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LA STORIA

Arnaboldi e quel record da godersi a metà

Non tutti sanno che il match più lungo di sempre al meglio dei tre set l'ha giocato (e vinto) un tennista italiano. Nelle qualificazioni del Roland Garros 2015, Andrea Arnaboldi batté Pierre-Hugues Herbert 27-25 al terzo. Quel torneo fu il picco della sua carriera, ma il canturino spera che il meglio debba ancora venire.

Riccardo Bisti
23 maggio 2021

Profumo di Slam. Senza l'incubo COVID, in queste ore sarebbe scattato il Roland Garros. Pazienza, basta aspettare ancora sette giorni. Anzi, no: tra poche ore scatteranno le qualificazioni. Si tratta pur sempre di Slam, peraltro con la libidine psicologica di giocare sugli stessi campi dei big (tranne a Wimbledon, laddove i qualificati giocano nel purgatorio di Roehampton). Dici Slam e pensi ai campioni, ai record, ai titoli, magari a qualche exploit. Ma a volte la storia si scrive anche nel piccolo-grande mondo delle qualificazioni, frequentato dai giocatori lontani dall'attenzione del grande pubblico. Per loro c'è in ballo tutto: prestigio e denaro. Entrare nel tabellone principale garantisce un maxi-assegno che può fare la differenza per una stagione intera. Ma capita anche che si giochino match storici, mitici. Andrea Arnaboldi non parteciperà al torneo del 2021. La classifica attuale (n.271 ATP) non è sufficiente, poi il canturino è fermo per un fastidioso problema alla schiena che lo tiene fermo da un mese. Non è una stagione felice per Andrea: in otto tornei, il miglior risultato sono i quarti a Lille.

A 33 anni e mezzo, Arnaboldi vorrebbe costruirsi un ultimo capitolo di carriera, il più possibile luminoso, per non essere ricordato solo per quel match di sei anni fa, nelle qualificazioni parigine. Un ricordo bellissimo, perché Andrea è nella storia del tennis per aver vinto il match 2 su 3 più lungo di sempre: quattro ore e mezza, spalmate su due giorni, per battere Pierre-Hugues Herbert. 6-4 3-6 27-25. Più lungo di Federer-Del Potro alle Olimpiadi del 2012, con più game di Tsonga-Raonic, sempre a Londra 2012 (71 a 66). “Ricordo molto nitidamente quel match, si può dire che sia stato il momento più alto della mia carriera” dice Arnaboldi, che poi avrebbe passato le qualificazioni e anche un turno in tabellone, al termine di un'altra battaglia contro James Duckworth. Si arrese a Marin Cilic. Quell'anno sarebbe salito al numero 153 ATP. Era il 12 ottobre, giorno della Scoperta dell'America. Non è più riuscito a superarsi, ma come Cristoforo Colombo vuole continuare a esplorare tennis e sviscerare se stesso, in cerca di limiti non ancora raggiunti. Ricordi come questo sono carburante mentale per un giocatore che le ha davvero provate tutte, e che meriterebbe di più soltanto per la sua tenacia.

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Fosse nato 20-25 anni prima, Arnaboldi avrebbe avuto un'altra carriera. Rapido, scattante, bravo in tutte le zone del campo, aveva tutto per imporsi in un tennis non ancora travolto dalla forza bruta.

Roland Garros 2015: Arnaboldi bacia la terra del Roland Garros dopo il successo contro James Duckworth

Nel 2015, Herbert non era ancora il giocatore che sarebbe diventato. Indeciso se dedicarsi esclusivamente al doppio, era n.145 ATP e la federtennis francese non lo ritenne degno di una wild card. In fondo non era ancora entrato tra i top-100. Da parte sua, Arna era in 188esima posizione ed era a caccia della seconda qualificazione consecutiva a Parigi. Al primo turno aveva superato Denis Kudla e il 20 maggio 2015 scese in campo contro il francese. “Ero avanti di un set e un break, ma mi feci raggiungere. Nel terzo ho avuto un matchpoint sul 6-5, ma un passante di dritto finì fuori di poco. Da quel momento in poi, entrambi abbiamo giocato benissimo nei turni di battuta. Ogni game poteva essere l'ultimo”. Sul 15-15 fu decretata la sospensione per oscurità (oggi non accadrebbe più: 14 dei 16 campi di gioco sono stati dotati di illuminazione). Il giorno dopo, Herbert chiese di poter effettuare il riscaldamento con un giocatore mancino (gli trovarono il connazionale Alexandre Sokoloski), ma l'accorgimento non bastò a vincere la partita.

