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DJOKOVIC DAY

The Greatest of All Time

Cresciuto in mezzo alle montagne durante la guerra, Novak Djokovic non ha avuto le stesse possibilità degli occidentali. Ma ha inseguito i suoi sogni e li ha saputi realizzare, sbranando una rivalità che sembrava inscalfibile (Nadal-Federer). Il più complesso studio mai effettuato sul GOAT lo colloca in quarta posizione, ma tra qualche anno lo premierà. E allora...

Riccardo Bisti
2 febbraio 2023

La scena si può collocare sul finire degli anni '90. Dopo aver radunato la famiglia, Srdjan Djokovic ha sbattuto sul tavolo una banconota da dieci marchi tedeschi, esclamando: “È tutto quello che ci è rimasto”. Magari non diceva il vero, ma sono ricordi potenti. Momenti che non si dimenticano. La differenza tra Novak Djokovic e i suoi più grandi rivali è antica e parte da qui, dall'estrazione sociale. Rafael Nadal proviene dalla ricca borghesia spagnola ed è nipote di un grande calciatore del Barcellona; Roger Federer era figlio di un dirigente di una casa farmaceutica (la stessa per cui lavorava la madre), dunque ha potuto dedicarsi al tennis senza troppe rinunce. D'altra parte è cresciuto respirando l'aria del torneo di Basilea, distante pochi minuti di bicicletta da casa sua. Il background di Djokovic è diverso: non è cresciuto tra gli stenti, ma la ex Jugoslavia è stata crivellata dalla storia negli anni della sua formazione.

Prima la Guerra dei Balcani, poi i bombardamenti NATO. Quando aveva due anni e mezzo, la famiglia si è trasferita da Belgrado alle montagne di Kopaonik, laddove hanno aperto il celeberrimo ristorante e un business di attrezzature sportive. Lì è nata la passione di Novak per il tennis. “Mentre costruivamo un campo davanti al ristorante, lui portava cibo e bevande agli operai – racconta papà Srdjan – ho notato l'amore nei suoi occhi quando vedeva il campo, allora gli ho comprato una racchetta colorata con una pallina di spugna”. Vivere in un contesto così particolare, lontano – ma consapevole – dagli orrori della guerra, ha sviluppato la sua sensibilità sin da bambino. Una volta, lo zio voleva regalargli una giacca ma il piccolo Nole rifiutò: “Se la dai a me, non potrai venderla”. Quando la nonna paterna fu colpita a un tumore alle ossa, lui si avvicinava con dolcezza, le chiedeva dove le facesse male e la massaggiava.

PLAY IT BOX
Niki Pilic: “Perché non me l'hai mandato prima?”.
Jelena Gencic: “Perché ti saresti preso tutti i meriti”

Un piccolo Novak Djokovic svolge le sue prime lezioni tra le montagne di Kopaonik

La prima a rendersi conto del suo incredibile talento fu Jelena Gencic (già scopritrice di Monica Seles e Goran Ivanisevic). Fu l'inizio di una storia ormai nota, anche perchè ben documentata da filmati che hanno resistito fino ai giorni nostri. Dopo soli tre giorni di conoscenza, lo definì bambino d'oro. Qualche tempo dopo, lui dichiarò che avrebbe voluto diventare un campione durante una trasmissione per bambini della TV serba. Per lei non fu semplice convincerlo a rinunciare al rovescio a una mano del suo idolo Pete Sampras: aveva capito, la Gencic, che il tennis stava andando in una certa direzione e dunque era meglio affidarsi alla soluzione bimane. A parte le intuizioni della maestra, per lui era già difficile uscire dalle montagne di Kopaonik, figurarsi dalla Serbia. “Nessuno ci voleva aiutare, ho dovuto fare tutto da solo – ha ringhiato il padre in tempi non sospetti – per dieci anni c'ero solo io accanto a lui. Ovunque andassimo, tutti gli altri avevano coach o fisioterapista. Tutti, tranne noi. Io sono stato allo stesso tempo padre, madre, allenatore e fisioterapista di Novak. Avevo grande pressione, ho dovuto prendere decisioni difficili”. Tra queste, qualche richiesta d'aiuto agli strozzini e un enorme dispendio di energie che gli hanno impedito di trasmettere la stessa forza ai fratelli minori Marko e Djordje. A suo dire avevano una base genetica altrettanto buona, ma Novak aveva prosciugato la sua linfa vitale.

