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LA STORIA

One Photo, One Story: Boris Becker Hecht

La curiosa storia dietro la celeberrima foto della volèe in tuffo di Becker durante la finale di Wimbledon 1985. L'ha scattata Rudiger Schrader, spedito a Londra dalla DPA dopo il successo di Boris al Queen's. Finì con immortalarne il trionfo, anche grazie a uno scatto effettuato d'istinto, proprio come quella volèe. Dopo aver cambiato obiettivo alla fotocamera.

Riccardo Bisti
10 luglio 2020

Il tennis ha vissuto parecchi momenti spartiacque. Uno dei più importanti riguarda Wimbledon 1985, primo dei tre titoli di Boris Becker. Il tedesco aveva appena 17 anni e portò la potenza sfrenata nel nostro sport, soprattutto grazie a un servizio devastante. Le rotazioni di Borg, i tocchi di McEnroe, la solidità di Lendl e l'intensità di Connors parvero all'improvviso vecchi, superati. Ma c'è un paradosso: una foto, più di altre, simboleggia quel passaggio rivoluzionario. Una foto che non racconta la potenza di Bum Bum. Uno scatto impresso negli occhi di ciascun appassionato. Durante la finale contro Kevin Curren, il tedesco si protende in tuffo e riesce ad arpionare la palla bianca e rimandarla di là. È l'immagine qui sopra. Se non l'avete mai vista, l'unica spiegazione può essere anagrafica. Dietro questa foto c'è una vicenda affascinante. Una bella storia, raccontata direttamente da chi l'ha scattata. Quel 7 luglio 1985, Rudiger Schrader aveva 28 anni. Prima di allora non aveva seguito neanche un torneo di tennis. Ma ancora prima della rivoluzione pacifica che avrebbe fatto cadere il Muro di Berlino, la Germania stava facendo irruzione nel mondo del tennis. Il 1 aprile 1985, Schrader era stato nominato capo fotografo da DPA, la più importante agenzia di stampa tedesca. Aveva iniziato a lavorare a tutto spiano, così pensò di concedersi qualche giorno di vacanza sul finire di giugno. Invece ricevette una telefonata.

Signor Schrader, prenda le sua cose e vada a Londra”. Era il 17 giugno 1985, un lunedì. A chiamarlo, il caporedattore. “Abbiamo già fatto richiesta di accredito. Vivrai con i con i colleghi della DPA, alla sera potrai lavorare alle tue foto nei loro uffici londinesi”. Fino ad allora, Schrader aveva fotografato tre edizioni delle Olimpiadi, due Mondiali di Calcio e altrettanti Europei. Ma non era mai stato a Wimbledon. “Giusto ieri, un giovane tedesco di nome Boris Becker ha vinto al Queen's, torneo di preparazione. Dobbiamo tenerlo d'occhio. Tu resterai a Londra fino a quando non sarà eliminato”. Gli disse anche di fotografare tutti i giocatori tedeschi e una certa Stefanie Graf, altra giovane (molto) promettente. “Però si dimenticò, o forse non mi disse di proposito, che il corrispondente DPA viveva nel nord di Londra, mentre Wimbledon è all'estremità sud della città – racconta oggi Schrader – inoltre gli uffici di AP, a quel tempo, si trovavano a Fleet Street, in pieno centro. Questo mi avrebbe portato via molto tempo. Ho messo piede a Wimbledon il 19 giugno e andai subito a cercare Becker su un campo laterale”. Al termine dell'allenamento si presentò al clan: il coach Gunther Bosch, il manager Ion Tiriac e il diretto interessato. “Posso restare fino a quando rimani in gara. Non ho mai fotografato una finale di Wimbledon” gli disse. “Farò del mio meglio” rispose Becker, stringendogli la mano.

