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CASO DJOKOVIC

“Mi spiace interromperla, ma quello che dice non è vero”

Pubblicato il ricorso degli avvocati di Djokovic. È risultato positivo al COVID il 16 dicembre, e ha ottenuto l'esenzione il 30 (fuori tempo massimo?). Il ricorso verte su due punti fondamentali: la legittimità dell'esenzione per un guarito da COVID, e il comportamento degli ufficiali di frontiera.

Riccardo Bisti
8 gennaio 2022

Lo hanno tenuto sotto torchio per una notte intera. Lo hanno svegliato mentre cercava di riposarsi, dicendogli che per lui sarebbe stato meglio continuare ad essere interrogato. Infine, gli hanno cancellato il visto d'ingresso senza che potesse consultarsi con il suo agente o con i suoi avvocati. È l'inquietante scenario che emerge dalla lettura dei 136 punti (spalmati su 35 pagine) della memoria difensiva degli avvocati di Novak Djokovic, base con cui proveranno a ribaltare la decisione del governo australiano. In realtà, il documento fornisce assist a entrambe le fazioni in cui si è divisa l'opinione pubblica: da una parte, chi reclama la massima fermezza e auspica sanzioni esemplari per il serbo; dall'altra, chi sostiene che abbia agito secondo le regole e l'accanimento nei suoi confronti sia ingiustificato. Il punto più controverso, ossigeno per i Torquemada contemporanei, è una data. Il 16 dicembre, infatti, sarebbe risultato positivo al COVID dopo essersi sottoposto a un tampone molecolare. Come è noto, questo tipo di test può richiedere 24 ore (a volte di più) per fornire il risultato. Sarebbe dunque importante capire se il 16 è il giorno del test, oppure quello in cui ha conosciuto l'esito. La questione non è secondaria, perché lo stile di vita di Djokovic in quelle ore non è stato esattamente improntato alla prudenza. Giovedì 16 dicembre ha partecipato alla presentazione dei francobolli in suo onore, coniati dalle poste serbe. Le foto di quel giorno evidenziano l'assenza di mascherine, così come quelle del giorno dopo, presso il suo Novak Tennis Center di Belgrado, in cui ha premiato diversi ragazzini. Sia chiaro: si tratta di indizi e non certo di una pistola fumante a supporto delle tesi colpevoliste, secondo cui l'esenzione è una presa in giro, non aveva il COVID, magari non ha neanche effettuato il test (che è certificato dal Ministero della Salute serbo). Inoltre non esiste alcun obbligo di isolamento in attesa dell'esito di un tampone. Certo, è possibile che Djokovic non stesse benissimo (perché fare il test, sennò?) e dunque possa essere andato in giro con qualche sintomo. Comportamento inopportuno e superficiale, certo, che diventa colpevole visto che il 18 ha effettuato (da positivo?) un servizio fotografico per L'Equipe.

Le tempistiche delle guarigione e dell'ottenimento dell'esenzione, invece, tornano. Basti pensare a Rafael Nadal, positivo il 19 dicembre e recuperato a tempo di record, tanto da aver trascorso il Capodanno in Australia. C'è un altro punto che alimenta le tesi secondo cui Djokovic abbia cercato di aggirare le norme (magari con la complicità di Tennis Australia). In queste ore, è spuntato un documento inviato ai giocatori, in cui si chiarivano le modalità di ottenimento dell'esenzione medica: dovete inviare richiesta e documentazione entro e non oltre il 10 dicembre. È pacifico che la richiesta di Djokovic sia arrivata dopo, ben oltre questo termine. Ma è possibile che l'abbiano inserito per sole ragioni organizzative, e che non rappresenti una regola. In fondo, se un giocatore contrae il virus e guarisce in tempo per il torneo, perché non dovrebbe avere diritto a giocarlo? Ad ogni modo, sarebbe opportuno che Tennis Australia chiarisca se la scadenza era tassativa o una semplice raccomandazione. Quanto alle tesi secondo cui Djokovic non si sarebbe ammalato, e che la positività fosse fasulla e concordata per garantirgli l'esenzione... ci spiace, ma si tratta di complottismo. Peraltro nella stessa misura in cui qualcuno sostiene che lo abbiano preso di mira perché avrebbe bloccato i progetti di business che la compagnia mineraria anglo-australiana Rio Tinto voleva realizzare in Serbia. E allora è opportuno attenersi ai fatti. E i fatti dicono che lo scorso 18 novembre Djokovic ha ottenuto un visto per svolgere attività temporanea in Australia. I quattro avvocati di Djokovic sostengono che l'esenzione temporanea da vaccino sia ottenibile avendo contratto il COVID negli ultimi sei mesi. Su questo punto è doveroso fare un passo indietro. Mentre la stragrande maggioranza dei media sosteneva il contrario, i documenti ufficiali erano chiari in questo senso. Le linee guida di ATAGI (Australian Technical Advisory Group on Immunisation) lo avevano certificato il 26 novembre, e la stessa Tennis Australia – in una comunicazione inviata ai giocatori il 7 dicembre (la stessa in cui veniva menzionata la scadenza del 10) – rimandava allo stesso link ATAGI che Tennis Magazine pubblica sin da quando è iniziata questa vicenda.

