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30 anni fa, l'oro di Pippo Rosset

L'8 agosto non è soltanto il compleanno di Roger Federer. È anche il giorno in cui un tennista svizzero ha vinto l'oro olimpico in singolare. Marc Rosset aveva fatto sci nautico fino al gorno prima, litigò col capo delegazione, gli rubarono gli abiti, fu vittima di un colpo di calore... Ma alla fine vinse lui.

Riccardo Bisti
9 agosto 2022

Forse non è solo nostalgia. C'è stato qualcosa di davvero magico negli anni '90. Decennio di confine tra millenni, ma anche della più grande transizione tecnologica che si ricordi. Iniziato con i telefoni a gettoni, terminato con le prime ADSL, ha lasciato tracce indelebili in chi li ha vissuti. E non c'è da stupirsi che gli abbiano già dedicato libri e documentari. È stato un decennio incredibile anche nello sport, ed è bello – in una giornata anestetizzata dalla pioggia di Montreal – ricordare una delle imprese più strambe nella storia del tennis. Un'impresa che oggi non potrebbe mai più verificarsi, e non solo perché il torneo olimpico è stato brutalizzato, tecnicamente meno valido di un Masters 1000 con l'abolizione del tre su cinque. Dicono che quelle di Barcellona 1992 siano state le ultime Olimpiadi a misura d'uomo. Il Muro di Berlino era già caduto, l'Unione Sovietica si era appena sgretolata, ma c'era ancora una diffusa sensazione di felicità, come se Tangentopoli e la svalutazione della lira non potessero scalfire il benessere costruito nell'opulenza degli anni '80. Tutto sembrava possibile, tranne che Marc Rosset potesse vincere l'oro olimpico in singolare. Figlio di un banchiere ginevrino, sguardo allampanato, tennis potente ma bislacco, non aveva idea di quello che sarebbe successo al Tennis de la Vall d'Hebron, impianto scelto per ospitare il torneo. Tornato ai Giochi dalla porta di servizio nel 1984 (come sport dimostrativo), il tennis aveva vissuto un'edizione così così a Seul, con la vittoria di Miloslav Mecir in finale su Tim Mayotte.

A Barcellona si giocava sulla terra battuta, lentissima, ottima per scoraggiare i bombardieri. Eppure arrivarono tutti: nel tabellone a 64 c'erano più o meno tutti i migliori, a partire dal numero 1 Jim Courier, recente vincitore al Roland Garros. E poi Stefan Edberg, Pete Sampras, Goran Ivanisevic, Boris Becker, Michael Chang, Guy Forget e Michael Stich. Tabellone a 64 giocatori, partite al meglio dei cinque set sin dal primo turno. Rosset era numero 44 del mondo e aveva praticato sci nautico sul Lago di Ginevra fino al giorno prima, oltre ad aver ecceduto con i drink. “Non ho assistito alla cerimonia inaugurale, poi appena visto il tabellone ho pensato che sarei rimasto al massimo cinque giorni, fino al terzo turno contro Courier. Il mio obiettivo era vedere più sport possibili dal vivo”. Invece ha vinto una medaglia d'oro storica, riuscendo laddove anche Roger Federer ha fallito. “È la cosa più bella che ho fatto nella mia vita, non solo nella mia carriera – racconta lo svizzero, oggi 51enne – ancora oggi molti sconosciuti mi fermano per farmi i complimenti, e c'è chi ricorda cosa faceva quel giorno. Anche Federer ha detto che è stata un'ispirazione”. Curiosamente, la finale si è giocata l'8 agosto 1992, giorno dell'undicesimo compleanno di Roger Federer. Come a dire che c'è qualcosa di magico in questa data. Ma c'era anche in quell'Olimpiade, l'ultima prima che gli sponsor banchettassero anche nel braciere olimpico. Come la Coca Cola, che quattro anni dopo “impose” Atlanta come sede al posto di Atene, che avrebbe voluto celebrare il centenario dei Giochi Moderni.

«Il capo delegazione svizzero mi disse che non era sicuro di avere quattro biglietti per i miei amici. Io risposi che non ero sicuro di giocare la finale, visto che mi faceva male la schiena. Magicamente, sono comparsi quattro biglietti. Ed è scomparso il mio mal di schiena»
Marc Rosset
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La cavalcata olimpica di Marc Rosset a Barcellona 1992

Rosset non avrebbe potuto vincere l'oro se si fosse giocato oggi. Già, perché le nuove regole prevedono che gli atleti già eliminati debbano abbandonare il Villaggio Olimpico. Nel 1992, invece, si poteva restare. E così fece Dano Halsall, forte nuotatore svizzero a fine carriera. Impegnato nei 50 stile libero, fallì la finale e arrivò ultimo nella finalina. Però rimase a Barcellona e fece da mentore a Rosset, che era furioso con tutto e con tutti. “Non sopportavo il capo delegazione Renèe Meyer, aveva creato un regime militaresco – dice l'ex Pippo – noi atleti non avevamo la possibilità di andare a vedere gli altri sport. Tutti gli altri comitati davano questa possibilità, la Svizzera no”. Si narra che gli atleti svizzeri avessero i biglietti per eventi secondari come il pentathlon moderno, il tiro con l'arco o il basket femminile. Rosset era furioso, ma Halsall lo tenne buono e andò a seguire ogni sua partita. Dopo aver usufruito del ritiro di Karim Alami al primo turno e rifilato tre set a zero a Wayne Ferreira, negli ottavi ha messo KO Jim Courier con un sorprendente 6-4 6-2 6-1. “Da quel momento in poi, ho giocato il miglior tennis della mia vita e non so perché – racconta – si giocava anche il doppio, faceva molto caldo, fisicamente è stato estenuante...”.

