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CASO DJOKOVIC

Accerchiato!

Novak Djokovic è libero, ma su di lui pesano un possibile decreto di espulsione e il giudizio etico per la sconsiderata condotta dopo la positività al COVID. E adesso spunta una possibile dichiarazione mendace. Ecco cosa è successo per davvero da ottobre a oggi.

Riccardo Bisti
11 gennaio 2022

Era mezzanotte quando Novak Djokovic ha sfidato per la seconda volta le autorità australiane. Lo aveva fatto una settimana fa, annunciando la sua partenza in virtù di un'esenzione medica. Si è ripetuto facendosi fotografare all'interno della Rod Laver Arena, armato di racchetta, insieme al fisioterapista Ulises Badio, al coach Goran Ivanisevic e al preparatore atletico Marco Panichi. La simbologia di questo scatto è enorme: per quanto il Ministro dell'Immigrazione Alex Hawke abbia ancora (e senza una deadline) la possibilità di revocargli il visto d'ingresso, sul piano dell'immagine sarà molto complicato per le autorità privarlo nuovamente della libertà e cacciarlo dal Paese. Per loro sarebbe stato molto più facile farlo dal Park Hotel, laddove ha trascorso i quattro giorni più complicati della sua vita. Adesso si scatenerebbe un putiferio ancora più grande di quello vissuto negli ultimi giorni, da quando è stato bloccato dalle autorità di frontiera perché "rappresenta, potrebbe rappresentare, o potrebbe a sua volta essere a rischio per la salute, la sicurezza e l'ordine della comunità australiana o di una parte di essa".

È quanto riferisce l'articolo 116 1.e.i del Migration Act, la complessa normativa che disciplina l'ingresso degli stranieri in Australia. Lo stesso che è stato alla base della cancellazione del suo visto alle 7.42 di giovedì 6 gennaio, in una stanza dell'aeroporto di Melbourne. I fatti di quella notte sono il motivo del pronunciamento del giudice Anthony Kelly, che con un dispositivo di appena due pagine ha annullato la cancellazione e ha obbligato il Dipartimento degli Affari Interni a liberare Djokovic entro mezz'ora e rifondere le spese legali. Da allora – e in attesa del pronunciamento definitivo del Ministro Hawke – Novak Djokovic è un uomo libero. E ha già fatto sapere che vuole restare a Melbourne e provare a giocare l'Australian Open. Grazie ai documenti ufficiali, messi a disposizione con trasparenza e tempismo dal governo australiano, e alle evidenze raccolte in questi giorni, possiamo effettuare una ricostruzione dei fatti precisa e rigorosa, dando al lettore la possibilità di farsi la propria opinione. Senza strilli né prese di posizione: quelle le lasciamo ad altri, anche perché questa storia presenta diverse argomentazioni: alcune vanno in una direzione, altre prendono quella opposta.

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Nonostante la decisione di cancellare il visto a Djokovic, l'ufficiale di frontiera aveva evidenziato cinque punti a sfavore della decisione stessa.

Il post-sfida di Djokovic: "Voglio giocare"

