport e un lungo periodo con Il Giorno, dal 1988 ha iniziato a scrivere per Repubblica, di cui è diventato una delle firme più importanti. All'attività di scrittore e giornalista ha poi affiancato quella di commentatore TV, a cui deve buona parte della sua popolarità. Con Rino Tommasi ha creato la coppia perfetta, frutto di un'alchimia che non si troverà mai più. I due si erano conosciuti negli anni '50, quando Tommasi giocò un torneo a Como, città natale di Clerici.

La loro diversità divenne il punto di forza delle loro telecronache, in cui si mischiavano competenza, ironia, cultura e scanzonatezza. Per fortuna si sono sviluppate in anni diversi: chissà se oggi il buonismo del politically correct avrebbe tollerato il loro stile. Probabilmente Clerici non avrebbe accettato nessun tipo di censura, proprio come quando rinunciò a commentare su Sky quando smisero di mandare i telecronisti sul posto, lasciandoli agli studi di Milano. Negli anni 90 “Sette”, lo storico settimanale del Corriere della Sera, scrisse un lungo articolo su di loro, definendoli come gli unici italiani capaci di arrivare sempre in fondo ai tornei del Grande Slam. Già, perché all'epoca un piazzamento negli ottavi era manna dal cielo. La loro popolarità ha varcato i confini dell'Italia, raggiungendo un paio di apici: il primo nel 2002, quando il Time dedicò un articolo alle loro telecronache, a firma di Jon Wertheim (altra leggenda del giornalismo racchettaro). Pensate: una delle più famose riviste al mondo ha scritto di due telecronisti italiani di tennis. Impossibile possa accadere di nuovo.

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Rino Tommasi e Gianni Clerici hanno sviluppato un'alchimia che non ha avuto uguali nella storia del giornalismo

Il discorso di Gianni Clerici nel giorno dell'induzione nella Hall of Fame

“La più grande volgarità è non avere senso dell'umorismo” diceva Clerici a chiudere l'articolo, rispondendo indirettamente alle mail (pochine, per la verità) in cui il duo veniva accusato di essere volgare. Il secondo ha riguardato solo Clerici, che nel 2006 fu ammesso addirittura nella Hall of Fame, la galleria degli immortali del nostro sport. Tra gli italiani, soltanto Nicola Pietrangeli aveva ottenuto tale onore. Gli avrà fatto particolarmente piacere essere indotto insieme Gabriela Sabatini e Pat Rafter: la prima rappresentava una bellezza e una femminilità che lui non ha mai nascosto di apprezzare (anche se una delle sue frasi più celebri rimane: 'Se fossi un po' più gay, vorrei essere accarezzato dalla volèe di John McEnroe'), il secondo è stato uno degli ultimi esponenti di un tennis leggiadro e offensivo, quello dei “Gesti Bianchi” (uno dei suoi libri più famosi) in uno sport che via via si è fatto brutalizzare da muscoli e potenza. Per fortuna, la vetrina onnivora di Youtube ci ha conservato il suo discorso nel giorno dell'induzione, tre minuti in cui c'è tutto Gianni Clerici. Prima una citazione del Vaticano, poi la spiegazione del perché era stato ammesso: “Rappresento i perdenti”.

Le sue infinite qualità umane e professionali hanno spesso messo in secondo piano una sensibilità giornalistica di livello assoluto. Pochi come lui erano in grado di scovare storie e rendere interessante una vicenda apparentemente banale. Gli esempi sono talmente tanti, enormi, sconfinati, che non è nemmeno il caso di farne. Il dolore per la sua scomparsa, e il sentito abbraccio alla famiglia e a chi lo conosceva bene, si accompagna al sorriso per quello che ha lasciato in eredità. Può esserci un po' di amaro in bocca perché – dopo 60 anni dedicati a raccontare il tennis – non farà in tempo a vivere in prima persona la nuova età dell'oro del tennis italiano. Lo avrebbe meritato, dopo che lui e Tommasi avevano tenuto accesa la fiammella della passione racchettara in tempi di desertificazione tecnica. Ma siamo convinti che – da lassù – stia sorridendo con noi, avendo ritrovato tanti personaggi di cui aveva decantato le gesta. E magari si sarà fatto raccontare dai diretti interessati quella che per lui è la partita più bella di sempre: la finale di Wimbledon 1927 tra Henri Cochet e Jean Borotra. “C'è un piccolo dettaglio: Clerici è nato nel 1930” diceva sempre Tommasi. Au revoir, mitico Scriba.