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Gli avvocati hanno pesantemente contestato il comportamento degli ufficiali di frontiera, lasciando intendere che sia stato vagamente coercitivo. Al contrario, se Djokovic avesse potuto consultare il suo staff, avrebbero potuto fornire parecchia documentazione.

Lo scorso 7 dicembre, Tennis Australia - nel rispetto delle linee guida ATAGI - informava i giocatori che una recente infezione da COVID avrebbe garantito un'esenzione. Tuttavia, le richieste dovevano pervenire entro il 10 dicembre

Tali linee guida non sono mai state smentite, e la stessa ATAGI le ha ribadite nel documento del 14 dicembre. Eppure – per ragioni che fatichiamo a comprendere – buona parte dei media hanno sbandierato la tesi secondo cui una recente infezione non valesse per ottenere l'esenzione. “Il governo federale l'ha persino comunicato due volte a Tennis Australia, che invece ha taciuto” è stato il mantra letto più volte in questi giorni. In realtà, nelle comunicazioni intercorse tra il Ministero della Salute e Tennis Australia, veniva chiarito ben altro, ovvero che i guariti non erano equiparabili ai vaccinati (come invece accade in diversi Paesi). Ma questo non significa che gli stessi non potessero entrare in Australia con esenzione medica. Su questo grande equivoco semantico si è basata gran parte della comunicazione giornalistica, anche di testate importanti, per sostenere che Djokovic abbia cercato di andare oltre le regole. La questione diventa ancora più complessa se la stessa tesi viene espressa dall'ufficiale di frontiera con cui Djokovic si è confrontato nella notte tra il 5 e il 6 gennaio, presso l'aeroporto di Melbourne. Detto che il 1 gennaio Djokovic ha ricevuto una comunicazione del Dipartimento degli Affari Interni, in cui gli dicevano che aveva soddisfatto i requisiti per un ingresso senza quarantena laddove la giurisdizione lo consente (in Victoria è così), il ricorso degli avvocati di Djokovic punta a sgretolare il comportamento dell'ufficiale di frontiera, denominato Delegate. Il punto 36 del ricorso lascia intendere che l'ufficiale potrebbe aver avuto un condizionamento esterno nel sostenere che una recente malattia da COVID non fosse considerata per ottenere l'esenzione.

L'uso da parte del Delegato della forma passiva nella frase “non è considerato” (considerato da chi?) suggerisce con forza che il Delegato abbia fatto affidamento su informazioni o indicazioni provenienti da un'altra fonte, o da una determinata policy. Tale interferenza è confermata dalla dichiarazione rilasciata dal Rispondente il 5 gennaio 2022, mentre il Sig. Djokovic era in viaggio per l'Australia. Tale affermazione si riferisce in più occasioni ai “severi requisiti di frontiera” e sostiene che le persone non vaccinate possono ottenere le stesse condizioni di viaggio dei vaccinati solo se “forniscono accettabili prove che non possono essere vaccinate per ragioni mediche”. In realtà tale concetto non esiste nella documentazione ufficiale. Per descrivere le condizioni di ingresso in Australia – scrivono gli avvocati - i siti istituzionali rimandano a quattro passaggi in altrettanti siti, la cui ultima destinazione è la guida ATAGI, in cui si prevede espressamente che la malattia contratta negli ultimi sei mesi garantisce una temporanea esenzione medica. “Ma l'interpretazione del Delegato di tale documento è radicalmente errata” (punto 48 del ricorso). Secondo gli avvocati, sarebbe bastato fare una ricerca di 30 secondi su Google (punto 56) per ottenere le risposte necessarie. In effetti è quello che abbiamo fatto noi qualche giorno fa: ci abbiamo impiegato più di 30 secondi, ok, ma in effetti eravamo giunti alle stesse conclusioni espresse dagli avvocati, secondo i quali il Delegato è incappato in un errore giurisdizionale (punto 57). Anche Djokovic si è espresso in questo senso durante l'interrogatorio. Quando gli è stato detto che una precedente infezione da COVID non è contemplata come motivo per l'esenzione, ha detto: “Mi spiace interromperla, ma non è vero”.