1) A ottobre si diffonde l'indicrezione secondo cui l'Australian Open avrebbe richiesto l'obbligo vaccinale. La notizia è stata ufficializzata il 20 novembre dal direttore del torneo Craig Tiley durante un'intervista TV. Questo significa che Novak Djokovic (o meglio, il suo agente) ha chiesto il visto per entrare in Australia quando non c'era ancora certezza dell'eventuale obbligo. Il visto gli è stato concesso il 18 novembre, qualche ora prima dell'annuncio di Tiley. Nole stesso sostiene di averlo chiesto a ottobre o novembre.
2) Il 26 novembre 2021, l'ormai celeberrimo ATAGI (Australian Technical Advisory Group on Immunisation) diffonde le linee guida in cui c'è scritto chiaramente – e oltre ogni ragionevole dubbio – che un'infezione da COVID negli ultimi sei mesi è un motivo valido per ottenere un'esenzione ed entrare in Australia senza sottoporsi a quarantena.
3) Il 29 novembre 2021, il Ministro della Salute australiano invia una missiva a Tennis Australia, in cui informa che una recente infezione da COVID non è equiparabile a una doppia vaccinazione. Forse è una risposta alla domanda se i guariti potessero entrare nel Paese senza bisogno di alcuna esenzione. Proprio come i vaccinati, proprio come accade in diverse giurisdizioni. Risposta negativa. Ma non c'è scritto da nessuna parte che gli stessi non avrebbero potuto chiedere un'esenzione.
4) Basandosi su queste informazioni, il 7 dicembre 2021 Tennis Australia invia una comunicazione ai giocatori, in cui informa che una recente infezione sarebbe stata un motivo valido per ottenere l'esenzione, menzionando proprio le linee guida ATAGI. Traduzione: Cari non vaccinati, ci spiace ma non possiamo farvi entrare con lo status di guariti. Però ci hanno detto che se avete avuto il COVID entro sei mesi, potete ottenere l'esenzione. Il concetto viene evidenziato rispetto agli altri motivi validi per l'esenzione, onestamente improbabili per atleti professionisti. Gli interessati vengono invitati a inviare richiesta e documentazione entro e non oltre il 10 dicembre, all'indirizzo e-mail Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo..
5) Il 14 dicembre 2021, ATAGI pubblica ulteriori linee guida in cui il concetto di esenzione medica per i guariti viene aggiornato, in modo fumoso e discutibile. Ammettono che l'immunità da infezione è accettata in diversi Paesi, ribadiscono che può garantire un'esenzione di sei mesi anche in Australia. Tuttavia raccomandano la doppia vaccinazione, sottolineando che un passata infezione non rappresenta una controindicazione medica per il vaccino. Questa frase ha un grosso valore per i rigoristi, ma continua e mancare la pistola fumante, ovvero l'affermazione – oltre ogni ragionevole dubbio – che una recente infezione non sia valida per l'agognata esenzione. Tale affermazione si troverebbe in un cavillo del Biosecurity Act 2015. Gli esperti ammettono che le raccomandazioni non hanno particolari basi scientifiche, ma si basano su princìpi immunologici a causa della mancanza di dati. Viene poi menzionato per la prima volta il concetto di malattia acuta. Si scrive che la vaccinazione può essere differita fino a sei mesi, come esenzione temporanea per una malattia grave. Il concetto di malattia acuta viene ripetuto nello schema consultabile nell'ultima pagina. Detto che si parla di raccomandazioni, il documento sembra integrare un'informazione nuova rispetto a quello del 26 novembre. 
6) Il 16 dicembre 2021, Novak Djokovic si sottopone a un tampone molecolare alle 13.05. Lo stesso giorno partecipa a una cerimonia in cui vengono presentati i francobolli in suo onore, coniati dalle Poste serbe. Alle 20.19 arriva il referto: il numero 1 del mondo è nuovamente positivo. È ragionevole credere che già in serata abbia appreso della positività. Qualsiasi norma legata al buon senso, alla prudenza e a un vivere civile avrebbe consigliato un isolamento.