Durante i 78 giorni di bombardamenti NATO sulla Serbia, il duo Djokovic-Gencic sceglieva di allenarsi in luoghi che erano già stati colpiti: secondo loro era meno probabile che fossero attaccati di nuovo. Ma lei era ormai in età da pensione e scelse, per la prima volta, di utilizzare le sue conoscenze ed esporre il suo gioiellino. Chiamò la leggenda Niki Pilic, che all'epoca gestiva una fortunata accademia a Oberschleissheim, nei pressi di Monaco di Baviera. Pilic non accettava ragazzi sotto i 14 anni, ma dopo il provino con Djokovic si rivolse alla Gencic. Era infuriato.
“Perché non me l'hai mandato prima?”
“Perché ti saresti preso tutti i meriti”
In quegli anni conobbe giocatori con il quale avrebbe condiviso momenti importanti. A Monaco c'era Ernests Gulbis, figlio di un miliardario lèttone, che rimase impressionato dalla professionalità e la dedizione di Djokovic. Come a dire che la fame può fare miracoli. Nei primi tornei internazionali conobbe un moccioso scozzese nato sette giorni prima di lui: Andy Murray. I due sono diventati amici veri, forti di ricordi che restano vivi per sempre. Una volta andarono insieme a un torneo internazionale a Livorno e trascorsero tutto il tempo a giocare a pallone, sotto gli occhi sgomenti di Srdjan Djokovic e Judy Murray, che all'epoca era l'ombra del figlio.

Novak Djokovic ha fatto in tempo a portare a Jelena Gencic il suo primo trofeo di Wimbledon. La sua storica maestra sarebbe scomparsa tre anni dopo

La famosa canzone di Luca Barbarossa descrive le paure di chi sta "Al di qua del muro". Paure che Novak Djokovic non ha avuto tempo di conoscere

22 trionfi Slam dopo, la storia più antica di Djokovic torna utile per comprendere la sua rabbia interiore. Una caratteristica che permette di andare oltre i propri limiti, oltre a formare convinzioni spesso esagerate. Le posizioni estreme di Novak sono ben note. Non è la sede per parlarne. Ma se fossimo nati al di là della Cortina di Ferro, siamo certi, risulterebbero più comprensibili. E forse papà Srdjan non ha tutti i torti quando sostiene che l'occidente non ha mai digerito in pieno i successi del figlio. Si è espresso in modo eccessivo, talvolta volgare, ma per la mentalità e i costumi occidentali è difficile accettare che un background del genere possa produrre uno dei più grandi tennisti di sempre. Come se la suddivisione del mondo in due aree abbia segnato un confine.
Al di qua del muro si può, al di là no.
Sebbene Djokovic abbia un legame stretto e vivace con l'Italia, non sappiamo se conosca Luca Barbarossa. Era il 1989 quando usciva la canzone Al di là del muro, in cui il cantautore romano descriveva l'atavica paura di andare oltre, di esplorare lo sconosciuto, simboleggiata da un muro.

Ecco, Djokovic viene dall'altra parte del muro. E non ha mai conosciuto certe paure.
Come nel 2006, quando affrontò per la prima volta Rafael Nadal. Erano i quarti di finale del Roland Garros, aveva da poco smesso di lavorare con Riccardo Piatti e in tribuna c'era uno spettatore interessato: Marian Vajda. Il tecnico slovacco voleva capire se fosse il caso di investire su quel 19enne. Il ricordo è cruciale, non tanto per il risultato (Nole si ritirò dopo aver perso i primi due set), ma perché in conferenza stampa disse che era in controllo della partita. E che aveva perso solo per il problema respiratorio che l'aveva obbligato ad alzare bandiera bianca. Lo dissero a Nadal, che rise sotto i baffi. Come rise il pubblico televisivo quando le telecamere di France TV inquadrarono le calzature del serbo. Nike aveva già fornito allo spagnolo un paio di scarpe con scritto Vamos Rafa. All'epoca Novak Djokovic vestiva Adidas, ma non aveva nulla di personalizzato. E così scrisse Vamos Nole a pennarello. Oggi il problema è ampiamente risolto con le calzature Asics, fide compagne della sua elasticità atletica.
Quel giorno del 2006 ridacchiavano tutti tranne uno: Toni Nadal. Un anno prima gli era capitato di vedere alcuni game di un match di Djokovic a Wimbledon. Gli bastarono pochi minuti per convincerlo ad andare dal nipote e dirgli: “Rafa, abbiamo un problema”.

