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L'INTERVISTA

L'Australia che nessuno ha visto

Andrey Golubev racconta particolarità e stranezze della trasferta australiana. “Potevano comunicare meglio la policy della quarantena: paradossalmente, conveniva risultare positivi. Però è un'esperienza che rifarei”. Triste constatazione: anche a Melbourne hanno chiuso molte imprese.
Riccardo Bisti
26 febbraio 2021

Credo che sia bello raccontare i dettagli di quello che è successo, anche perché non tutto è emerso pubblicamente. E non penso che un'esperienza del genere si ripeterà”. Andrey Golubev continua a sorprendere per la sua proprietà di linguaggio. Pur provenendo dalla Russia, parla un italiano migliore di tanti madrelingua. E dice cose ben più interessanti. “Non credo valga la pena discutere troppo di Djokovic e di quello che si è visto in campo”. Non pone neanche l'accento sull'ottima performance in doppio: in coppia con Alexander Bublik ha colto il terzo turno, togliendosi lo sfizio di battere i numeri 1 al mondo Cabal-Farah. Russo di nascita, piemontese d'adozione e kazako di passaporto, parla più volentieri delle sfumature umane del suo primo Slam dopo quattro anni. Lo Slam delle quarantene, dell'isolamento, del pubblico che c'è, poi non c'è, infine ricompare. Uno Slam che – si spera – non si vivrà più con queste modalità. “Nella prima settimana dell'anno ho giocato ad Antalya, dunque il mio viaggio è partito da lì – racconta Golubev dalla sua stanza d'albergo a Montpellier, dove attendeva l'esito dell'ennesimo tampone – l'avvicinamento è stato particolarmente teso. Ci hanno detto che i voli charter per Melbourne sarebbero partiti da Dubai, Los Angeles e Singapore.

Io ho scelto Dubai. Inoltre si poteva segnalare l'aeroporto di partenza e da lì si poteva creare l'itinerario. Una volta arrivati ad Antalya, si è scoperto che c'era un volo charter per Doha, da dove avremmo proseguito per Melbourne. C'erano più voli di quelli annunciati: per intenderci, chi aveva giocato a Delray Beach aveva un charter per Los Angeles. Insomma, si poteva partire dalla sede dell'ultimo torneo giocato”. Con una maxi-spesa, Tennis Australia ha organizzato ben 17 voli per il contingente tennistico. “Ma non era facile trovare posto, perché ogni aereo si poteva riempire al massimo al 20%. Per intenderci, il posto mi è stato confermato ad appena 36 ore dal decollo. Sono stato più fortunato di Matteo Berrettini: ad Antalya c'era anche lui ma non ha ricevuto conferma, quindi ha preso un volo di linea fino a Dubai e da lì si è imbarcato sul charter per Melbourne”. Da Doha (sede delle qualificazioni maschili) sono partiti tre charter: Golubev è stato fortunato perché ha evitato quello con positivi a bordo, i cui passeggeri sono stati costretti a 14 giorni di lockdown duro. “Per fortuna sono salito sul precedente. Il viaggio è stato fantastico: a bordo c'erano solo tennisti e il servizio era eccezionale. Potevamo portare ben 60 chili di bagaglio e il cibo era da business class anche se volavi in economy”.

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"Sono stato a Melbourne tredici volte e posso dire che almeno un terzo delle imprese hanno chiuso: è facile parlare di sicurezza quando si hanno le spalle coperte, ma la gente ci ha rimesso. Io frequento un ristorante, solitamente era pieno: quest'anno c'era un decimo della gente"
Andrey Golubev
Nonostante le difficoltà ambientali, Bublik-Golubev hanno giocato un ottimo Australian Open

I problemi sono arrivati all'atterraggio, soprattutto per chi si trovava in un volo con positivi a bordo. Sul punto, Golubev pensa che ci sia stato qualche problema di comunicazione. “Ci avevano detto che in aereo ci sarebbe stato il giusto distanziamento, e che in caso di positività ci sarebbe stata la quarantena solo per chi si trovava vicino agli infetti. Invece è toccata a tutti passeggeri: credo che non ci sia stata chiarezza”. Diversi giocatori si sono lamentati: con una comunicazione più trasparente – hanno detto – ci avrebbero pensato due volte prima di imbarcarsi. Golubev pensa che la verità stia nel mezzo. “Sin da dicembre, le conference call con Craig Tiley erano incentrate su questo argomento. Si parlava di quarantena, di allenamenti, di cosa sarebbe successo se un'atleta fosse risultato positivo. Non ha mai detto che tutti i passeggeri di un aereo infetto sarebbero finiti in quarantena. Si è limitato a dire che la decisione sarebbe stata dell'Health Officer australiano. Per correttezza, devo dire che l'ex doppista Andre Sa, che oggi lavora per Tennis Australia, sostiene che Tiley sia stato più chiaro nei colloqui con il Player Council”.