Durante la notte trascorsa in aeroporto, Djokovic non ha ottenuto il permesso di comunicare con il suo entourage

La TV australiana fornisce gli ultimi sviluppi del Caso Djokovic

Oltre a menzionare una serie di leggi e articoli, in particolare dell'Immigration Act e del Biosecurity Act australiano, il ricorso effettua una ricostruzione della notte trascorsa in aeroporto da Djokovic, sottolineando come il comportamento degli ufficiali non sia stato corretto e – soprattutto – non gli abbiano permesso di difendersi in modo adeguato. Dopo una prima mezz'ora di interrogatorio (dalle 00.21 alle 00.52), alle 3.55 gli hanno detto che a breve avrebbe ricevuto un avviso di intenzione di cancellazione del visto ai sensi dell'articolo 116 del Migration Act. Tale avviso è effettivamente arrivato alle 4.11, unito alla concessione di ulteriori 20 minuti per fornire spiegazioni. A un certo punto, Djokovic ha chiesto se si potesse attendere fino alle 8 del mattino per avere un po' di riposo e il tempo di consultarsi con i suoi boss (manager e avvocati). Il Delegato gli ha dato l'OK e alle 5.22 ha sospeso l'interrogatorio. “Va benissimo, ho parlato con i miei superiori e loro sono più che felici di permetterti di riposarti”. La verbalizzazione riparte alle 6.07, ma secondo gli avvocati è successo qualcosa in quei 45 minuti, al di fuori della stanza degli interrogatori. Mentre il tennista aspettava su un divano la preparazione di un letto, due superiori del Delegato gli hanno chiesto se avesse intenzione di riposarsi. Lui ha risposto affermativamente, ribadendo che voleva anche parlare con qualcuno del suo team, impossibile da raggiungere a quell'ora visto che stavano tutti dormendo. Gli hanno risposto che non sarebbe stato possibile effettuare nessun appello prima di qualsiasi decisione. Inoltre hanno aggiunto: “Prima viene presa una decisione e meglio sarà per Djokovic e i suoi rappresentanti, perché in caso di non cancellazione potrà entrare a Melbourne. In caso contrario, i suoi avvocati conosceranno la questione e potranno impostare il ricorso”. Djokovic ha insistito, dicendo che avrebbe voluto parlare con qualcuno perché era decisamente confuso. In quel momento lo hanno lasciato solo, accompagnandolo nel letto che nel frattempo era stato preparato nella stanza accanto. Non molto dopo (“Probabilmente intorno alle 6.00”), il delegato e i suoi superiori lo hanno svegliato, ribadendo che era ncessario prendere immediatamente una decisione.

Lui continuava a chiedere di parlare con qualcuno alle 8.30, ma si è sentito dire: “Hai già detto di non avere nulla da aggiungere” (punto 106). A quel punto, il serbo (“Ormai convinto che gli avrebbero cancellato il visto” punto 107) ha accettato di proseguire nell'interrogatorio, immaginando di non avere altra scelta. Il colloquio è terminato alle 6.14 , la decisione è stata presa alle 7.29 e comunicata al diretto interessato alle 7.42. Gli avvocati hanno pesantemente contestato questo comportamento, lasciando intendere che fosse vagamente coercitivo. Al contrario, se gli avessero dato l'opportunità di parlare con i suoi legali (come inizialmente concesso), avrebbero potuto fornire parecchia documentazione.
1) La nota ATAGI secondo cui chi ha avuto il COVID ha un bassissimo rischio di infezione per i 6 mesi successivi.
2) La nota ATAGI che autorizza i guariti ad avere l'esenzione.
3) Informazioni sul processo medico indipendente e anonimo che aveva portato Djokovic all'esenzione.
4) Informazioni sulle conseguenze devastanti che avrebbe avuto la cancellazione del visto.
5) Informazioni sulla sua lunga storia di permanenza in Australia.
6) L'impressionante sproporzione tra i danni che avrebbe avuto e il minuscolo o inesistente rischio per la salute pubblica che avrebbe comportato il suo ingresso in Australia.
I legali di Nole ritengono chiaro che la decisione sia stata presa senza che lui fosse in grado di completare e ultimare le sue risposte, dunque in violazione dell'articolo 124 dello stesso Migration Act. A chiudere, viene poi chiesto al giudice di prendere una decisione il più in fretta possibile perché le tempistiche influiranno sulla possibilità di Djokovic di prepararsi ed eventualmente competere all'Australian Open. Il loro obiettivo è che la decisione venga presa in tempi brevissimi, salvo poi diffondere più tardi le motivazioni. Tra circa 48 ore, si spera, sapremo.