Quell'esclamazione diventerà maggiorenne tra pochi mesi, ma la storia ha già elaborato un bel po' di verdetti: i due hanno vinto 22 Slam a testa e si sono affrontati 59 volte (30-29 per il serbo). Manca la sentenza definitiva, quella che non coinvolge solo Novak e Rafa, ma anche Roger Federer e tutti gli altri protagonisti di quasi 150 anni di tennis. La sentenza sul GOAT, Greatest of All Time, il dibattito più difficile – forse utopico – e per questo più affascinante di tutti.
In assenza di una risposta certa, ognuno può dire la sua senza particolari timori di smentite.
Consapevoli che la risposta certa potrebbe non arrivare mai, e di quanto sia complicato paragonare atleti di epoche diverse, dobbiamo prendere atto che l'argomento torna di prepotente attualità ogni volta che Novak e Rafa (e Federer, fino a qualche anno fa) intascano un grande titolo. E allora è divertente infilarsi nel tema aiutandoci con il miglior lavoro mai pubblicato sull'argomento, peraltro giunto a compimento soltanto qualche settimana fa. Il temerario (un po' folle...) che si è lanciato nell'avventura è Jeff Sackmann, titolare del sito-cult Tennis Abstract, miniera d'oro per gli addetti ai lavori in virtù di un database impressionante e la possibilità di scorporare le carriere dei giocatori in modo ben più dettagliato rispetto alle fonti ufficiali. Circa un anno fa, Sackmann ha annunciato il suo progetto: stilare una classifica unisex dei più grandi di sempre, utilizzando un criterio il più possibile oggettivo. Non pretende di fornire la verità assoluta, ma ritiene di aver trovato il sistema più adatto per avvicinarla.

Per stilare la classifica dei migliori 128 di sempre (o meglio, dal 1919 a oggi: non ne abbiano a male William Renshaw, Norman Brookes e Tony Wilding) ha creato un algoritmo che tiene conto (e combina) tre fattori:
- Il picco della carriera di un giocatore (il suo anno migliore)
- I suoi migliori cinque anni
- L'intera carriera
Ciascuna stagione viene valutata tramite un adattamento tennistico dell'ELO Rating, celeberrimo sistema comparativo che prende il nome dal suo creatore, il professore di fisica Arpad Elo. Nato originariamente per gli scacchi, è stato poi utilizzato per diverse discipline sportive. E il tennis si adatta perfettamente. L'ELO di ogni giocatore è stabilito esclusivamente dagli scontri diretti: il punteggio sale e scende in base al valore dell'avversario. Per intenderci, battere Nadal conferisce un valore molto più alto che superare (con tutto il rispetto) Roberto Carballes Baena o Enzo Couacaud, primi due avversari di Djokovic a Melbourne. Allo stesso tempo, una sconfitta contro Rafa è molto meno grave che perdere contro un carneade. Partendo da un punteggio-base di 1.500 punti (1.200 per chi frequenta Challenger e ITF), Sackmann ha valutato l'ELO Rating di centinaia di giocatori e lo ha inserito nei criteri sopra citati. Al netto di critiche alle quali ha risposto in modo più o meno convincente (mettere uomini e donne nella stessa classifica, conferire un valore esclusivamente sulla base dell'avversario senza tenere conto dell'importanza della partita), ci ha accompagnato per tutto il 2022 con un appassionante countdown in cui è partito dalla 128esima posizione, fino a rivelarci il suo GOAT lo scorso dicembre. L'algoritmo Sackmann ha conferito il titolo di Greatest a Rod Laver, seguito da Steffi Graf, Martina Navratilova e Novak Djokovic. Poco dopo si trovano Roger Federer (quinto) e Rafael Nadal (ottavo).

Uno splendido film sull'eterna rivalità tra Novak Djokovic e Rafael Nadal

Il podcast sulla classifica All Time di Tennis Abstract

In questo podcast, l'autore dell'articolo riflette sulla classifica GOAT stilata da Tennis Abstract insieme a chi l'ha seguita lungo tutto il suo svolgimento. CLICCA QUI Per abbonarti a TENNIS TIME (il podcast di Riccardo Bisti con Dario Castaldo e Luca Brancher) 

Le più lunghe strisce di vittorie consecutive contro i top-10 ATP. Djokovic detiene cinque delle prime dieci. La più lunga è di Roger Federer, però...

Ci sono tanti parametri nei quali Djokovic è già il migliore, ma è interessante capire se abbia la chance di scavalcare chi gli sta davanti. Secondo Sackmann, la missione non è impossibile: avrebbe bisogno di una stagione super (con due titoli Slam e almeno un grande piazzamento), oppure due molto buone. Andando più in profondità, si intuisce che è quasi impossibile superare il suo picco ELO (2.470, ottenuto nel 2016, anno in cui ha detenuto per un breve periodo tutti i quattro Slam) ed è decisamente complicato mettere insieme una stagione da inserire tra le migliori cinque. Motivo? Per raggiungere ELO altissimi ha bisogno di battere avversari con ELO altrettanto importanti. La fase di transizione che sta vivendo il tennis attuale ha creato una carenza importante in questo senso (in parole povere, non ci sono più i Federer e i Nadal di un tempo), quindi anche una stagione quasi perfetta potrebbe essere insufficiente a raggiungere cifre straordinarie. E allora potrebbero essere necessarie più stagioni di qualità per comandare una classifica che – sia pure con tanti limiti – è apprezzabile e potrebbe mettere d'accordo tutti, anche quell'occidente che guarda i suoi successi con diffidenza, se non con sospetto. E va da sé che superare chi gli sta davanti vorrebbe dire battere (anche) quei record che ancora gli mancano (Slam, partite e tornei vinti). Su Tennis Abstract c'è tantissimo materiale per approfondire.