7) Il 17 dicembre, Djokovic si reca presso il suo Novak Tennis Center e partecipa a una cerimonia organizzata da Teniski Savez Beograda per premiare i migliori giocatori del 2021, in varie categorie giovanili. L'evento si è tenuto – con altissimo grado di probabilità – dopo le 10.33 ed è terminato prima delle 14.50. Con il medesimo grado di probabilità, possiamo affermare che Djokovic sapesse di essere positivo. Ma ci sono decine di foto in cui posa con i ragazzi senza indossare la mascherina, in un luogo che sembra essere al chiuso, dunque a maggiore rischio di contagio.
8) Il 18 dicembre, Djokovic effettua uno shooting fotografico (a Belgrado) con L'Equipe, corredo di un'intervista per celebrare la sua nomina ad Atleta dell'Anno per il noto quotidiano francese. In quei giorni, la situazione epidemica in Serbia era sotto il livello di guardia: un migliaio di casi al giorno e pochi ricoveri. Qualche giorno dopo, la curva avrebbe ripreso a salire. Oggi ci sono 87 persone ricoverate in terapia intensiva. Il Paese ha un tasso di vaccinazione inferiore al 50% e la percezione del virus è diversa rispetto a quello che c'è in Italia. Tali elementi, tuttavia, non giustificano in nessun modo il comportamento di Djokovic. E non è certo un aiuto l'atteggiamento del fratello minore Djordje: nella conferenza stampa di lunedì pomeriggio, quando gli hanno chiesto dettagli su questa condotta, non ha risposto e ha dichiarato chiusa la conferenza.
9) Il 22 dicembre 2021, Djokovic si sottopone a un altro test molecolare alle 14.12. Stavolta ci vuole meno per ottenere il risultato: alle 16.15, viene certificata la negatività. Entrambi i test sono stati effettuati presso l'Institute of Public Health of Serbia, i certificati sono reperibili nei documenti della giustizia australiana e presentano un codice QR. Lunedì scorso, il giornalista Ben Rothenberg ha scansionato quello del 16 dicembre e sarebbe risultato negativo. Effettuando la stessa prova sette minuti dopo, torna a risultare positivo.
10) Il 28 dicembre, il primo pannello di medici indipendenti nominati da Tennis Australia, senza sapere che la documentazione appartenesse a Djokovic, approva l'esenzione. A quel punto, la stessa viene inviata al secondo pannello di medici indipendenti dello Stato del Victoria. Anche loro forniscono parere favorevole, così in data 30 dicembre Carolyn Broderick (responsabile medico di Tennis Australia) firma un'esenzione medica valida fino al 16 maggio 2022 (sei mesi dopo il test positivo). Tutto avviene in netto ritardo rispetto alla scadenza del 10 dicembre. Ma il limite era stato sforato anche per Renata Voracova. Nelle sue dichiarazioni giurate, la Broderick informa che i dati sensibili dei richiedenti erano stati oscurati prima di essere consegnati alla prima equipe medica giudicante.
11) Il 1 gennaio 2022, Djokovic fa compilare al suo agente l'Australia Travel Declaration, documento che attesta le intenzioni di viaggio del richiedente. Ottiene risposta: gli dicono che la richiesta soddisfa i requisiti di viaggio. Chiaramente, tale documento non esonera da un attento controllo frontaliero dei documenti di viaggio.
12) Il 2 gennaio 2022, Djokovic ottiene il permesso di viaggio dal Governo del Victoria.
13) Il 4 gennaio, come annunciato tramite i suoi social media, parte dalla Spagna per recarsi in Australia. Fa scalo a Dubai e sale bordo del volo di linea EK408 della compagnia Emirates. Il volo parte alle 3 di notte del 5 gennaio, e dopo circa 13 ore di viaggio e vari fusi orari, giunge a Melbourne intorno alle 23.30.