Wimbledon ricorda il primo titolo di Boris Becker

"Giusto ieri, un giovane tedesco di nome Boris Becker ha vinto al Queen's, torneo di preparazione. Dobbiamo tenerlo d'occhio. Tu resterai a Londra fino a quando non sarà eliminato"

Diciotto giorni dopo, erano entrambi sul Centre Court. Becker in campo, Schrader nella buca dei fotografi. “Dopo i quarti, la DPA mi disse che sarei rimasto fino alla fine a prescindere dall'esito: secondo loro, le mie foto erano troppo belle. Fino ad allora, avevo immortalato ogni singolo movimento di Becker”. Aveva avuto modo di conoscerlo, anche se ha trascorso ancor più tempo con il suo entourage. “Ion Tiriac era una persona affabile e affascinante. Siamo rimasti in contatto anche negli anni successivi”. Il 7 luglio 1985 avrebbe dovuto lavorare ancora più in fretta per spedire le immagini ai giornali. Poiché avrebbe scattato centinaia di foto durante la premiazione, voleva distinguersi dai colleghi inventandosi qualcosa. “Se vuoi un'immagine diversa di Boris rispetto ai semplice servizio, dritto, rovescio, devi agire ora” disse tra sé e sé. Dopo un cambio di campo, afferrò una delle sue tre fotocamere, una Nikon F3 con l'obiettivo da 180 millimetri. Ne aveva altre due, rispettivamente da 300 e 600.

Generalmente lo seguivo con una 600 mm, mentre i miei colleghi usavano le 400. Mi imposi nel mantenere la 180 e puntare il centro del campo in previsione di una sua discesa a rete. Una fotocamera reflex analogica ha un momento di blackout: quando scatti, lo specchio si alza, l'otturatore scorre da sinistra a destra alla velocità impostata e lo specchio si ribalta di nuovo. In quella frazione di secondo non vedi nulla”. In questo lasso di tempo, un obiettivo lungo perde la messa a fuoco. “Dunque bisogna anticipare il momento. Quando Becker ha tirato il colpo, ho scattato mentre giravo istintivamente l'obiettivo. Quando è tornata l'immagine, era di nuovo sfuocato. Capii subito che avevo colto l'attimo. E l'esperienza mi suggeriva che l'immagine sarebbe stata nitida. Non avrei potuto cogliere quell'immagine con un altro obiettivo. Faceva caldo, c'erano 40 gradi, ma sono rimasto scioccato per minuti. Con la pelle d'oca, ho seguito il resto della giornata in trance, scattando immagini di routine”.

"Ho scoperto che la foto era venuta bene soltanto due giorni dopo, quando lo sviluppatore Jurgen Durrwald mi chiamò con entusiasmo: aveva appena visionato le diapositive" Rudiger Schrader

Boris Becker bacia per il trofeo di Wimbledon... su richiesta di Schrader
La finale di Wimbledon 1985, (quasi) integrale, raccontata dalla TV tedesca

Non era mica come oggi, che si possono scattare decine di foto prima di scegliere la migliore, magari per pubblicarla su Instagram. No, all'epoca bisognava passare dalla camera oscura prima di apprezzare il risultato del proprio lavoro. “Ritrovai un po' di lucidità al momento della premiazione. Boris guardò verso di me e gli chiesi di baciare la coppa. Lo fece. Quanto alla foto della volèe, ho scoperto che era venuta bene soltanto due giorni dopo, quando lo sviluppatore Jurgen Durrwald mi chiamò con entusiasmo: aveva appena visionato le diapositive”. Quel semplice scatto gli ha dato popolarità eterna, al punto che viene citato anche nella sua pagina Wikipedia. L'immagine è passata alla storia come Boris Becker Hecht. Oggi può riderci sopra, anche se il lavoro gli fu pagato solo a fine anno.

Il suo ultimo incrocio con il tennis risale al dicembre 1988, pochi giorni prima di lasciare DPA per passare alla rivista Stern (poi avrebbe lavorato quasi 20 anni per Focus). “Anche in quel caso c'era Becker: fu la vittoria in Coppa Davis contro la Svezia, a Stoccolma. Il punto decisivo arrivò grazie al doppio con Eric Jelen. Ho fotografato Boris mentre lo lanciava per aria. Becker ha dovuto lottare duramente per mantenere una forma accettabile durante la sua carriera. Vederlo oggi, dopo le operazioni all'anca, fa capire il prezzo che ha dovuto pagare per il suo movimento al servizio, le continue discese a rete, i tuffi. La sua forza di volontà lo ha tenuto tra i migliori ben più a lungo di quanto il suo corpo gli avrebbe permesso. E le sue espressioni hanno fatto la fortuna di tanti fotografi”. Soltanto Rudiger Schrader, tuttavia, ha immortalato quell'attimo. Regalandoci un'immagine passata alla storia.