Noi ci sentiamo di dire che il bottino attuale è già sufficiente per dire che Novak Djokovic è, forse, il più grande di sempre. Graf e Navratilova sono donne ed è giusto collocarle in una classifica rosa, mentre la posizione di Laver è interessante perché l'ELO ha ridato dignità alle sue stagioni da professionista, in cui il suo palmares è stato pesantemente condizionato dall'impossibilità di giocare gli Slam (ne ha vinti soltanto undici). Ma la storia non può dimenticare le sue sfide (spesso vincenti) con le leggende dell'epoca. Su tutti quel Ken Rosewall che ha consegnato – sotto i suoi occhi, e nello stadio a lui intitolato – il Norman Brookes Trophy nelle mani di Djokovic, lo scorso 29 gennaio. Laver e Rosewall si sono affrontati 163 volte, con ovvi effetti benefici per i rispettivi ELO.
Ma se è tremendamente difficile paragonare atleti di epoche diverse, è ben più facile farlo tra contemporanei. In questo senso, l'ELO Rating è uno strumento validissimo, forse dirimente. E ci racconta che Novak Djokovic è già superiore a Rafael Nadal e Roger Federer. Lo dicono anche numeri meno elaborati (e nemmeno troppo noti) rispetto agli algoritmi appena raccontati: il bilancio contro i top-5 e contro i top-10 ATP. Per quanto i numeri siano molto simili (soprattutto negli scontri contro i top-5), Djokovic vanta una percentuale vittorie-sconfitte migliore rispetto ai suoi due grandi rivali. E se Roger Federer detiene il primato di vittorie consecutive contro i primi dieci (24 partite), ci sono due fattori che ridimensionano questo dato a favore di Djokovic. Da un lato, il serbo detiene ben cinque delle dieci strisce più lunghe di questo tipo (le restanti sono così suddivise: due Federer, due Nadal, una Sampras); dall'altro, la striscia record di Federer è stata favorita da un piccolo-grande dettaglio: si è snodata tra le ATP Finals 2003 e l'Australian Open 2005, dunque in assenza di Nadal e Djokovic.

IL BILANCIO DEI BIG THREE CONTRO I TOP-10

VS top-10
Novak Djokovic 243-107 (69,43%)
Rafael Nadal 186-102 (64,58%)
Roger Federer 224-123 (64,55%)

VS top-5
Novak Djokovic 115-74 (60,84%)
Rafael Nadal 93-61 (60,39%)
Roger Federer 104-75 (58,10%)

C'è poi un altro aspetto che va oltre i numeri. Rispondendo alla lettera di una lettrice, il noto giornalista del Corriere della Sera Aldo Cazzullo ha sostenuto che Federer sia il più bello, Nadal il più grande, Djokovic il più forte. Detto che i concetti di bello e grande sono preda di soggettività e gusti personali, il serbo ha compiuto un'impresa mai successa nella storia del tennis: è riuscito a infilarsi in una rivalità perfetta e prendersi il suo spazio a suon di spallate (leggasi risultati). Per motivi diversi, non era mai accaduto che un duopolio fosse scardinato in questo modo. In un certo senso, Djokovic è riuscito laddove aveva fallito Fiorenzo Magni, immenso ciclista degli anni '40 e '50. L'avevano soprannominato Il Terzo Uomo perché provava – con coraggio – a insidiare Fausto Coppi e Gino Bartali. Qualche volta ce l'ha fatta, intascando tre Giri d'Italia e diventando il Leone delle Fiandre grazie a tre successi nella classicissima belga. Ma non è mai riuscito a diventare più forte dei suoi contemporanei.

Aveva un coraggio impressionante. Nel 1956 giunse secondo al Giro d'Italia con una spalla fratturata: riuscì ad arrivare in fondo stringendo tra i denti una camera d'aria per contenere l'immenso dolore. Un'impresa storica, a cui non possono essere paragonati i due Australian Open vinti da Djokovic con uno strappo addominale (2021) e uno alla gamba sinistra (2023). Ma Djokovic è riuscito laddove Magni aveva fallito. E tra qualche anno (infortuni a parte) anche gli algoritmi lo stabiliranno, oltre ogni ragionevole dubbio. E potrà ringraziare se stesso: tanti anni fa, ancora ragazzino, quando si allenava presso il Tennis Club Partizan di Belgrado, gli si avvicinò un anziano.
“Perché fai 20 minuti di stretching prima e dopo ogni allenamento?”
“Perché ogni volta che lo faccio allungo di un giorno la mia carriera”.
Questo è Novak Djokovic.