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LA STORIA

"Pazi, sveze obojeno" e un bambino di nome Novak

La prima apparizione pubblica di Novak Djokovic fu una mini-intervista in una trasmissione per bambini della TV serba. Come mai invitarono proprio lui? Si era già fatto notare, ma il merito fu di Jelena Gencic. Nel 1999, lo studio della trasmissione fu distrutto dai bombardamenti.

Riccardo Bisti
2 febbraio 2023

Grazie al potere illimitato di Youtube, quel breve scambio di battute è diventato famoso in tutto il mondo. Era il 1994 quando un piccolo Novak Djokovic, 7 anni, fu ospite di una trasmissione della TV serba. E quella frase lì, detta in chiusura, è diventata un mantra. “Voglio diventare il numero 1 del mondo” l'hanno tradotta. In realtà disse “Voglio diventare un campione” (i traduttori di professione assicurano che è questo il significato della parola srvek), ma si sa: mai rovinare una bella storia con la verità. Col passare del tempo, il filmato è diventato una sorta di feticcio. Ma pochi si sono domandati come mai Djokovic potesse apparire sulla TV di stato RTS (Radio Television of Serbia) ad appena 7 anni. Nella settimana in cui celebra la settimana numero 311 da numero 1 al mondo, Sportklub ha svelato i retroscena di quel piccolo pezzo di storia.

Mentre Djokovic raccontava di trascorrere ogni pomeriggio ad allenarsi e poi a fare i compiti, salvo dedicarsi ai giochi d'infanzia solo dopo cena, a poche centinaia di chilometri impazzava la Guerra dei Balcani. In quegli anni, l'economia serba era devastata a causa delle sanzioni internazionali generate dalla guerra. E allora lo sport era un'arma di distrazione, o meglio, di consolazione. Al di là dell'Adriatico, la gente ha sempre amato lo sport. Il tennis non era la disciplina più seguita, ma nel 1991 (anno dello scoppio della guerra) la nazionale jugoslava era in semifinale di Coppa Davis. Nel cuore degli anni 90, con la progressiva disgregazione della Jugoslavia, il Paese di Djokovic era denominato Repubblica Federale di Jugoslavia e comprendeva i territori degli attuali Serbia e Montenegro. In quel lembo di terra, lo sport era lo strumento più efficace per ripristinare l'orgoglio nazionale.

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"Il mio più grande successo? Condividere le vittorie non solo con i miei cari, ma anche con persone che non ho mai incontrato. Persone che si sentono così legate a me da sentirle come qualcosa di proprio” Novak Djokovic

Un piccolo Novak Djokovic ospite della trasmissione "Pazi, sveze obojeno"

A sanzioni revocate, la squadra jugoslava di basket ha vinto i Campionati Europei del 1995: dopo la finale, centinaia di migliaia di persone si riversarono in strada, in una festa spontanea che ha abbracciato le vie più significative di Belgrado. Fu l'inizio di una tradizione: da allora, ogni successo sportivo si celebra nel famoso balcone del Palazzo dell'Assemblea Nazionale. È capitato anche a Djokovic, che nel 2011 ebbe l'onore dopo il primo trionfo a Wimbledon. Oltre 100.000 persone si radunarono in piazza per celebrare il loro eroe. Sono passati 10 anni, ma Nole ricorda quel giorno come uno dei più belli della sua carriera. “Ho sempre sentito il sostegno del popolo serbo, ma fino a quel momento non mi ero reso conto di quanto significasse per la nostra gente. È il mio più grande successo: condividere questo risultato non solo con i miei cari, ma anche con persone che non ho mai incontrato.

Persone che si sentono così legate a me da sentire le mie vittorie come qualcosa di proprio”. L'8 marzo 2021 è stata l'ennesima tappa di un viaggio iniziato 27 anni fa, nel corso della trasmissione per bambini intitolata “Pazi, sveze obojeno” (attenzione, vernice bagnata). Sebbene gli archivi della TV di stato serba dicano che lo spettacolo è stato trasmesso nel 1996, in realtà è andato in onda due anni prima, quando Djokovic aveva sette anni. La trasmissione era condotta da un gruppo di dieci bambini guidati dall'attrice Ivana Despotovic. All'interno del programma c'era un angolo dedicato allo sport: venivano dati i risultati dei vari campionati giovanili e c'era spazio per un ospite, solitamente un giocatore di talento, in rappresentanza della sua disciplina.

Oltre a insegnare tennis e pallamano, Jelena Gencic aveva prodotto alcune trasmissioni per la TV serba. È scomparsa nel 2013
Novak Djokovic ha ricevuto la prima racchetta da tennis nel giorno del suo quarto compleanno

“Aveva vinto tornei di categorie d'età superiori alla sua, quindi era normale che lo chiamassero” dice Igor Beciric, uno dei baby-conduttori, responsabile del segmento sportivo. L'ospitata fu resa possibile da un'altra casualità: tutti sanno che il talento di Djokovic è stato forgiato da Jelena Gencic, vera e propria istituzione del tennis serbo, che in passato aveva seguito Monica Seles, Iva Majoli e Goran Ivanisevic. Fu la prima a intuire che quel bambino aveva qualcosa di speciale, quando lo vide in occasione di un camp a Kopaonik, laddove i genitori di Novak avevano un ristorante-pizzeria. Ma non tutti sanno che era una figura eclettica: aveva giocato a pallamano e, soprattutto, aveva lavorato come regista per RTS, producendo programmi artistici, culturali e per bambini. “Ricordo che Jelena Gencic portava spesso dei giovani atleti in trasmissione – ricorda colui che lo intervistò, Milos Tanskovic – uno di loro era Djokovic. Vent'anni dopo, quell'intervista è diventata un cult”.

Djokovic ricorda spesso quanto sia stato difficile crescere in una Belgrado dilaniata da guerra e bombardamenti. A pagare il prezzo di quegli orrori fu anche Pazi, sveze obojeno: la trasmissione fu bruscamente interrotta nel 1999 a seguito dei bombardamenti NATO, durante i quali fu colpito anche il palazzo della Radio Televisione Serba. Lo studio della trasmissione si trovava nella parte dell'edificio travolta dai bombardamenti. “Da quel che ricordo, la maggior parte degli archivi sono andati distrutti. Per questo non ci sono state repliche” dice Beciric. Il destino, tuttavia, ha voluto che la puntata con Djokovic fosse preservata. “Probabilmente è finita su Youtube grazie a una videocassetta dei genitori di Nole”. Grazie a quel filmato, tutto il mondo sa che già all'epoca il tennis era un obbligo, una sorta di missione. Non certo pun passatempo. “Quando avevo sette anni ho avuto il coraggio di dire a tutti che volevo diventare il migliore. Quel desiderio era così grande da manifestarsi nonostante gli ostacoli e le difficoltà che ho dovuto incontrare”. Eh sì, talvolta le fiabe diventano realtà.