The Club: Bola Padel Roma
IL PERSONAGGIO

Djokovic tira dritto: “Rifarei l'Adria Tour. E non mi sento in colpa per i contagi”

Dalla sua casa in affitto a New York, il serbo respinge buona parte delle critiche per la discussa esibizione, in cui si erano registrati diversi contagi. “Avevo le migliori intenzioni possibili, e credo che nonostante tutto sia valsa la pena. Abbiamo rispettato le leggi, anche se capisco che da fuori potesse sembrare strano. Io colpevole? Come si può accusare solo una persona?”

Riccardo Bisti
22 agosto 2020

Novak Djokovic ha fatto quello che molti tennisti non possono permettersi: affittare una casa a New York. Ci rimarrà fino a quando resterà in gara allo Us Open, pur rispettando le norme di sicurezza. Lontano dal traffico, in un contesto di assoluta tranquillità, ha effettuato un'intervista (in remoto, obviously) con il New York Times. Un'intervista che farà discutere. “È una benedizione trovarmi in un contesto simile, perché ho visto dove alloggiano gli altri giocatori. Non voglio sembrare arrogante, perché conosco gli sforzi compiuti dalla USTA, però immagino che per i giocatori non sia facile trovarsi in una stanza d'hotel”. Lui, al contrario, può permettersi di sdraiarsi in giardino e prendere il sole. C'è un paradosso: Djokovic era stato tra i più pignoli con la USTA, chiedendo garanzie e tutele per i giocatori. Ma alla fine, a New York c'è andato. Altri hanno fatto scelte diverse. Sul piano tecnico, il suo 2020 è ancora immacolato. 18 partite, 18 vittorie. Ha guidato la Serbia a vincere l'ATP Cup, si è imposto all'Australian Open e ha vinto anche a Dubai. Nel periodo di stop, tuttavia, la sua immagine è stata duramente colpita dallo svolgimento dell'Adria Tour. Mentre i casi di COVID-19 aumentavano esponenzialmente, lui organizzava un evento senza alcuna precauzione. E tanti hanno preso il virus, Djokovic compreso. A scandalizzare era stato l'atteggiamento dei partecipanti. Partite di basket, di calcio, serate in discoteca. Tutto legale, almeno in Serbia, ma inopportuno.

“Eravamo animati dalle migliori intenzioni – dice Djokovic – è vero, alcune cose si potevano fare diversamente, ma sarò biasimato in eterno per aver commesso un errore? Se sarà così dovrò accettarlo, ma non posso fare altro. Le intenzioni erano corrette. E lo ripeto: se avessi la possibilità di rifare l'Adria Tour... sì, lo rifarei”. Dall'esterno, sembrava tutto folle. I casi di positività (tra gli altri Dimitrov, Coric, Troicki e lo stesso Goran Ivanisevic) sono stati la logica conseguenza dell'assenza di misure di sicurezza: stadio pieno, mascherine non obbligatorie, abbracci, balli. “Le cose si potevano fare diversamente in discoteca, ma gli sponsor si erano organizzati così. Ci hanno invitati e ci hanno fatto sentire a nostro agio. L'evento ha avuto successo ed eravamo tutti felici”. Qualche giorno dopo, la felicità si è tramutata in paura. All'epoca, i numeri del coronavirus erano piuttosto bassi sia in Serbia che in Croazia. I governi hanno dato il via libera “E noi abbiamo fatto quello che ci avevano chiesto, seguendo le regole sin dal primo giorno. Però posso capire che, osservandoci dall'estero, potesse sembrare una follia”. Tuttavia, Djokovic è ancora convinto che sia valsa la pena organizzarlo perché sono stati raccolti fondi importanti per la regione. Lui stesso ha effettuato importanti donazioni a favore delle strutture sanitarie, in Italia e in Serbia. “Non credo di aver fatto nulla di male. Mi spiace per chi si è infettato, ma non mi sento in colpa per chi è stato contagiato in Serbia e in Croazia. Mi è sembrata una caccia alle streghe: come puoi incolpare un singolo individuo?"

"Non credo di aver fatto nulla di male. Mi spiace per chi si è infettato, ma non mi sento in colpa per chi è stato contagiato in Serbia e in Croazia. Mi è sembrata una caccia alle streghe: come puoi incolpare un singolo individuo?" Novak Djokovic
La cerimonia inaugurale dell'Adria Tour

Cristopher Clarey, che l'ha intervistato, descrive un Djokovic travolto da un mix di sentimenti e sensazioni. Alti e bassi emotivi. Essendo giovane e in salute, non ha avuto particolari problemi con il virus. I sintomi erano lievi e sono scomparsi in pochi giorni. Non ha mai avuto la febbre, ma soltanto perdita di olfatto e gusto. “Quando ho ripreso ad allenarmi, ho avvertito un calo in termini di resistenza”. Adesso sembra tutto ok, e prima di volare a New York ha effettuato tutti i test necessari, compresa una TAC al torace. E poi sangue, feci, urine. “Si tratta di prevenzione, perché non sappiamo bene con cosa abbiamo a che fare”. Parole sagge, che però stridono col suo comportamento di due mesi fa.

