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CIRCUITO ATP

Taylor Fritz vuole essere il migliore

Archiviata la delusione di Wimbledon, Taylor Fritz è ripartito (bene) da Washington. Sul breve termine vuole il Masters, ma a lui non interessa essere il numero 1 d'America: vuole essere il migliore di tutti. “Se mi ritirassi oggi, sarei insoddisfatto della mia carriera. Ho ancora molto da dare”. 

Riccardo Bisti
4 agosto 2022

Prendersi qualche settimana di pausa era giusto. In questo caso, doveroso. Taylor Fritz aveva bisogno di tempo per smaltire la tremenda delusione di Wimbledon, quando ha buttato via un posto in semifinale perdendo contro un Nadal a mezzo servizio. Certe sconfitte lasciano scorie particolarmente pesanti. Ha dunque fatto bene a sparire per un po' dai radar. Ma è anche uno che sa incassare piuttosto bene le delusioni. Ricomparso al Citi Open di Washington, ha esordito con un buon successo (6-4 6-3) contro Alexei Popyrin. Un successo dal doppio significato: da un lato, ha confermato di essersi messo alle spalle la botta londinese. Dall'altro, ha ripreso la marcia per l'obiettivo di fine anno: un posto alle ATP Finals di Torino. Non c'è dubbio che il 2022 sia la miglior stagione di sempre per il nativo di Rancho Santa Fe. Si è aggiudicato il Masters 1000 di Indian Wells, era giunto negli ottavi in Australia e Wimbledon, beh, ve lo abbiamo raccontato. Risultati apparentemente straordinari per un 24enne che prima di allora aveva vinto appena due titoli. A quasi 20 anni dall'ultimo titolo Slam per un uomo americano (Andy Roddick, Us Open 2003), da quelle parti si sono quasi rassegnati a una nuova dimensione.

Vorrebbero ritrovare almeno una parvenza di grandezza, quando il tennis era una questione quasi privata per gli americani. Ma queste cose, a Fritz, non interessano. Lui ha un solo obiettivo: vincere. “Avere qualche giovane interessante può certamente aiutare lo sviluppo del tennis negli Stati Uniti, ma onestamente sono focalizzato sui miei obiettivi personali – ha detto, una volta arrivato al Rock Creek Park Tennis Center – ho bramato per tutta la vita di diventare un top-10, quindi a me interessa soprattutto quello”. Come dargli torto: il tennis è uno sport individuale, e un giocatore non è tenuto a pensare alla salute collettiva della disciplina. Sarebbe meglio se lo facesse, ma non va incolpato se pensa solo a se stesso. “So bene che gli americani sono abituati a essere i migliori in tutto” dice l'uomo che vorrebbe stoppare un digiuno iniziato quando lui aveva appena sei anni. “Credo proprio che tante persone abbiano visto la mia partita contro Nadal a Wimbledon, anche non appassionati di tennis – continua – c'era un americano di cui non avevano mai sentito parlare, contro una leggenda che conoscevano fin troppo bene. Mi rendo conto che è il tipo di partita che piace agli americani”.

«Se mi ritirassi oggi, sarei insoddisfatto della mia carriera»
Taylor Fritz
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Lo scorso marzo, Taylor Fritz si è aggiudicato il suo titolo più importante vincendo a Indian Wells

Ma quando lasciava il Centre Court, i suoi occhi non brillavano di patriottismo. Fritz non gioca con una bandana a stelle e strisce come faceva David Wheaton, e non si presenta in campo con l'iconica giacchetta del team di Coppa Davis, antico vezzo di John McEnroe Pensava al fatto di aver perso un'enorme occasione per giocare la sua prima semifinale Slam. “Se mi ritirassi oggi, credo che sarei piuttosto deluso della mia carriera – dice Taylor l'ambizioso – ho ancora molti miglioramenti da fare, e sento che diventerò un tennista molto più forte”. Proprio per questo ha scelto di presentarsi ugualmente a Washington nonostante non sia al 100%: non tutti sanno che al Roland Garros si è procurato una frattura da stress al piede sinistro, che peraltro lo ha condizionato anche a Wimbledon. Ma non c'è tempo per piangersi addosso o cercare scuse: Taylor sa che ogni torneo è una chance per vincere partite e salire in classifica.

Tuttavia, non lo fa per destare l'attenzione degli americani. A lui interessa la grandezza, così come agli altri americani della sua generazione: Reilly Opelka, Tommy Paul e Frances Tiafoe. Fuori dal campo sono grandi amici, ma in campo c'è competizione feroce. E hanno la mentalità giusta: il loro obiettivo non è essere il migliore americano. Loro puntano a essere i migliori e basta. Per Fritz, lo status di numero 1 degli Stares non ha na grosso valore. Non è un traguardo banale, ma raggiungere i top-10 e vincere uno Slam è decisamente più intrigante. La pensa così anche Reilly Opelka:”Non mi interessa sapere quanti americani ci sono tra i top-50. Va benissimo avere dei connazionali, ma sono decisamente più motivato da giocatori come Daniil Medvedev e Stefanos Tsitsipas” ha detto il gigante del Michigan, che con Paul e lo stesso Fritz forma un trio di amici sin dall'adolescenza.

ASICS

Finale tutta americana al Roland Garros junior 2015: Tommy Paul batte Taylor Fritz

Settembre 2019: Fritz si lamenta del trattamento riservato al tennis dalla trasmissione "Sports Center"

Ma torniamo a Fritz: per quanto non aspiri a essere il salvatore della patria, si sta rendendo conto della sua popolarità. Per esempio, quando gioca ad alcuni videogames su Twitch, il numero di persone che lo seguono è via via più grande. E tutto sommato ha la consapevolezza della scarsa popolarità del tennis presso gli americani. Era il 2019 quando ha pubblicato un tweet in cui rimproverava Sports Center, il popolare programma di intrattenimento su ESPN, per non dare il giusto spazio al tennis. Dopo aver scritto che gli highlights dello Us Open erano stati quasi oscurati dalle altre discipline, aggiunse che la stragrande maggioranza degli appassionati lo guarda perché “è in cerca di conoscenze e informazioni sportive, quindi vorrei che il tennis fosse raccontato un po' meglio e con più passione. Aiuterebbe davvero a farlo crescere”. Proprio per questo, ha accettato di essere uno dei volti dell'atteso documentario Netflix che racconterà un anno di vita nel circuito mondiale, cercando di imitare il successo avuto da Formula 1: Drive to Survive, il quale ha contribuito in modo decisivo ad aumentare il numero degli appassionati di automobilismo.

“Le telecamere mi sono sempre alle calcagna – ha detto Fritz – in alcuni passaggi potrei sembrare presuntuoso, ma in modo molto scherzoso. Non ho nascosto nulla, ho cercato di essere me stesso il più possibile”. Per il risultato dobbiamo aspettare ancora qualche mese, ma per lui tutto passa in secondo piano quando deve impugnare la sua Head. D'altra parte, non è la notorietà a fargli vincere le partite (anzi, quella può pure essere dannosa), ma il suo lavoro fuori e dentro dal campo. Per questo ha assunto un gran lavoratore come Michael Russell nelle vesti di coach, per farsi aiutare a essere finalmente soddisfatto della sua carriera. Taylor vuole essere il migliore, se poi l'America gli andrà dietro... tanto meglio. “Da bambino pensavo che tutto questo sarebbe stato una follia... quindi è bello guardare al passato e rendermi conto di dove sono arrivato. Però ho ancora molto, molto da fare”. A partire da oggi, quando sfiderà Daniel Evans. Un altro mattoncino per edificare una casa molto, molto grande.