The Club: Bola Padel Roma
QUARTA CATEGORIA

Brontolo, Mister Lob, Il Pirata...

Nei tornei di Quarta Categoria succede di incontrare avversari di ogni genere: chi si lamenta da quando arriva negli spogliatoi, chi è un po' accecato quando deve giudicare se una palla ha toccato la riga, chi non smette di crederci anche quando l'avversario è inarrivabile. E anche tra le donne....

Corrado Erba
20 luglio 2020

Nel corso della mia (discutibile) carriera di tennista di quarta categoria (ma non potevano trovare una dizione migliore? Giocatore di quarta categoria non suona troppo male?), ho incontrato una serie disparata di bizzarri e multiformi avversari, più impegnati nell’acrobatica ricerca di una scusa alla ramata appena colpita o alla discussione sulla palla atterrata graziosamente due spanne dentro, piuttosto che al gioco in se stesso. Ho voluto riassumere una piccola galleria di questi personaggi. E se vi riconoscerete in uno di questi, sappiate che non è pura coincidenza.

Paolo detto Brontolo: lo vedo in giro da anni, è un pericolo pubblico, il suo sport preferito è il lamento, preferibilmente a voce alta con un tono stridulo. Già negli spogliatoi inizierà con una sequela di improperi rivolti alternativamente alle docce («Troppo calde, troppo fredde»), alle panche («Troppo dure, troppo morbide»), fino al colore dei muri («Sembra una scuola media fatiscente»). Prima di entrare ti chiederà la classifica, poi dopo uno (dico uno) scambio, a voce altissima urlerà: «Ecco, proprio il 4.3 più forte di tutto il tabellone ho beccato!».  Attaccherà poi la solfa della terra battuta «troppo secca, troppo rossa, troppo umida» e del vento di tramontana che spira sempre alle sue spalle, allungando la traiettoria dei suoi colpi fino a farli uscire dalle righe. È cosi abituato a lamentarsi, che una volta, all’ennesima «che terra schifosa, che sole fastidioso, che vento di m…», l‘avversario gli ha fatto notare che giocavano sul cemento indoor! 

Lo sport preferito di Paolo detto Brontolo è il lamento. Prima di entrare ti chiederà la classifica, poi dopo uno (dico uno) scambio, urlerà: «Ecco, proprio il 4.3 più forte di tutto il tabellone ho beccato!»

Un altro bel tipo è Silvio, detto Mister Lob, un omino dall’età imprecisata con una forte somiglianza con Mister Magoo. Si presenta ai tornei con una vecchia Lancia Fulvia e arriva con le racchette intabarrate dentro una borsa da calcio Tepa Sport, i pantaloni della tuta tipo pigiama con le calze infilate dentro, d’inverno, calzoncini Fila anni 70 e maglietta con la scritta Brooklyn, chi ama brucia! d’estate. Prima di giocare ti racconta dei suoi tre interventi all’anca, della protesi, degli attacchi di gotta e sospira «Eh, una volta sì che giocavo bene»; poi si cosparge interamente di un unguento canforato puzzolente. Nessuno gli concede mai un po' di credito, ma fate attenzione perché è il pallettaro più superbo che si conosca, furbo come una volpe, onesto come una moneta truccata. Durante il riscaldamento sfoggerà una serie di palle sbeccate e diseguali, atte a mettere fuori palla chiunque, quindi dal primo punto alzerà candeloni altissimi che fanno perdere la pazienza anche ai santi. Conosce più trucchi dei professionisti delle tre carte e una volta accertato che la schiacciata dell’avversario era dentro due metri, l’ho sentito chiamare il giudice arbitro invocando un'invasione sotto rete: «Ma se ho smecciato da fondo campo», ha replicato allibito l’avversario. Non vi dico il cognome, ma se vi viene in mente chi può essere, cercate i suoi risultati su Tennistalker: la metà delle vittorie sono per ritiro dell’avversario dopo pochi giochi.