Il numero 1 ATP è arrivato a New York nel giorno di Ferragosto, accompagnato da Goran Ivanisevic e altri due membri dello staff. Niente famiglia, rimasta in Serbia. D'altra parte, i maxi-team che siamo abituati a vedere sono stati banditi. Tre persone a testa, niente di più. Per trovare il ritmo partita, ha scelto di giocare anche il doppio al Western & Southern Open. Con lui, l'amico Filip Krajinovic. “Sono stato vicino a rinunciare” sentenzia Djokovic, il cui è arrivato a una settimana dalla partenza, quando i governi europei hanno dato sufficienti garanzie in merito alla quarantena al ritorno dagli Stati Uniti. “Le incertezze erano tante, e c'è ancora qualcosa da chiarire. Io voglio giocare a tennis, è la ragione per cui sono qui. Non sento di mettere a rischio la mia salute: se lo pensassi, non sarei partito. Cerco di essere responsabile e rispettare i regolamenti, ma le cose sono imprevedibili. Può succedere di tutto, sia dentro che fuori dal campo”.

Djokovic abbraccia Alexander Zverev durante l'Adria Tour
Cincinnati è stato l'ultimo Masters 1000 vinto da Novak Djokovic. Con il successo nel 2018, ha completato il Career Golden Masters

Nonostante l'accaduto, non ha cambiato opinione sui vaccini. In tempi non sospetti, si è dichiarato apertamente no-vax. E ammette che si troverebbe in difficoltà se un eventuale vaccino anti-COVID fosse reso obbligatorio. “In realtà i media hanno estrapolato la mia frase dal contesto, sostenendo che sono contrario a qualsiasi tipo di vaccino – racconta – il mio problema è se sono obbligato a iniettarmi qualcosa. Questo non mi piace, è inaccettabile. Non sono contrario in assoluto ai vaccini, anche perché non sono nessuno per parlarne. Tanti medici hanno salvato vite in tutto il mondo. Sono convinto che ci siano ottimi vaccini, con pochi effetti collaterali, i quali hanno fermato la diffusione di alcune malattie”. Non ha le stesse convinzioni quando si parla di un vaccino per il coronavirus. A suo dire, è improbabile che possa risolvere il problema, poiché il virus sembrerebbe essere in continua mutazione. Tornando allo Us Open, ha rivelato che la USTA non era d'accordo nel concedere ai tennisti la possibilità di alloggiare in appartamento. Alla fine hanno ceduto, sia pure imponendo una serie di restrizioni, soprattutto economiche. Djokovic ha dovuto pagare l'affitto e la sicurezza privata, approvata e monitorata dalla USTA. Non c'è da stupirsi, dunque, che soltanto otto giocatori si siano potuti permettere questa comodità. “Per me è stato un investimento perchè mi consente di stare meglio, sia nel recupero dopo uno sforzo, che nella possibilità di stare all'aria aperta quando non sarò a Flushing Meadows”.

Per lui è una grande occasione: sarà il suo primo Slam in cui mancheranno sia Nadal che Federer. Lo spagnolo ha scelto di dare la priorità alla terra battuta, mostrando anche qualche perplessità sulle misure di sicurezza. Federer tornerà direttamente nel 2021. Insomma, dei Big Three ci sarà solo lui. “Ed è strano, perché sono leggende del nostro sport e ci mancheranno, a prescindere dall'assenza del pubblico. Tuttavia, la maggioranza dei giocatori è presente. E per questo alcuni forfait non diminuiscono il significato di questo torneo. Io ho vinto 17 Slam, e la possibilità di avvicinarmi a Roger e Rafa è stato un fattore significativo nella mia scelta di viaggiare. Uno dei motivi per cui gioco a tennis è perchè voglio raggiungere vette sempre più alte”. Gli obiettivi principali sono due: il record di Slam di Federer e il numero di settimane in vetta al ranking ATP. Gliene mancano 28 per raggiungere le 310 di Federer: salvo sorpassi, potrebbe farcela già a marzo. Lui si è detto pronto, anche se cinque mesi di stop rappresentano un'incognita. “E forse sarebbe stato meglio giocare lo Us Open al meglio dei tre set. Forse in futuro dovremmo parlare di questo argomento. Quanto al resto, ha ammesso di essere andato a New York anche perché responsabilizzato dal suo ruolo di giocatore di punta. “Non è stato il motivo principale per cui sono qui, ma un po' ha influito. Una volta che mi sono accertato della bontà delle misure di sicurezza, ho avvertito il senso di responsabilità. È importante che il tennis vada avanti”.