Alex Hawke, Ministro australiano dell'Immigrazione, ha il potere di espellere Novak Djokovic. Lo eserciterà?

L'ultima novità: nella dichiarazione di viaggio di Djokovic potrebbe esserci una dichiarazione mendace

In aeroporto iniziano i problemi. Come Djokovic informa nella sua dichiarazione giurata, non appena l'aereo è atterrato è stato chiesto a lui e ai suoi accompagnatori di scendere prima degli altri e di produrre il proprio passaporto, che non gli è più stato restituito fino alla sentenza di qualche ora fa. È l'inizio di una notte surreale, con un interrogatorio diviso in tre parti e concluso con la revoca del visto d'ingresso, decisa dal Delegate, un ufficiale di frontiera di nome R. Sudhir. Vi abbiamo già descritto i punti salienti dell'interrogatorio, già segnalati dal ricorso degli avvocati di Djokovic, ma oggi è possibile avere qualche dettaglio in più grazie all'Affidavit di Djokovic e alla trascrizione completa dell'interrogatorio, 30 pagine che vale la pena leggere perché lasciano trasparire il clima di crescente tensione e agitazione. Nella prima parte, Djokovic dice (sbagliando) di aver prodotto documenti del Governo Federale, quando invece aveva in mano quelli prodotti da Tennis Australia e dal Governo del Victoria. L'atteggiamento di Sudhir non è ostile, ma è piuttosto fermo. Nella seconda parte (iniziata alle 3.55), l'ufficiale informa che è iniziata una procedura denominata Notice of Intention to Consider Cancellation (NOICC). Sulla base di questo documento, Djokovic avrebbe avuto 20 minuti per elencare le ragioni secondo cui il visto non avrebbe dovuto essere cancellato. Il serbo va in confusione, chiede ripetutamente di parlare con qualcuno del suo team e si rifiuta di firmare il documento, in cui viene ipotizzata la sussistenza del famigerato articolo 116.1.e.i del Migration Act. La conversazione si fa tesa, Djokovic continua a invocare la necessità di consultarsi con qualcuno e l'assurdità della situazione (“Mi date 20 minuti di tempo alle 4 del mattino quando non ho altro da aggiungere?”).

Secondo l'ufficiale, Djokovic avrebbe violato il Biosecurity Act 2015, nel punto in cui sostiene che un cittadino avrebbe dovuto dimostrare una controindicazione al vaccino COVID, oppure un certificato medico. Secondo Sudhir, Djokovic non avrebbe soddisfatto i requisiti richiesti per ottenere l'agognata esenzione. Intorno alle 5.20, sembra che gli venga concessa qualche ora per riposarsi e poter parlare con il suo agente, Tennis Australia o i suoi avvocati al mattino. Invece viene svegliato intorno alle 6 da due superiori di Sudhir, i quali lo intimano a completare l'interrogatorio. “Hai già detto di non avere nulla da aggiungere” “Sì, ma potrei averlo tra qualche ora” ha replicato lui, salvo poi aggiungere “So che cancellerete il mio visto, è ovvio”. A quel punto, inizia a delinearsi lo scenario del trasferimento in un hotel. Djokovic chiede in che tipo di hotel sarà trasferito in caso di cancellazione del visto. “Non so come si chiama – gli rispondono - è solo un posto, perché se a qualcuno viene rifiutato l'ingresso nel Paese e non lo portiamo in un centro di detenzione per immigrati, immagino che il dpartimento abbia concordato di far soggiornare in quell'hotel le persone a cui è stato rifiutato l'ingresso nel Paese”. La sensazione è che Djokovic non avesse ben chiaro che tipo di destinazione lo aspettasse. La seconda parte dell'interrogatorio termina alle 6.14, la terza scatta alle 7.38 e si chiude con la notifica: “Dopo aver soppesato tutte le informazioni a mia disposizione, ritengo che i motivi per annullare il visto abbiano superato quelli per non annullarlo: il tuo visto è stato cancellato”. Inoltre si chiarisce che la decisione non è annullabile nel merito ai sensi del Migration Act. A quel punto, Djokovic si rifiuta di firmare il verbale e – dopo essere stato affidato a un'altra poliziotta – verrà poi trasferito al Park Hotel di Carlton.