Un altro grande è Piero detto Il Maestro. Nella vita dice (lui) di fare il maestro FIT, sfoggia una classifica invidiabile da terza categoria, colpi pulitissimi, rovesci impeccabili, volate di alta scuola. Tutto questo in palleggio. L’ho visto giocare tante volte, vincere mai. Dopo i primi giochi, inevitabilmente persi, inizia a guardare l’avversario con aria di sufficienza, a giocare colpi sotto le gambe, tweener e quando (per sbaglio) gliene viene uno, si rivolge verso il pubblico con un’espressione tipo: «Hai visto? Sono troppo forte». Quando lo incrocio al termine del solito 2-6 2-6 contro un 4.4, scuote sempre la testa: «Eh, ho la sindrome maestro-allievo».

Schultz invece, è un italo-tedesco che è iscritto nel mio club. Lui non gioca a tennis, il suo sport preferito è arbitrare (la propria partita): «Tu detto out?», chiederà inizialmente, e quando gli spiegherete che siete solo in palleggio pre-match, ti guarderà con un'espressione tipo: «Tu solito italiano, furbo, pizza e mandolino». Insomma, il tempo medio per giocare un set solitamente è un'ora e un quarto, dato che viene dalla tua parte a controllare il segno di ogni sua palla chiamata out: «Vedi questo segno? - gli disse una volta un avversario - È la tua palla sul telone». Lui si limitò ad annuire dubbioso. Adesso ha cambiato circolo, perfino i maestri trovavano scuse per rifiutargli un'oretta.

Silvio, detto Mister Lob, si presenta ai tornei con una vecchia Lancia Fulvia e le racchette intabarrate dentro una borsa da calcio Tepa Sport, i pantaloni della tuta tipo pigiama con le calze infilate dentro, calzoncini Fila anni 70 e maglietta con la scritta Brooklyn, chi ama brucia!. Prima di giocare ti racconta dei suoi tre interventi all’anca, della protesi, degli attacchi di gotta e sospira «Eh, una volta sì che giocavo bene»

Giacomo invece, detto Il Pirata, è un eroe. Ha un'età indefinita, gioca con un vecchio completo Nike di Sampras e una bandana sulla pelata. Ritiene che il gioco da fondocampo non sia contemplato, dunque prova a fare solo serve and volley su prima e seconda palla e chip and charge sul servizio dell’avversario. Il problema è che ha un servizio lentissimo, una sorta di palombella che disorienta gli avversari; quindi si piazza sulla rete e si tuffa. Si tuffa su qualsiasi superficie, con le ginocchia perennemente rattoppate, i gomiti rabberciati, ferite ovunque. Al termine dei match, i vestiti sono zuppi di sangue e terra rossa. Un eroe, appunto. «Crederci sempre» è il suo diktat. Dopo una sanguinosa sconfitta 1-6 0-6 contro un forte terza di sedici anni, l’ho visto a bordo campo scuotere la testa: «Se gli strappavo il servizio nel primo game, era fatta!», ripeteva. L’anno che, dopo una lunga rincorsa durata 27 tornei, è finalmente salito 4.1, gli amici gli hanno regalato un'ora a Gavardo, sui campi in erba naturale. Era felice come un bambino.

E veniamo così alla Giuliana, soave come una vecchia zia, l’aria inoffensiva stile Nonna Papera, copre le giovani avversarie di complimenti sin dall’entrata in campo («Ma come sei carina, che belle gambe, avercene di ragazze educate come te»). Poi, appena inizia la partita, segue una trasformazione stile Misery non deve morire: il viso si trasfigura in una maschera spaventosa, i gemiti diventano urla, i vezzosi complimenti tipo «bel colpo, mio piccolo tesoro» diventano «che c... che hai piccola t...etta». Le palle out diventano in, quelle in inevitabilmente out. Se le bambine aprono bocca, vengono letteralmente divelte dalle occhiatacce delle signora. Il più delle volte, le Martine Hingis in fieri escono tra le lacrime; allora la Giuliana ridiventa materna e inoffensiva: «Oh, sarà stata l’emozione!» sussurra mentre le accompagna fuori dal campo. «A questa le ho rubato anche le mutande» mi ha detto una volta, facendo l’occhiolino.