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LA STORIA

Il libanese a cui non hanno sparato

Il secondo tentativo sembra quello giusto. Hady Habib aveva provato a fare il professionista già nel 2018, ma dopo un anno aveva scelto di tornare all'Università. Con una laurea in tasca, ha già vinto quattro titoli ITF e non si pone limiti. Per dare una gioia al Paese che ha scelto di rappresentare.

Riccardo Bisti
15 febbraio 2022

Un lembo di terra tra Siria e Israele, noto per guerre e tensioni, sia politiche che religiose. Continui fatti di cronaca. E poi, il soprannome del personaggio di Romanzo Criminale, citato persino in una canzone di Fabri Fibra. Da qualsiasi prospettiva lo si guardi, il Libano è visto come un Paese difficile, pericoloso. Impensabile che possa far crescere un atleta di alto di livello, a maggior ragione in uno sport complicato come il tennis. In effetti Hady Habib si è formato negli Stati Uniti, ma agli atti rimane un dato, certo e inconfutabile: ha iniziato a giocare presso il Mtayleb Country Club di Beirut, capitale del suo Paese d'origine. Prima gli avevano fatto praticare nuoto e basket, ma col tennis è stato amore a prima vista. Si dice che 9 anni sia un po' tardino per iniziare a giocare, ma lui ha fatto progressi rapidi e costanti. Fino a concedersi una chiacchierata con i genitori: “Vuoi davvero fare il tennista?” gli hanno domandato. “Nessun dubbio” ha risposto lui. Così sono tornati negli Stati Uniti, laddove Hady era nato il 21 agosto 1998. Aveva trascorso i primi anni della sua vita a Houston, poi avevano ripiegato su Beirut. Ma diventare un giocatore in Libano era complicato, se non altro perché il Paese ha conquistato la miseria di 4 medaglie (due argenti e due bronzi) nell'intera storia olimpica.

E così sono volati in California, prima che la IMG Academy di Bradenton notasse il suo talento, offrendogli una borsa di studio. Si è dunque spostato in Florida, laddove ha potuto conoscere il personaggio più famoso che abbia mai incontrato: Kei Nishikori. Ha avuto una buona carriera junior, in cui è entrato tra i top-100 ITF e giocato lo Us Open, perdendo contro Denis Shapovalov. Era il 2015 e scelse di abbandonare i tornei giovanili con un anno d'anticipo, un po' come fece Jannik Sinner. Tornò a Houston per allenarsi presso l'accademia di Sammy Giammalva (ex top-20 ATP negli anni '80), dopodiché sono arrivate una serie di proposte dalle università americane. L'ambiente del college non è più considerato un ripiego alla carriera professionistica: sempre più giocatori si tuffano nel circuito dopo aver completato gli studi. La recente finale di Danielle Collins all'Australian Open è solo l'ultimo esempio di un percorso sempre più battuto, non solo dagli americani. Nella sua carriera universitaria, Habib ricorda di aver fronteggiato Cameron Norrie e fatto amicizia con Arthut Rinderknech. Loro hanno sfondato, lui pensa di fare altrettanto.

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«Ho imparato a gestire la vita nel circuito. Ho trovato la mia routine, tengo traccia dei miei progressi e mi sembra che funzioni» 
Hady Habib
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L'avventura di Habib alla Texas A&M University si è conclusa lo scorso maggio con la laurea e la leadership nella classifica NCAA

Il suo percorso, tuttavia, ha una particolarità: dopo l'anno da matricola, si è preso un anno sabbatico (da quelle parti lo chiamano redshirt) per provare a fare il professionista. Messa in cantina la divisa marrone della Texas A&M University (la quarta più grande degli Stati Uniti), ha provato a tuffarsi nel circuito dopo aver esordito in Coppa Davis con il suo Libano. Non era andata malissimo, aveva vinto anche un torneo ITF in Tunisia, ma dopo un po' ha cambiato idea. “Mi sono esaurito dopo diversi mesi trascorsi in solitudine. Avevo bisogno di una guida, svilupparmi nel mio gioco e soprattutto laurearmi”. E così è tornato a Houston, riprendendo gli studi in management sportivo. È andata benissimo: pergamena in tasca e grandi risultati sul campo, fino a diventare numero 1 NCAA poco prima di lasciare il college. “È stato un grande onore, perché non era mai successo che un rappresentante della mia Università arrivasse a tanto – racconta – inoltre il livello tennistico è sempre più alto, oltre ad essere allenante per la pressione: si gioca a squadre, con tanto pubblico, dunque mi sono abituato a fronteggiare diversi scenari”.