La violazione del diritto di difesa pare sin troppo evidente. E chiaro che il giudice Anthony Kelly non potesse esprimersi in altro modo. Persino l'avvocato della controparte ha ammesso che la decisione di annullare il visto è stata irragionevole. Era abbastanza chiaro che sarebbe andata così anche leggendo le 13 pagine di controdeduzioni del governo australiano. Dopo aver cercato di contestare le conclusioni dei legali “Non ci sono prove che i suoi avvocati avrebbero potuto fare qualcosa nel periodo di tempo che non gli è stato concesso”, hanno dedicato l'ultima parte delle controdeduzioni a sostenere che il governo si sarebbe comunque riservato il diritto di cancellare il visto in virtù dei poteri sovrani. Era abbastanza chiaro che sapessero di andare incontro una sconfitta, così hanno mostrato i muscoli in via preventiva. E così l'avvocato Cristopher Tran – dopo aver alzato bandiera bianca – ha ottenuto che nel dispositivo fosse verbalizzata la seguente frase: “La Corte è stata informata dalla controparte, tramite il suo difensore, che il Ministro dell'Immigrazione può valutare se esercitare il potere personale di revoca del visto a sensi dell'articolo 133C(3) del Migration Act”. Molti hanno sottolineato che il giudice Kelly non è intervenuto sul merito, ma – come evidenziato dalla decisione di Sudhir - non avrebbe potuto farlo. E comunque sarebbe stata una questione molto, molto scivolosa. Tra l'altro, leggendo la decisione dell'ufficiale di frontiera, si nota un fatto curioso: nonostante la decisione, il funzionario segnala diversi punti a sfavore dell'annullamento.
1) Il titolare del visto ha una storia di viaggio regolare, senza prove di non conformità nel rispetto delle condizioni del visto. Quindi attribuisco un certo peso a questo fattore a favore della non cancellazione.
2) Visto che il titolare del visto deve giocare l'Australian Open, ritengo che abbia bisogno impellente di viaggiare in Australia e assegno a questo aspetto un ragionevole peso per non cancellare il visto.
3) Riconosco che la cancellazione del visto comporterà un ragionevole livello di disagi, oltre a difficoltà finanziarie e organizzative. Sulla base di questo, assegno un po' di peso a favore della non cancellazione.
4) Riconosco che la cancellazione del visto lo potrebbe sottoporre al blocco dell'ottenimento di certi visti; che potrebbe esserci il fattore di rischio dell'interesse pubblico; che potrebbe essere soggetto a detenzione e allontanamento dell'Australia. Considero queste possibili conseguenze come significative e assegno un ragionevole peso a favore della non cancellazione.
5) Il titolare del visto ha collaborato per tutto il processo, dunque concedo un po' di peso a questo fattore per la non cancellazione.
Nonostante questi punti, ha scelto ugualmente di cancellarlo, dando priorità a due argomentazioni contrarie: in primis, la violazione del Biosecurity Act, secondo cui avrebbe dovuto dimostrare una chiara controindicazione alla vaccinazione. In secundis, ha ritenuto che la comunicazione esclusiva con Tennis Australia (che gli aveva dato supporto logistico) non fosse un'attenuante per i controlli che lo stesso Djokovic sarebbe stato tenuto a fare.
In piena coscienza e autonomia (anche se Djokovic ha detto di aver avuto l'impressione che le continue interruzioni dell'interrogatorio fossero per consultarsi con un superiore, e che dunque la decisione di Sudhir non fosse del tutto indipendente), ha scelto di comportarsi così.

L'ultima parola spetta ad Hawke: nel momento in cui scriviamo si parla di una decisione rinviata a mercoledì perché vuole studiare con attenzione le carte. Nel frattempo – sempre dopo un tweet di Rothenberg – è spuntata una possibile dichiarazione mendace di Djokovic nella sua dichiarazione di viaggio. Il serbo, infatti, ha sostenuto di non aver viaggiato nei 14 giorni precedenti all'arrivo in Australia. Tale affermazione non è veritiera, poiché lo spostamento da Belgrado a Marbella (laddove ha ultimato la preparazione) è avvenuto certamente dopo il 22 dicembre, giorno del test negativo. Nelle note (che sarebbero state compilate da Tennis Australia) c'è scritto che una dichiarazione mendace costituisce una grave violazione, che potrebbe comportare una sanzione civile o penale. In un clima di forte tensione sociale, questo aspetto (la cui gravità è più formale che sostanziale) potrebbe anche dare ad Hawke la spinta per dare a Djokovic la tanto temuta mazzata: il decreto di espulsione del Paese. Bisognerà attendere ancora qualche ora. Nel frattempo, Djokovic si è allenato di nuovo sulla Rod Laver Arena nel pomeriggio australiano di martedì (a porte chiuse), e si sussurra che il suo allenamento in palestra abbia generato tensioni e silenzi tra gli altri presenti. La saga va avanti. Sembra un film.