Nei quarti ha pescato Emilio Sanchez, un madrileno nella Catalogna separatista. Ma in nome del sogno olimpico misero da parte le questioni politiche e fecero un gran tifo per Emilio. Si giocò di sera, con un caldo asfissiante. “Su un punto mi sarebbe bastato appoggiare uno smash, invece gli ho tirato addosso – sogghigna Rosset – c'era già un clima da Coppa Davis ma avevo bisogno di adrenalina. All'epoca non c'era la finale per il terzo posto, così vincere quella partita mi avrebbe dato la certezza di una medaglia”. Vinse 6-4 7-6 3-6 7-6, chiudendo 11-9 l'ultimo tie-break. E lasciò il campo scortato dalla polizia, insultato dagli spettatori. In semifinale lasciò poco spazio a Goran Ivanisevic, unica delle prime otto teste di serie ad andare così avanti, salvo poi giocarsi l'oro con il catalano Jordi Arrese, numero 30 ATP, che invece aveva pianificato l'intera stagione per quell'appuntamento. Aveva santificato gli ultimi quattro mesi e mezzo per l'appuntamento olimpico, allenandosi otto ore al giorno con la benedizione dell'amico Carlos Costa, che rinunciò alla partecipazione per lasciare spazio proprio a lui (che si era conquistato la qualficazione a suon di risultati nel 1991, prima che l'ITF cambiasse i regolamenti mettendone a rischio l'eleggibilità).

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In quel magico 1992, Marc Rosset guidò la Svizzera alla finale di Coppa Davis e vinse il doppio al Roland Garros insieme a Jakob Hlasek

La cerimonia del torneo olimpico di Barcellona: senza la tuta della delegazione svizzera, Marc Rosset partecipò con abiti di fortuna

Arrese stava per avere ragione, poiché Rosset fu vittima di un colpo di calore dopo aver vinto i primi due set. Perse il terzo e giocò il quinto in apnea, con il cervello da un'altra parte. “Faceva caldo, ma io avevo freddo soprattutto ai cambi di campo. Quando siamo arrivati 6-6 al quinto, in assenza di tie-break, ero spaventato all'idea di restare in campo”. Invece vinse 8-6, chiudendo con un dritto fulminante salvo poi sdraiarsi sulla terra marrone di Vall d'Hebron. “Quando è finita, il primo pensiero che ho avuto è stato il sollievo di non dover più giocare”. Se avete visto le immagini, ricorderete che durante la premiazione indossava un'improbabile maglietta multicolore. Il motivo lo svela lo stesso Rosset. “Durante la doccia, per la prima volta, mi ero reso conto della portata dell'impresa... ma poi mi accorsi che il guardaroba era vuoto. Mi aveva rubato tutti gli abiti della delegazione, quindi fui costretto a indossare quella maglietta colorata”. Alla sera festeggiò con quattro amici giunti apposta da Ginevra, tra i pochissimi a tifare per lui durante le 5 ore e 3 minuti della finale. “Prima della partita chiesi Meyer quattro biglietti per loro.

Infastidito, mi disse che non era sicuro di avere quattro posti. Io replicati che non ero sicuro di giocare la finale, visto che mi faceva male la schiena. Magicamente, sono comparsi quattro biglietti. Ed è scomparso il mio mal di schiena”. Nel giorno del trentennale, Rosset se la ride. Nessuna celebrazione, giusto qualche intervista, un paio di targhe ricordo e la conferma che la sua medaglia d'oro è al sicuro in cassaforte. Nel frattempo, sia pure con un fisico messo male, ha ripreso a giocare a tennis. “Ma lo faccio con la sinistra, perché è l'unico modo per avere margini di miglioramento. Con i colpi da fondocampo vado bene, ho detto al mio amico Marat Safin che non ho mai avuto un rovescio a due meni così competitivo. Il problema è il servizio, perché non viene spontaneo fare il lancio di palla con la mano non dominante”. Intanto si è tolto la soddisfazione di battere un R4, che per le classifiche svizzere equivale a un 4.4 italiano. Una piccola impresa, ma Pippo (“L'amico spilungone di Topolino, vero? Bravi italiani, mi avete trovato un bel soprannome”) potrà fare ancora meglio, ma rimarrà in eterno l'uomo dell'oro olimpico svizzero in singolare. Laddove anche Roger Federer ha fallito.