Insomma: pur ammettendo che la responsabilità politica non era di Tennis Australia, Andrey riconosce che è mancata un po' di trasparenza. “Non credo che Tiley non sapesse cosa sarebbe successo”. Tuttavia, non gli sono piaciute le lamentele di alcuni colleghi. “Ho trovato sbagliati alcuni sfoghi. Ok, forse qualcuno non sarebbe andato, ma solo tra i big: quanti possono permettersi di rinunciare a 100.000 dollari? Per una cifra del genere, io sarei stato disposto a stare rinchiuso per un mese. Certe cifre ti permettono di mantenerti anche per un paio d'anni. Non credo sia corretto disprezzare il denaro. Ho trovato più giuste le parole di John Isner: ha ammesso che non sarebbe riuscito a stare un mese e mezzo lontano dalla famiglia”. Le parole di Golubev sono incentrate sul pragmatismo. “È facile criticare col senno di poi, ma sono convinto che chi si è lamentato ci avrebbe pensato bene prima di rinunciare. Non è facile ignorare una cifra così importante. Pochi si possono permettere di snobbare 100.000 dollari. E comunque capisco la posizione di Tiley: gli Slam fanno i salti mortali per giocarsi: hanno ottime ragioni economiche per farlo. Al suo posto credo che mi sarei comportato più o meno come lui: con questa piccola omissione si è garantito il miglior campo di partecipazione possibile”.

I tennisti hanno trovato una Melbourne surreale, con molti addetti (non solo medici) vestiti da "Chernobyl"

“Perché questa differenza tra ATP e Challenger?”

La vita dei tennisti è ormai scandita dai ritmi dettati dal COVID, tra test obbligatori e limitazioni di vario genere. Tuttavia, Golubev ha notato una differenza di rigidità nei protocolli tra i tornei ATP e i Challenger. “Nel circuito ATP c'è molta più attenzione: una volta superati i controlli devi muoverti all'interno di una bolla, con l'obbligo di cenare in camera o al massimo nel ristorante dell'hotel. Al contrario, nei Challenger puoi andare dove vuoi. Ok, ogni giocatore viene testato due volte, al lunedì e al giovedì, ma se qualcuno vuole andare a farsi un giro, mangiare al bar o in un ristorante, lo può fare. Non capisco il perché di queste differenze, poiché anche i Challenger sono sotto l'egida ATP”.

Tra i vari successi in doppio, Andrey Golubev ne vanta uno su Djokovic-Zimonjic in Coppa Davis

Parlando di quanto vissuto a Melbourne, il kazako utilizza un paio di volte il termine Chernobyl. Lo fa per indicare l'abbigliamento del personale – non solo medico – che i tennisti hanno trovato all'arrivo. Erano avvolti in tute anti-COVID. “Durante la quarantena ci hanno trattato come appestati: devo dire che molti cittadini australiani non approvano questo atteggiamento. Parlando con l'autista che ci portava ai campi, ha detto che una buona metà degli australiani è stufa di queste regole. Le mie parole sono state confermate dalle scene durante la premiazione: quando la presidentessa di Tennis Australia ha parlato di vaccini e ha ringraziato il governo del Victoria, è partita una pioggia di fischi. Non mi pare che gli australiani siano troppo felici...”. La quarantena era gestita interamente dal governo, con i giocatori divisi in tre hotel. In base all'albergo, era stabilita anche la sede di allenamento. “Io stavo al Grand Hyatt e potevo allenarmi a Melbourne Park, nella zona tra i campi 5 e 15”. I quattordici giorni lockdown sono stati particolarmente duri: a ogni piano dell'hotel c'erano due persone, il cui compito era accertarsi che le porte delle abitazioni restassero sempre chiuse. Ogni sera, i tennisti venivano avvisati via mail sul programma del giorno successivo. “Le cinque ore di libertà scattavano non appena mettevamo piede fuori dalla stanza – continua Golubev – una volta arrivati al piano terra trovavamo asciugamani, gel disinfettante e ci caricavano in macchina.