Dopo essersi costruito la corazza, è ripartito a caccia di un sogno. Da maggio 2021 a oggi si è aggiudicato quattro titoli ITF e nel giorno di San Valentino ha festeggiato il best ranking, al numero 427 ATP. Portrebbe bastare per mettere il naso nei primi Challenger, almeno nelle qualificazioni, ma lui vuole di più: ha provato a bussare alla federtennis emiratina, nella speranza di ottenere una wild card per il torneo ATP di Dubai. In fondo si è fatto notare lo scorso dicembre, quando si è aggiudicato l'Arab Elite: si tratta di una competizione riservata ai giocatori di matrice araba, ospitato dalla filiale della Rafa Nadal Academy in Kuwait. Accreditato della seconda testa di serie, ha battuto in finale il n.1 Malek Jaziri, vera e propria icona del tennis arabo. È stata una gran battaglia, vinta 4-6 7-6 11-9. Come omaggio, è stato premiato da Ons Jabeur, prima giocatrice araba a entrare tra le top-10. “Che è una grande fonte di ispirazione – racconta Habib – poi è stato speciale giocare per il Libano, c'erano tanti connazionali che mi hanno sostenuto ed erano orgogliosi di me”.

Coriandoli e fotografi hanno accompagnato il successo di Habib all'Arab Elite dello scorso dicembre

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Lo scorso 6 febbraio, Hady Habib ha vinto un torneo ITF in Egitto, battendo in finale Lukas Rosol

Negli ultimi dieci anni, il tennis arabo al maschile è stato sorretto da Jaziri e Mohamed Safwat. “Mi è capitato di incontrare quest'ultimo in Egitto e mi ha dato consigli molto preziosi – dice il libanese – è una persona fantastica e mi ispira per la sua tenacia: non si arrende nonostante la difficoltà a ottenre un visto per lasciare l'Egitto”. Per questa ragione Safwat viaggia spesso da solo, proprio come Habib. Ma adesso non gli pesa più. “Il segreto è essere disciplinato, prendersi cura di sé, recuperare e riposare bene tra un match e l'altro, oltre a restare in contatto con la famiglia per non bruciare troppe energie nervose” racconta. Il circuito ITF non è necessariamente un inferno, ma il problema è trascorrere tante settimane di fila negli stessi posti. Alcune città sono diventate famose per il gran numero di tornei che ospitano: Monastir, Antalya, Sharm El Sheikh... “Ma si tratta di un passaggio necessario, tutti lo devono fare” dice Habib, che ha vinto proprio a Sharm il suo ultimo titolo.

In finale ha battuto nientemeno che Lukas Rosol, l'uomo che dieci anni fa causò una delle più grandi sorprese del 21esimo secolo, battendo Rafael Nadal a Wimbledon. “Un successo che mi ha dato una grande fiducia: ricordo bene la sua vittoria contro Nadal. Affrontarlo è stato un piacere, figurarsi batterlo. Non ha più il livello di un tempo, ma ha grande esperienza e sa cosa fare sul campo. È stata una grande vittoria”. Il ceco ha fatto tesoro della lezione e qualche giorno dopo si è preso la rivincita, sempre a Sharm El Sheikh. Ma il libanese non si abbatte, ormai abituato a un routine molto diversa rispetto a quella del college, laddove aveva a disposizione allenatori, fisioterapisti, compagni, sparring e giocava con un buon pubblico. “Ma adesso ho imparato a gestire anche la vita nel circuito – conclude – ho trovato la mia routine, tengo traccia dei miei progressi e mi sembra che funzioni”. Tra qualche giorno scopriremo se Dubai sancirà il suo ingresso nel circuito ATP. Lui ci spera, sin da quando ha scelto di giocare per il Libano nonostante il doppio passaporto. “Mi fa ridere quando me lo chiedono: non mi interessa quello che il Paese sta attraversando. Io sono orgoglioso di essere libanese”. E così sia.