I due rimasero in campo per altri ottanta minuti. Sul 21-21, superarono il record delle qualificazioni parigine (il 22-20 di Nestor-Guardiola nel 1996). Fu una risposta incrociata di dritto, strozzando l'ennesimo serve and volley di Herbert, a spedire Arnaboldi al terzo turno. Non esultò più di tanto, perché non aveva molto tempo per recuperare prima del turno di qualificazione contro Marco Trungelliti. Vinse in rimonta (5-7 7-5 6-3) prima di vivere una bella avventura nel tabellone principale, prendendosi qualche scorcio d'attenzione mainstream. Molti pensarono che fosse l'inizio di una seconda carriera, dato il suo tennis così elegante. Sei anni dopo, quel match rimane il picco della sua carriera. C'è da credere che Arnaboldi darebbe volentieri in cambio quel successo per una carriera alla Herbert. Mettendo da parte i tanti successi in doppio (addirittura il Career Grand Slam), è stato numero 39 in singolare e ha giocato quattro finali ATP, l'ultima un paio di mesi fa a Marsiglia. Chissà se ogni tanto ci pensa, il cugino maggiore del promettente Federico (che sta muovendo i primi passi nel circuito). In fondo, il tennis di Herbert non è così diverso dal suo.

Numero 153 ATP nel 2015, Andrea Arnaboldi ha costruito la sua carriera soprattutto nel circuito Challenger. Nel 2016 ha colto i quarti al torneo ATP di Bastad

Questo fantastico punto a Raanana sintetizza le qualità tecniche e acrobatiche di Andrea Arnaboldi

Fosse nato 20-25 anni prima, probabilmente avrebbe avuto un'altra carriera. Rapido, scattante, bravo in tutte le zone del campo, aiutato dalle rotazioni mancine, aveva tutto per imporsi in un tennis non ancora travolto dalla forza bruta e dalla standardizzazione delle superfici. Certo, ci sono stati altri problemi: da una parte la difficoltà ad essere costante, e poi una scelta che – col senno di poi – ne ha tardato lo sviluppo. Arnaboldi è stato per sei anni in Spagna, a Valencia. Un periodo che ricorda con piacere, ma da quelle parti viene insegnato un tipo di tennis incentrato su forza e solidità, non così adatto alla sua struttura tecnica. “È più una questione di approccio tattico che di superficie” dice Arnaboldi, che apprezza la terra battuta ma che giocherebbe il match della vita su una superficie veloce. Con l'Italia sempre più protagonista ad alti livelli, quelli come lui rischiano di avere ancora meno attenzione. Non crediamo se ne farà un cruccio, ma prima di dire addio vorrebbe tornare a far parlare di sé. Magari vincendo finalmente un torneo Challenger.

Un paio d'anni fa ha superato l'incubo delle semifinali: ne aveva giocate ben 15 senza mai centrare una finale, poi ha fatto un passo in più a Portorose 2018 (si arrese a Constant Lestienne). Lo scorso novembre ha giocato la sedicesima, a Parma, contro Liam Broady. Altra sconfitta con qualche rimpianto. Ancora oggi ammette che non aver vinto un torneo di categoria (si è aggiudicato 7 ITF Futures) lo fa arrabbiare. In effetti, l'exploit è riuscito a diversi giocatori, anche meno forti di lui. Quel ricordo parigino profuma di buono, ma Andrea sogna di poter fare un passo in più e non essere ricordato solo per quello. Per farcela, si è ritrovato con coach Giorgio Mezanzani (colui che lo aveva iniziato al tennis quando era un bambino) e il preparatore atletico Stefano Viganò. Quando la schiena lo lascerà in pace, inizierà l'ennesimo tentativo. Nella speranza che lo scrigno dei ricordi comprenda foto diverse da quella qui sotto. Istantntanea di una gloria durata troppo poco.