Oltre all'autista, nel tragitto c'era anche un'altra persona, una sorta di guardiano COVID. All'arrivo, un altro addetto ci portava al campo, in palestra e alla mensa. Non eravamo mai lasciati soli, neanche per un minuto. Al ritorno, la procedura era identica”. La vita in hotel non era malvagia: colazione, pranzo e cena venivano consegnati in camera. Inoltre c'era la possibilità di ordinare cibo da asporto. “Il menù era a scelta, lo definirei discreto. Da quel punto di vista non mi lamento”. Ma se Golubev poteva uscire, la vita è stata ben più complicata per chi ha vissuto la quarantena dura. “Conosco bene Elena Rybakina e il suo coach, costretti all'isolamento totale. Ma sono state vittime di una situazione assurda: avrebbero dovuto essere liberati il 29 gennaio, invece il governo ha voluto aspettare la mezzanotte del 30. Dodici ore in più perfettamente inutili. Per questo, una volta finita la quarantena, hanno organizzato un allenamento in piena notte”.

Senza entrare nel merito di positività vere o presunte, Golubev segnala un'incoerenza: chi risultava positivo, ma asintomatico, doveva restare in isolamento per 10 giorni, poi veniva lasciato libero senza neanche essere testato. Al contrario, i contatti di positivi (sia pur negativi ai test, che peraltro si effettuavano tutti i giorni) erano bloccati per 14 giorni. “A conti fatti, conveniva essere positivi...” sospira Andrey. Va però detto che i protocolli erano stabiliti dal governo, senza che Tennis Australia potesse intervenire. “Mi sembra che in Australia stiano esagerando con le misure di sicurezza. Quando c'è stato il caso di positività al Grand Hyatt ci hanno bloccati per un giorno. Non aveva senso, perché era impossibile che si fosse contagiato con un tennista: le restrizioni erano troppo rigide”. Più in generale, anche se l'Australia ha ridotto all'osso il numero di casi, la situazione nel Paese non è delle migliori. Il lockdown prolungato ha messo in ginocchio tante attività, proprio come è accaduto da noi. “Sono stato a Melbourne tredici volte e posso dire che almeno un terzo delle imprese hanno chiuso – dice Golubev – è facile parlare di sicurezza quando si hanno le spalle coperte, ma la gente ci ha rimesso. Io frequento un ristorante, solitamente era pieno: quest'anno c'era un decimo della gente. E ho sentito dire da molte persone che non ce la fanno. Le catene erano tutte chiuse, anche diversi hotel hanno cessato l'attività... Non sono state scene piacevoli”.

Nonostante le mille difficoltà, Golubev rifarebbe l'esperienza. “Sempre meglio così che non giocare” ammette, pur ricordando che da inizio pandemia si è sottoposto a una montagna di tamponi, esperienza non sempre piacevole. Anzi, a seconda del Paese vengono svolti con modalità diverse. “Quest'anno i campi dell'Australian Open erano rapidissimi, direi di ghiaccio. Forse fanno così per allungare le carriere a Federer e Serena Williams. Per quanto mi riguarda sono soddisfatto: il risultato mi porterà a ridosso dei top-70 della classifica di doppio, anche se non potrò giocare sempre con Bublik: non è facile fare coppia con un singolarista, le cui priorità sono diverse. Per esempio, questa settimana lui è a Singapore mentre io ho giocato a Montpellier con Hugo Nys. Conosco la sua programmazione: quando sarà possibile ed entreremo in tabellone, certamente giocheremo insieme”. Al netto delle difficoltà oggettive, è un buon momento per Golubev. Già numero 33 ATP in singolare, nonché vincitore del torneo di Amburgo nel 2010, sembra essersi costruito lo spazio per una seconda parte di carriera decisamente interessante. Ma il suo spirito d'osservazione fa pensare che non avrà problemi a trovare un impiego di qualità dopo il ritiro. E non è detto che sia necessariamente nel tennis.